In occasione di questa estate di sport la Russia non sfoggia il suo abito buono.
Gli Europei di calcio e le Olimpiadi rientrano in quel genere di manifestazione che, nello stesso luogo e tempo, riesce a portare ad un sano confronto diversi paesi. Questa è retorica ma è già qualcosa, è quel “qualcosa” che ci piace provare una volta ogni quattro anni e, anche se solo a parole, ci dà la sensazione che un punto di contatto esista.
E la Russia? La Russia, tra gli scontri di Marsiglia e la possibile esclusione dalle gare di atletica a Rio per doping di Stato, sembra, contro ogni retorica possibile, dare la sensazione di non aver voluto cogliere lo spirito di tali eventi.
A questi fatti sono seguiti, come logico aspettarsi, lamentele e indignazione da parte delle istituzioni e degli atleti del paese interessato.
La donna dei record Yelena Isinbayeva, due volte medaglia d’oro ai Giochi Olimpici, vedendo minacciata la sua partecipazione a Rio, arriva a parlare di violazione dei diritti umani.
Anche Putin, tramite il suo portavoce, si è espresso rifiutando le accuse sul coinvolgimento del Cremlino, trovando ingiusto punire atleti puliti e augurandosi che si faccia chiarezza il prima possibile.
Cerchiamo di capire come questo paese sia arrivato a tale situazione, considerando il rapporto che il suo primo ministro ha con lo sport.
Vladimir Putin, rispetto ad altri leader della terra, non si limita a fare una corsetta la mattina prima dei suoi impegni istituzionali, lui è più di uno sportivo, è un judoka.
Pratica l’arte marziale giapponese dall’età di 14 anni. Conosciuto nell’ambiente come Harai Goshi, nome di una tecnica del judo, è attualmente il presidente del dojo di San Pietroburgo dove ha iniziato come allievo (Dojo Yawara).
Decide di raccontare la sua esperienza e diventa un teorico della disciplina come coautore di un libro, Judo con Vladimir Putin, pubblicato nel 2003.
Il risultato più importante che ottiene è nel 2012, quando, ospite nella famosa sede del judo, Kodokan, a Tokyo, gli viene consegnato l’ottavo dan, guadagnando, con questo, il primato di leader ad aver raggiunto livelli avanzati nella disciplina.
Quindi, se il primo ministro è un vero judoka, la filosofia che è alla base dell’arte marziale dovrebbe non solo essergli nota ma esser diventata parte della sua vita, tanto da condizionare comportamenti e decisioni.
Il judo affonda le proprie radici nel Bushido, codice di condotta adottato dai Samurai, dal quale riprende i precetti morali ai quali ogni judoista dovrebbe aspirare non solo nella pratica della disciplina ma anche nella vita di tutti i giorni.
Queste norme si articolano in sette principi fondamentali, qui semplicemente elencati:
Gi: onestà e giustizia
Yu: eroico coraggio
Jin: compassione
Rei: gentile cortesia
Makoto: completa generosità
Meiyo: onore
Chugi: dovere e lealtà
Senza spingersi in cavillose analisi, non è difficile notare che sono molte le norme che Vlad fatica a rispettare.
Sarebbe sufficiente e sin troppo semplice pensare alla natura del suo terzo mandato per mettere in discussione il suo senso dell’onore e dell’onestà. Se a questo aggiungiamo le accuse di peculato e le sue leggi “omofobe” del 2013, al judoka Putin sembra rimanga solo la tecnica.
E così, alla luce dei fatti di questi giorni, salta agli occhi un parallelismo tra le accuse di una perdita dell’etica sportiva in un grande paese e l’incapacità del suo leader di apparire come un esempio da seguire.