Nelle scorse settimane ci eravamo occupati delle rivelazioni del sito Football Leaks e di come il rapporto tra calcio e finanza stia modificando radicalmente la struttura dello sport più amato al mondo. Vogliamo approfondire l’argomento insieme a Pippo Russo, autore di “Gol di rapina” e “M. L’orgia del potere”, nei quali si racconta proprio di questo rapporto.
Pippo tu sei stato il primo in Italia ad occuparti del rapporto tra finanza e calcio ma recentemente le rivelazioni di Football Leaks hanno portato prepotentemente all’attenzione globale quelli che sono i distorti risvolti di questo rapporto. Per prima cosa voglio chiederti come si inserisce in questo meccanismo il protagonista del tuo ultimo libro, Jorge Mendes?
Jorge Mendes è l’uomo più potente del calcio globale. E lo è diventato perché prima di ogni altro agente ha capito quale dovesse essere il giusto rapporto fra la classe degli intermediari, cui lui appartiene, e il mondo della finanza istituzionale che all’inizio del XXI secolo, in Portogallo, è entrato in forza nel business dei diritti economici dei calciatori. Mendes ha capito che quel rapporto doveva seguire la logica della divisione del lavoro. Ciascuno doveva fare il proprio mestiere, senza invadere la sfera d’azione degli altri. In questo senso Jorge Mendes si è nettamente distinto rispetto a colui che in quella fase era il suo grande avversario, sia in patria che sul piano internazionale: José Veiga, l’uomo che pilotò i trasferimenti di Luis Figo e Zinedine Zidane al Real Madrid. Veiga pretese di farsi egli stesso uomo di finanza, lanciando la propria agenzia Superfute presso le piazze borsistiche di Parigi e Lisbona, e andava rilasciando interviste in cui criticava i fondi d’investimento guidati da banche e grandi player dell’economia portoghese perché, a suo dire, erano retti da soggetti che non conoscevano il calcio. E non si rendeva conto che lui pretendeva di fare finanza senza essere un uomo di finanza. Invece Mendes, in quella fase, è stato un potente broker calcistico che si è messo al servizio della finanza. La storia dice che Mendes è sopravvissuto fino a diventare l’uomo più potente del calcio mondiale mentre José Veiga è caduto fragorosamente a metà degli Anni Zero. Adesso Mendes è in una posizione strategica per pilotare affari d’altissimo livello, come quelli che portano i grandi gruppi economici cinesi a sbarcare nel mondo del calcio. In questo senso, l’acquisto del Wolverhampton da parte di Fosun, concluso la scorsa estate, è una vicenda esemplare. Adesso Jorge Mendes “fa” il mercato, e così facendo viene a rappresentare una mutazione genetica guidata dalla figura dei cosiddetti “super-agenti” come lui: che non possono più essere definiti “intermediari”, perché sono più che mediatori fra le parti in trattativa. Sono generatori e aggregatori d’affari calcistici.
Quali sono gli altri player che stanno rendendo il calcio un oligopolio? Su Football Leaks emerge la figura di Doyen, cosa puoi dirci del fondo guidato da Nelio Lucas?
Doyen Group è una holding che non ama la trasparenza. È un soggetto multinazionale che investe nei settori più disparati: energia, materie prime, edilizia, hospitality, sport & entertainment. Ha sede legale a Istanbul, braccio finanziario a Londra e una divisione dedicata allo sport (Doyen Sports Investments) allocata a Malta. A partire dal 2011 ha preso a fare incetta di diritti economici di calciatori, soprattutto nei paesi della penisola iberica dove si ha una certa tolleranza nei confronti di questo business. Ma Doyen ha cercato di accreditarsi anche come soggetto che opera a 360 gradi nel campo del marketing sportivo. E ha cura di propagandare di se stesso un’immagine d’indispensabilità per il calcio, cercando di far credere che senza il suo aiuto certi club non potrebbero intervenire nel mercato dei trasferimenti. I fatti dicono tutt’altro. Basta chiedere ai tifosi dello Sporting Gijon, del Santos, del Twente, e dello stesso Porto che dal momento in cui ha condotto un rapporto più stretto col fondo non vince più nemmeno i tornei meno significativi in Portogallo. E non dimentichiamo le figuracce rimediate sul mercato dal Milan (e da Galliani in persona) in quel breve periodo dell’estate 2015 in cui Doyen ne fu partner. Quanto a Nelio Lucas, è un personaggio molto mediatico, ma delle cui origini sappiamo praticamente nulla. Non molto tempo fa, in Portogallo, concesse un’intervista televisiva nella quale si presentava come responsabile dei casting di modelle. Forse quella era la sua vera cifra, perché nel mondo del calcio si muove in modo catastrofico, già da prima che diventasse il CEO di Doyen Sports Investments. Le sue precedenti esperienze portoghesi, a metà degli Anni Zero, sono state disastrose: prima da dirigente del Beira-Mar e poi da rappresentante di Stellar Group. Pare che a lanciarlo nel mondo del calcio sia stato un altro dei super-agenti che dominano il mondo del calcio, l’israeliano Pini Zahavi. Che in quell’occasione non ebbe davvero un gran fiuto, come invece ha dimostrato di avere “creando” figure come Kia Joorabchian e Fali Ramadani.
