Atene, febbraio 2015: la Grecia è al culmine della crisi economica che minaccia concretamente di fare uscire il Paese dall’Euro e provocare un default dalla conseguenze imprevedibili. L’attenzione di tutti è rivolta verso le piazze, tradizionali luoghi di espressione della più che vitale partecipazione popolare alla vita pubblica. Ma in questi giorni drammatici per la popolazione, le cronache elleniche sono scosse anche da quanto accade durante le partite del campionato di calcio: nel derby tra Panathinaikos e Olympiacos si verificano violenti scontri, iniziati dopo la provocazione dell’allenatore degli ospiti Vitor Pereira sotto la curva dei biancoverdi per la quale rischia il linciaggio, che portano ad 11 arresti ed alcuni feriti.
Due giorni dopo, va in scena un consiglio della Super League (l’equivalente della nostra Lega Serie A) durante il quale succede di tutto: il presidente dell’Olympiacos Marinakis tira un bicchiere addosso al suo omologo del Panathinaikos, Alafouzos. Il Governo Tsipras interviene con la mano pesante, e sospende per alcune settimane tutti i campionati.
Passano pochi mesi, e il 21 novembre è in programma il derby ateniese valido per il girone di andata del campionato 2015/16. Sono passati solo otto giorni dagli attentati di Parigi, con tutto il Vecchio Continente che guarda agli stadi come possibili punti di attacco dei terroristi come successo allo Stade de France, ma ad Atene la violenza è di altro genere: prima del match, che dovrebbe sancire l’esordio di Andrea Stramaccioni sulla panchina del Panathinaikos, i suoi nuovi tifosi si scatenano, lanciando oggetti, razzi (uno dei quali colpisce il calciatore Finnbogason) e petardi sul campo dello stadio Apostolos Nikolaidis, dove alcuni tifosi affrontano apertamente la polizia schierata in assetto antisommossa. Ne consegue la decisione di non disputare il match, e l’evidenza del fallimento delle politiche repressive decise negli ultimi anni.
La rivalità tra i sostenitori delle due principali polisportive di Atene ha origini lontane: il Panathinakos è storicamente la squadra dell’alta società di Atene, cui fa da contraltare l’origine popolare dell’Olympiacos, da sempre la squadra del Pireo, il porto della capitale greca.
“Durante le partite sembra di essere in zona di guerra: ero sempre scortato sia fuori che dentro il campo. I tifosi del volley sono gli stessi del calcio e, se sono caldissimi dentro uno stadio, si può immaginare cosa possano fare dentro a un palazzetto”: parole di Gian Paolo Montali, coach italiano negli anni ’90 della sezione pallavolistica dell’Olympiacos, che fanno capire come tensioni e violenze non siano estranee neanche attorno agli altri sport. L’episodio più drammatico si è infatti verificato a margine di un’incontro tra le due rappresentative di volley femminile nel 2007: centinaia di ultras delle due squadre rivali si scontrarono violentemente, approfittando della scarsa presenza della Polizia. Un ragazzo di 22 anni tifoso del Panathinaikos, Mihalis Filopoulos, perse la vita, e anche in quel caso la risposta delle istituzioni fu il blocco, per due settimane, di tutti gli eventi sportivi.
Un mero palliativo, come la storia ha dimostrato negli anni successivi. La stessa storia che ci racconta come il primo scontro tra le due fazioni risale addirittura al 1930, quando i tifosi dell’Olympiacos si recarono alla partita portando macabramente in spalla delle bare di colore verde: l’8-2 finale a favore degli avversari li spinse a riconvertire le assi di legno utilizzate per i feretri in armi per colpire gli odiati ‘cugini’.
Nel 1964 la federazione ellenica decise di punire con la sconfitta a tavolino entrambe le squadre, i cui sostenitori se le erano date di santa ragione in occasione di un match di Coppa di Grecia. Dagli anni ’80 le cose sono peggiorate, con scontri sempre più violenti che hanno portato il Governo a decidere di vietare le trasferte: il ‘derby tra gli eterni nemici’, se non è più occasione di scontri tra i tifosi, non ha smesso di riempire pagine su pagine della cronaca nera dei giornali con polizia, giocatori e dirigenti della squadra avversaria nel mirino degli esagitati.
Inevitabile dedurre come il calcio e lo sport in generale, in Grecia più che altrove, sia diventato lo scenario in cui si esprime il disagio sociale di un popolo in difficoltà. Ma Olympiacos-Panathinaikos, sarebbe un delitto non sottolinearlo, è anche la dicotomia tra due delle tifoserie più calorose d’Europa, come puntualmente dimostrato anche nelle trasferte di Europa League e Champions League, entrambe con una storia importante.
Gli ultras del Panathinaikos, storicamente riuniti sotto lo storico striscione del Gate 13 (dal numero del cancello dove erano soliti riunirsi a partire dagli anni ’60) che si vanta di essere stato il primo gruppo di tifosi organizzati in Grecia, negli ultimi anni sembrano aver perso la forte connotazione politica di estrema destra che li aveva caratterizzati nei decenni scorsi, mentre i tifosi biancorossi rappresentano la classe operaia della città. Il gruppo più importante della curva dell’Olympiacos è il Gate 7: il nome deriva da un drammatico episodio avvenuto allo Stadio Olimpico di Atene nel 1981, quando 21 tifosi trovarono la morte schiacciati a causa della chiusura del cancello numero 7 mentre cercavano di uscire per festeggiare la vittoria di un derby con l’AEK.
La Grecia negli anni è cambiata radicalmente, dalla Dittatura dei Colonnelli si è arrivati alla vittoria elettorale di Tsipras, ma non sembra aver ancora trovato la soluzione al problema della violenza che circonda il mondo dello sport: neanche gli interventi più radicali hanno avuto l’effetto sperato, e il razzo tirato dai tifosi del Panathinaikos addosso a Finnbogason, ignaro attaccante islandese dell’Olympiacos, rischia di non essere stato l’ultimo episodio visto e condannato da tutti di una delle rivalità più aspre del calcio mondiale.
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