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#Prequel, prima del Professionismo: Intervista a Nick “Dinamite” Amoruso

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#Prequel, prima del Professionismo: Intervista a Nick “Dinamite” Amoruso

In occasione dei suoi 46 anni compiuti oggi, vi riproponiamo l’intervista a Nick Amoruso nella quale ci ha raccontato com’è nato il suo sogno chiamato calcio, l’infanzia in un piccolo centro della Puglia, l’adolescenza a Genova lontano dalla famiglia, le amicizie che restano tali anche quando le strade si dividono.

 Sampdoria, Fidelis Andria, Padova, Juventus, Perugia, Napoli, Como, Modena, Messina, Reggina, Torino, Siena, Parma e Atalanta. Quattordici sono le maglie indossate da Nicola Amoruso in tutta la sua carriera calcistica, una pellicola avvincente girata in venti anni sui campi di calcio lungo tutta la penisola italiana. Tredici le squadre di Serie A, dodici le maglie con cui è andato a segno, un record condiviso insieme a Marco Borriello. Con 113 reti è inoltre il calciatore più prolifico della storia tra gli attaccanti che non hanno mai indossato la maglia della Nazionale Maggiore. Tre scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea, un Campionato d’Europa Under 21 nel suo palmares. Del Nicola Amoruso calciatore professionista sappiamo tutto o quasi, del bambino di Cerignola che sognava di indossare la maglia della Juventus poco e nulla. Andiamo a scoprire com’era la sua vita, le sue paure, i suoi sogni.

Ciao Nick, raccontaci com’è nata la tua passione per il calcio e come trascorreva i giorni il giovanissimo Amoruso a Cerignola e dintorni??

Nasce nel modo più semplice, tra le mura domestiche. Siamo una famiglia numerosa , 5 fratelli, 4 maschi e una femmina. Noi maschietti, con mio fratello Luca in particolare, giocavamo con la classica pallina di carta rappezzata con lo scotch. Nel nostro condominio a Cerignola, in provincia di Foggia, per fortuna, avevamo un campetto da calcio.

Sognavi come molti bambini di arrivare in Serie A? Che ricordi hai del Nicola Amoruso pulcino?

Il mio ricordo più bello di bambino con la passione del calcio è legato alle domeniche passate ad ascoltare la radio.  Altri tempi… “Tutto il Calcio minuto per minuto” era un appuntamento fisso, ci chiudevamo in macchina con gli altri amichetti  per ascoltare le radiocronache partite. 

 Per tifare soprattutto Juventus, giusto?

Certo, erano i tempi in cui Michel Platini faceva innamorare le folle, poi anche i miei amici erano tutti juventini.

 La tua famiglia ha sempre sostenuto le tue scelte oppure ci sono state frizioni?

E’ stato soprattutto il mio papà ad assecondare il mio sogno, ma sempre cercando di farmi tenere i piedi per terra. A 13 anni e mezzo mi ha contattato la Sampdoria ed effettivamente nella mia famiglia c’è stato il grande momento della scelta e del confronto tra i miei genitori. Mia madre non era molto entusiasta, mentre mio padre le disse che non voleva togliermi questa possibilità perché un giorno avrei potuto anche rinfacciargli il loro rifiuto. Mio padre era un imprenditore, mia madre laureata in Scienze Biologiche. Fu una scelta piuttosto sofferta per mia madre che avrebbe preferito che mi dedicassi esclusivamente agli studi. Trovammo un compromesso con lei in cambio della mia scelta di continuare a giocare a calcio in una squadra importante, un club che lasciava intravedere una speranza: avrei dovuto diplomarmi al liceo scientifico come desiderava lei e nel frattempo potevo coltivare il mio sogno di giovane calciatore. 

A Genova, lontano dalla sua famiglia…

Esatto, riuscii a terminare a Genova le scuole superiori senza troppi intoppi, tranne nel primo anno, quando fui rimandato in latino e matematica. In quella circostanza i miei mi obbligarono a studiare per un’estate intera, mattino e sera, per rimediare all’errore e per arrivare preparato agli esami di riparazione di settembre! Devo ammettere che dopo quella piccola lezione di vita venni sempre promosso. In realtà, a parte quel breve periodo di difficoltà, a me piaceva studiare. Poi mi iscrissi anche all’Università ma la lasciai dopo qualche esame. E’ un rimpianto, però non era facile coniugare gli impegni con gli allenamenti che diventavano sempre più gravosi e portavano via molto tempo.