E l’altro superagente Mino Raiola come si posiziona?
Permettimi innanzitutto di dare una definizione di “superagente”, un’etichetta che dai profani rischia di essere equivocata. Non stiamo parlando di soggetti dotati di super-poteri o di qualità straordinarie, ma di intermediari che poco a poco abbattono i confini fra ruoli di consulenza che dovrebbero stare separati. In questo senso sono “super”, perché stanno al di sopra. Avviano la scalata come agenti di calciatori, e il passo successivo è quello che li porta a essere agenti di allenatori. Quindi riescono a piazzare dirigenti di loro fiducia nei club, in special modo i direttori sportivi, cioè coloro che per ruolo si occupano del mercato dei trasferimenti. L’ulteriore salto di qualità si ha quando questi soggetti diventano referenti dei fondi d’investimento, in una situazione che magari vede essi stessi nel ruolo d’investitori. Fino a compiere la trasformazione ultima, che fa di questi agenti anche i consulenti dei club per il mercato dei trasferimenti di calciatori. Vengono così a crearsi condizioni di promiscuità assoluta. All’interno di una trattativa il super-agente può trovarsi a essere consulente del club acquirente, consulente del club cedente, agente del calciatore trattato, rappresentante degli investitori esterni che hanno acquisito una quota dei diritti economici del calciatore trattato, e essere egli stesso investitore di quel fondo. Aggiungo che il super-agente può essere anche imprenditore dei mass media che investe in diritti televisivi e li commercializza (sono i casi di Pini Zahavi e Paco Casal), oltreché uomo di fiducia dei nuovi investitori che decidono di entrare nel calcio comprando i club (come è successo di recente a Jorge Mendes, che ha favorito l’acquisizione del Valencia da parte del miliardario singaporiano Peter Lim e è stato elemento chiave per il già citato acquisto del Wolverhampton da parte di Fosun).
Venendo all’oggetto della domanda, rispondo che quello di Mino Raiola è un caso a sé. Si tratta di un personaggio assolutamente individualista, che a differenza degli altri grandi soggetti che controllano l’economia parallela del calcio globale non si cura granché delle relazioni diplomatiche. Se si guarda ai rapporti fra Mendes, Zahavi, Doyen, Joorabchian, Ramadani, Mascardi, Casal, si scopre che in linea di principio questi soggetti cercano un modus vivendi e evitano di farsi la guerra. Si è avuta un’eccezione con lo scontro aperto fra Mendes e Doyen che è andato avanti fra il 2014 e il 2015, ma adesso pare rientrato. Per il resto, tutti questi soggetti sanno che lo scontro non è bene per nessuno. Invece Raiola non si fa remore a entrare in rotta di collisione anche con soggetti di questa taglia. E quando registro questo aspetto, mi chiedo cosa gli dia tanta forza e tanta sicurezza di poter andare allo scontro aperto senza la paura d’essere abbattuto. In generale, Mino Raiola è il personaggio attorno al quale c’è il maggior numero d’interrogativi irrisolti.
Quando è iniziato il fenomeno di considerare i calciatori come “asset frazionabili e commerciabili a piacimento” (cit.)?
Il fenomeno parte in Sud America con l’inizio degli anni Novanta. L’indebitamento dei club è una spirale senza uscita, e la soluzione residua è quella di cedere quote di calciatori a investitori esterni per rifinanziare il debito corrente. Un circolo vizioso pressoché mortale, che crea un meccanismo di dipendenza economica in tutto simile a quello generato dal prestito a tassi da usura. Il club può anche rimanere formalmente guidato dai suoi dirigenti, ma le decisioni vengono dettate dagli investitori esterni. Che razziano quote di diritti economici dei calciatori più promettenti, stabiliscono che essi debbano giocare per valorizzarsi, e poi decidono quando devono essere ceduti senza tenere conto delle esigenze tecniche dei club.
