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Il prezzario della vergogna: quanto bisogna pagare per sfondare nel calcio
Il calcio ha perso negli ultimi anni il suo fascino e forse sarà anche perché, chi lo vive dall’interno, ne conosce le sue dinamiche amorali, spregevoli e anti-sportive.
Nei giorni scorsi sul quotidiano il Giorno è uscito un articolo a cura di Giulio Mola in cui viene portato alla luce un prezzario della vergogna su come sia possibile comprarsi posti in squadra, convocazioni, anni di contratto e addirittura aiuti importanti per le convocazioni in nazionale di categoria.
Si va dai 10.000 euro per un posto negli allievi fino ai 100.000 per vari allenamenti in prima squadra con esordio. In mezzo i 20/30 mila euro per un anno di contratto in Lega Pro. Questi i soldi chiesti alle famiglie dei calciatori da parte di loschi figuri che si aggirano intorno ai campi: osservatori con fantomatici legami in grosse squadre, sedicenti procuratori ma purtroppo anche allenatori e dirigenti in prima persona che camuffano l’obolo sotto forma di spese necessarie per coprire vitto e alloggio che, nel caso di calciatori minorenni, è però a carico della società.
Perché i genitori accettano? Perché se se lo possono permettere danno un grosso vantaggio al figlio ma soprattutto perché costruiscono un curriculum professionale di tutto rispetto se hanno militato in nazionali giovanili, Primavera blasonate e un paio di anni in C. Con questo curriculum è più facile il lavoro di proposta da parte del procuratore del calciatore dal curriculum comprato nel riuscire a convincere i presidenti e i direttori sportivi a ingaggiare il ragazzo.
Anche all’estero la situazione non è migliore. Provini lampo fittizi e promesse di rosee carriere infranti sul duro muro della realtè. E’ l’esca perfetta soprattutto per i giovani calciatori extracomunitari provenienti dall’Africa che pagano 3000 euro per provare a cambiare in meglio la loro vita ma che ben presto, una o due stagioni, capiscono in quale incubo si sono cacciati.
Qualcuno deve aver frainteso la massima di de Coubertin: “L’importante non è vincere ma partecipare” visto che la partecipazione in questione è sempre meno fisico/sportiva e sempre più esclusivamente economica.
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