Rivista al…Bar: il commento della Serie A di Paolo Valenti (quarta giornata)
La domenica della Serie A si conclude con l’1-1 tra Juventus e Milan, un pareggio che esalta le qualità dei rossoneri e deprime le velleità di pronto recupero della distanza dalla vetta della squadra di Allegri che, al cospetto di una delle prime in classifica, riesce a dimostrare orgoglio e determinazione che mascherano i problemi di assetto evidenziati in queste prime partite di stagione. Orgoglio del quale può fare sfoggio anche Szczesny, tornato finalmente protagonista quando, nei minuti finali, con un prodigioso intervento evita ai suoi il danno di una sconfitta che sarebbe pesata come il piombo. I bianconeri di strada ne hanno ancora da percorrere per risalire la china ma l’approccio alla partita di ieri evidenzia, qualora ce ne fosse stato bisogno, che alla Continassa i cattivi risultati sin qui ottenuti sono uno stimolo per invertire la tendenza quanto prima.
Il Milan, dal canto suo, dimostra di occupare con pieno merito il primo posto: nonostante le assenze (di Ibrahimovic e Giroud su tutti) affronta senza timori il big match della giornata e, pur andando in svantaggio dopo appena quattro minuti, non si disunisce, offrendo l’ennesima prova di maturità da considerarsi ormai pienamente acquisita come quella che ostenta Tonali, pronto a entrare nel novero dei convocati di Mancini.
Il giorno precedente l’Inter aveva fatto bisboccia con il Bologna, arrivato al Meazza con l’intenzione di giocare a viso aperto in ragione della classifica acquisita. La gestione del dopo Conte, temuta da ogni tifoso nerazzurro, si sta rivelando un momento di equilibrata transizione che la sapienza manageriale di Marotta e l’accortezza tecnica di Inzaghi, mai un momento a disagio da quando siede su una panchina da sempre calda come quella nerazzurra, stanno pilotando al meglio.
Questa sera la vetta della classifica cambierà nuovamente: Udinese-Napoli potrà affiancare una terza squadra alle due milanesi o favorire il primo tentativo di fuga della stagione. Per gli azzurri di Spalletti è un’occasione importante come anche per i friulani, chiamati a sostenere uno stress test significativo per verificare lo spessore tecnico e caratteriale di una squadra dalle ambizioni non ancora definite.
Le romane pagano dazio alla reazione che porta il cambio di allenatore: all’Olimpico ci vuole un gran gol di Cataldi nei minuti finali perché il Cagliari di Mazzarri non infligga alla Lazio la terza sconfitta in una settimana. Per i biancocelesti la nota positiva è il ritorno al gol di Immobile dopo il difficile passaggio con la Nazionale. La Roma, invece, viene rosolata nei suoi difetti dal Verona battagliero di Tudor, tornato molto simile alla squadra che era sotto la guida di Juric nella scorsa stagione. L’aggressività a tutto campo dei gialloblu scarnifica i giallorossi, incapaci di trovare gli adeguati rimedi alle reiterate incursioni subite sulla fascia destra e in difficoltà nell’organizzare la manovra offensiva nonostante il periodo di forma di Pellegrini. Abraham, a disagio nell’interpretare ruolo e movimenti in campo, deve lavorare bene per far esplodere le sue qualità nel campionato italiano.
Nella prima vittoria stagionale della Sampdoria spicca la doppietta di Ciccio Caputo, attaccante arrivato tardi alla ribalta che merita. Perché, allora, negarsi la legittima esultanza che spetta a ogni gol realizzato? Per l’ipocrita considerazione per la quale i tifosi della propria ex squadra (nella fattispecie l’Empoli in cui ha militato l’attaccante pugliese nel biennio 2017-2019) meritano rispetto? Non è certo in una mancata esultanza al gol che si dimostra rispetto: comportamento, questo, invalso ormai da alcuni anni che in passato, quando la gioia dopo una rete non aveva la necessità di essere codificata, nessun giocatore aveva la fantasia di praticare. Per mera curiosità si vadano a vedere le corse di felicità successive ai gol di grandi ex come Roberto Boninsegna (che realizzò addirittura una doppietta con la maglia della Juventus all’Inter di cui era stato un protagonista) o Roberto Pruzzo, che nel 1989 segnò l’ultimo gol della carriera alla sua Roma, eliminandola dalla Coppa Uefa dell’anno successivo. Il rispetto, quello vero, è fatto di massimo impegno verso la squadra di cui si indossa la maglia, serietà professionale e rispetto delle regole. La mancata esultanza dopo un gol da ex odora di una retorica a favore di telecamera di cui il nostro calcio dovrebbe imparare a spogliarsi.