 C’è stata una fase di quel periodo pre-professionistico in cui hai pensato di mollare?

No, perché della mia carriera il periodo che mi piace rievocare con la mia mente è proprio quella di aver vissuto il sogno giorno dopo giorno con i miei compagni. E’ stata un’esperienza umana fantastica, nonostante i sacrifici e la lontananza dagli affetti familiari. Dovevo badare a me stesso, avevo già grandi responsabilità, una condizione non certo semplicissima per un adolescente. Sotto il punto di vista della crescita umana è stata una delle mie migliori esperienze, dovevo confrontarmi con altri 25 compagni che vivevano la mia stessa situazione, sospesi tra il sogno e il sacrificio. Eravamo molto uniti e dormivamo tutti nella stessa pensione. Con alcuni, anche con quelli che non sono riusciti a diventare calciatori famosi, è rimasto un bel rapporto di amicizia.

 I veri legami non muoiono mai…

Verissimo, infatti sono molto legato ad Alessandro Lamonica, il mio attuale promotore finanziario che era con me a Genova nel periodo delle giovanili della Sampdoria. E’ una cosa che ti riempie di orgoglio perché l’amicizia è un valore che supera ogni barriera. 

 Avevi altre passioni oltre al calcio, in quel periodo?

Onestamente no, perché non avevo il tempo di coltivarle. Mi allenavo e studiavo, le giornate trascorrevano in questo modo e il poco tempo libero a disposizione lo impiegavo per tornare a casa, giù dai miei. Ogni anno anche il calcio in quel periodo adolescenziale, come la scuola, rappresentava una sfida nella sfida, perché ti metteva davanti a un esame, quello della riconferma per l’anno successivo o della bocciatura da parte del club.

Un’autentica fase di vita calcistica in cui tu descrivi rapporti personali genuini. Dopo la breve esperienza al Palermo nel 2013 come direttore sportivo si ha l’impressione che tu abbia voluto prenderti una pausa dal mondo del calcio.

Sì, vero, anche se appena smisi di giocare nel 2011 iniziai subito un’esperienza con il settore giovanile della Reggina. Mi sentivo in debito, soprattutto con i giovani, avevo voglia di trasmettergli qualcosa a livello di esperienza. Furono due anni molto belli, poi mi venne proposta l’occasione di diventare direttore sportivo al Palermo, ma purtroppo durò pochissimo. Con Zamparini non è stato facilissimo…

 Beh, sei sicuramente in buona compagnia…

Eh, infatti… Da quel momento qualcosa è cambiato in me, mi sono un po’ allontanato dal mondo calcistico. In questo periodo sono in contatto con alcuni intermediari per condurre qualche operazione di calciomercato con i giovani, ma non è facile. Nel frattempo ho intrapreso altre attività, nel campo dell’edilizia.

 C’è vita oltre il calcio.

Sì, anche se mi sento sempre un elemento del sistema calcio. Tramite agenti cerchiamo di mediare con le famiglie dei giovani calciatori, ma è un lavoro complicato.

 Pensi sia cambiato l’approccio dei genitori con i ragazzi rispetto ai suoi tempi?

Sì, qualcosa è sicuramente cambiato, non so dirti esattamente perché. Le famiglie adesso sembrano al centro di tutte le decisioni e le aspettative dei ragazzi. Ricordo il mio papà che veniva sempre con discrezione a vedermi giocare e non interferiva mai con le decisioni dell’allenatore. Lui mi ha lasciato libero di decidere e non mi ha messo pressione. Penso che un ruolo negativo in tal senso lo abbiano avuto anche i social media e il web in generale, cose che rischiano di creare false aspettative e di stravolgere completamente la realtà. Anche alcuni genitori, davanti alla prima prodezza del figlio, a volte credono di avere di fronte il Ronaldo di turno…

 Nicola, ti ringraziamo per la tua gentilezza, è stato un vero piacere dialogare con te.

Figurati, Antonio, è stato un piacere anche per me.

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