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Record sul giro, Toy Car e un tuffo nel passato: come sarà la nuova Mercedes?

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Si spengono le luci, si accende la curiosità. Mentre a Barcellona si oscurano i semafori della seconda sessione dei test invernali, rimane alto l’interesse sull’effettivo potenziale della Mercedes per il mondiale che verrà. Il sibilo cronometrico di Bottas (1’19”310 con gomme supersoft) stride con l’eco delle parole di Niki Lauda riguardo la toy car che le “Frecce d’Argento” avrebbero utilizzato nella sessione della scorsa settimana (e di conseguenza anche in questa) poiché la vettura ufficiale, dotata di tutte le novità aerodinamiche del caso, dovrebbe vedersi per la prima volta soltanto alla gara d’apertura in Australia.

Fra meno di venti giorni dunque si conosceranno pensieri, parole, opere e omissioni eventuali dei campioni in carica, ma l’attesa, se consuma quando affrontata con negatività, può invece schiudersi in un immaginario multiforme e anche piacevole se approcciata con positività. Soprattutto se intreccia il vissuto di ieri, cioè la storia della F1, con i protagonisti di oggi: Niki Lauda e la Mercedes.

Se davvero dai box di Melbourne dovesse uscire una versione della W08 senza rivali e a loro ancora sconosciuta, per l’attuale “Grande Capo” della Mercedes sarà un po’ come salire sulla “DeLorean” e ritornare al 1979 del suo primo ritiro come pilota ed entrato negli annali per il titolo mondiale di una monoposto che debuttò al terzo gran premio: la Ferrari 312T4, ribattezzata anche “la pantofola” per la sua forma a ciabatta. Molto schiacciata, quasi rettangolare, si contraddistinse per un’idea di Forghieri: l’allungamento delle fiancate fino quasi alle ruote anteriori, che la resero inapprezzabile sul piano estetico, ma che ottimizzarono il famoso “effetto suolo”, rendendola pressoché imbattibile.

Non era una “wing-car” come voleva la moda del tempo e come spiegò l’ingegnere modenese dopo il trionfo dell’esordio, giunto a Kyalami, Sudafrica, sabato 3 marzo. Secondo e terzo tempo in griglia, poi dominio incontrastato in una corsa imprevedibile, che evidenziò l’abilità sul bagnato di Villeneuve e il senso strategico di Scheckter. Una doppietta non episodica, perché Maranello con la “pantofola” aveva appena trovato la scarpa vincente. Nelle successive quattro gare, altre tre vittorie per le “Rosse”, che nella seconda parte della stagione controllarono la situazione per poi riprendersi le luci del palcoscenico a Watkins Glen (Villeneuve), ma soprattutto a Monza, dove il canadese scortò il compagno di squadra in cima al podio e alla classifica iridata.

Trascorsi quasi quarant’anni, alla Mercedes si augurano di scrivere un racconto analogo, pur avendone già uno che narra di una monoposto da spedire in pista a stagione iniziata. Era il 2003 e a Stoccarda si “limitavano” a motorizzare la McLaren che, dopo il dorato biennio finnico di Hakkinen, non si era più ripresa dalla sconfitta contro la Ferrari a Suzuka (8 ottobre 2000). A Woking meditavano la rivincita e cominciarono con largo anticipo la progettazione della macchina del 2003. Era molto estrema, la MP4-18. Forse troppo. Alcune soluzioni aerodinamiche causarono problemi di raffreddamento e un’evidente inaffidabilità, aggravata dal mancato superamento dei crash test laterali, la trasformarono nella “magnifica incompiuta”. Così, per affrontare il campionato, Ron Dennis e soci dovettero adeguare la MP4-17D del 2002, con la quale comunque un giovane Raikkonen, aiutato anche dall’introduzione di un sistema di punteggio più benevolo con i piazzati che con i vincitori, si giocò il titolo fino all’ultimo.

Per una vettura che sbaraglia e una che si sbaraglia, la Storia racconta anche di una che fu sbaragliata. Dai regolamenti. Era il 1981, era una F1 romantica nel bene (sorpassi, costruttori avventurosi, piloti salgariani), ma anche nel male: incidenti mortali, poca sicurezza, interpretazione borderline delle norme. A volte anche troppo. Come la Lotus che, per aggirare il divieto sull’uso delle “minigonne”, escogitò un doppio telaio che garantiva comunque l’effetto suolo. Una soluzione bocciata dall’allora FISA, che costrinse Colin Chapman a pensionare fin da subito la versione “88” della sua creatura.

Un finale che né Lauda e né la Stella a tre punte, alle prese con le recenti polemiche della Red Bull per il terzo elemento idraulico della sospensione posteriore progettata a Brackley, mai vorrebbero per la loro W08.

Classe 1982, una laurea in "Giornalismo" all'università "La Sapienza" di Roma e un libro-inchiesta, "Atto di Dolore", sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, scritto grazie a più di una copertura, fra le quali quella di appassionato di sport: prima arbitro di calcio a undici, poi allenatore di calcio a cinque e podista amatoriale, infine giornalista. Identità che, insieme a quella di "curioso" di storie italiane avvolte dal mistero, quando è davanti allo specchio lo portano a chiedere al suo interlocutore: ma tu, chi sei?

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