Psicologia e Azzardo: “Ambiente incentivante è un pericolo per i giovani”

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 A Cura di Marzia Serena Terragni, psicologa dello sport, psicoterapeuta relazionale, esperta in età evolutiva di Calcio Profiler

Abbiamo intervistato Roberta Smaniotto, psicologa, psicoterapeuta sistemico-relazionale e Presidente dell’Associazione AND (Azzardo e Nuove Dipendenze)

Ciao Roberta, ormai da anni ti occupi, con l’Associazione AND, di gioco d’azzardo. In che forme il tuo lavoro si interfaccia col mondo dello sport?

Grazie per la domanda, tanto semplice, quanto complessa. Il mio lavoro, che spazia dalla cura delle persone che hanno perso il controllo su un comportamento di gioco d’azzardo, alla prevenzione su che cosa sia l’azzardo (che non è un gioco) si interfaccia con il mondo dello sport in modi diversi. Il mondo dello sport, ed in particolare quello del calcio, è “impregnato” anche d’azzardo: è infatti possibile scommettere su qualsiasi evento sportivo (compresi quelli virtuali!), ma la scommessa non è sport! Lo sport è una pratica impegnativa, faticosa, dove più ti alleni più puoi migliorare la tua performance, dove ti metti in gioco in prima persona, dove impari. L’azzardo è altra cosa: scommettere vuol dire puntare del denaro su un evento il cui esito dipende esclusivamente o principalmente dal caso.

Quali sono i segnali che non bisogna sottovalutare se si è un allenatore o un familiare?

I primi segnali di allarme rispetto alla possibilità di sviluppare un problema con il gioco d’azzardo sono due: il fatto di mentire rispetto alla propria attività di azzardo (scommetto, ma nascondo le ricevute; uso i soldi che mi servono per altro mentendo su dove sono finiti) e il fatto di aumentare la posta (cerco di rincorrere le perdite precedenti). E’ altrettanto importante per un adulto/educatore riflettere sul proprio rapporto con l’azzardo: è un fattore di rischio per i nostri ragazzi frequentare adulti che a loro volta scommettono.

Quali sono i fattori di rischio che possono spingere verso una patologia di questo tipo?

Vorrei iniziare con il porre l’attenzione su alcuni fattori: la prossimità con un ambiente incentivante l’azzardo (le pubblicità dilaganti e martellanti di siti di scommesse, fatte, ahimè, anche da campioni dello sport…), la “familiarità” con questo tipo di atteggiamento (i ragazzi vengono avvicinati all’azzardo casualmente e, senza cognizione, anche dai propri adulti di riferimento – nonni che fanno grattare ai propri nipoti “gratta e vinci”, ad esempio, senza conoscere la pericolosità di un simile comportamento; fratelli maggiori o amici che scommettono nella speranza di ritrovarsi con qualche soldo extra da spendere e non dover giustificare.

In che modo si può intervenire quando in una squadra di calcio alcuni elementi hanno un problema di questo tipo?

Quando un componente o alcuni componenti di una squadra hanno un problema di perdita di controllo sull’azzardo/sulla scommessa, è fondamentale non prestare soldi e facilitare l’avvicinamento ad un percorso di cura. E’ importante che alla cura si affacci sia chi ha il problema sia i familiari: insieme si può affrontare questa malattia.

Esistono progetti preventivi e cosa secondo te sarebbe ancora necessario attuare, soprattutto a partire dai settori giovanili?

Un progetto preventivo educativo che sarebbe necessario mostrare a tutti i nostri ragazzi a partire dai settori giovanili (indicativamente dagli alunni di terza media) è il video “Il caso, Lucky, non si può influenzare”, realizzato dall’Università Canadese. E’ un breve video di una ventina di minuti che tratta i temi principali del gioco d’azzardo: le probabilità di perdita, l’indipendenza delle puntate, il fatto che il banco vince sempre.

Sarebbe altresì fondamentale che i nostri campioni dello sport non accettassero di pubblicizzare aziende che offrono azzardo (per non aumentare la confusione già esistente tra gioco/sport e azzardo), e che le società sportive non accettassero sponsorizzazioni da parte di società che offrono azzardo.

0 Comments

  1. Il gioci d’azzardo va semplicemente abolito punto!!!
    Ah già dimenticavo le entrate fiscali, che sono meno di quello che si spende per curare la dipendenza. Ma allora, se uno/a si vuole rovinare la vita, lasciamoli fare cosi non c’è più bisogno di psicologi, medici ecc.

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