Tu sei stato spesso critico sul fatto che la presenza delle TPO porti via risorse dal mondo del calcio, ma la contro osservazione potrebbe essere “quelle risorse sono state immesse da loro nel mondo del calcio”; cosa ne pensi?
Ti rispondo portandoti un esempio che spiega tutto e confuta l’argomento di chi sostiene che “quelle risorse vengono messe nel mondo del calcio”. Durante la campagna trasferimenti estiva del 2016 un piccolo club portoghese, il Paços de Ferreira, ha ceduto il suo miglior talento all’Atletico Madrid. La cifra di cessione segna il record per il club: 7 milioni. Ma quanta parte di quel denaro è finita davvero nelle casse del club portoghese? Presto detto: 2,8 milioni, cioè il 40%. È un’informazione che è stato possibile apprendere grazie ai documenti pubblicati da Football Leaks nella primavera del 2016. Il restante 60% era distribuito come segue. Un 20% apparteneva all’agente António Teixeira, che se lo è aggiudicato in cambio di 30.790 euro. E a proposito di questa cifra. Va specificato che non si tratta nemmeno di un versamento fatto da Teixeira al Paços, ma dell’estinzione di un debito (6 fatture per servizi vari, il cui totale faceva 30.790 euro) che il Paços aveva verso Teixeira. Praticamente, i termini della trattativa per la cessione dei diritti economici di Diogo Jota sono stati questi: “Mi devi quasi 31 mila euro, dunque dammi il 20% del tuo calciatore più promettente e siamo pari”. L’altro 40% era stato acquistato dalla Gestifute di Jorge Mendes per ben… 35 mila euro. Pagamento a quattro mesi, si legge nel contratto di cessione dei diritti. Morale della favola. Teixeira ha intascato 1,4 milioni sacrificando un credito da nemmeno 31 mila euro. Jorge Mendes ha intascato una cifra uguale a quella incassata dal Paços, 2,8 milioni, dopo avere effettuato un investimento da 35 mila euro. Un blogger si è preso la briga di calcolare la plusvalenza, e ha scoperto che ammonta al 7900%. Quanto al Paços de Ferreira, ha incassato 2,8 milioni e ha perso d’incassarne 4,2. E quei 4,2 milioni li ha perso in cambio di un valore complessivo di nemmeno 66 mila euro. Ecco il valore del denaro “comunque immesso nel mondo del calcio”: meno di 66 mila euro, per succhiarne 4,2 milioni. Sarebbe questo il “sostegno finanziario” delle TPO al mondo del calcio? Aggiungo una postilla: dopo averlo pagato 7 milioni, l’Atletico Madrid ha immediatamente girato in prestito Diogo Jota al Porto. Cioè a un club appena rientrato a pieno titolo nell’orbita di Jorge Mendes, e che ha affidato la panchina a colui che da calciatore fu il primo cliente di Gestifute: Nuno Espírito Santo. I club sperperano risorse finanziarie per ingrassare i super-agenti e lasciarli liberi di disporre le cose a proprio piacimento.
Nonostante la Fifa le abbia ufficialmente bandite, sembra che molte delle operazioni di calciomercato siano ancora orchestrate da loro, l’avvento dell’era Infantino ha cambiato qualcosa?
I soggetti dell’economia parallela hanno trovato l’escamotage per aggirare il divieto alla TPO e alle TPI (Third Party Investiment): hanno preso a controllare direttamente o indirettamente i club. Quanto a Infantino, non sta facendo nulla per ostacolare l’invasione. È stato eletto presidente Fifa coi voti dei paesi i cui sistemi calcistici stanno in piedi grazie ai denari degli investitori esterni.
Nei primi anni 2000 il presidente del Bologna Gazzoni parlava di “doping amministrativo” riferendosi ad alcuni meccanismi utilizzati per aggiustare i bilanci dei club, ma la macchina che amministra oggi il calcio globale sembra mille anni avanti. L’Italia come si pone in relazione a tutto ciò? Ci sono club che più di altri hanno fatto operazioni con i TPO?
Non c’è un solo club italiano di serie A che non abbia fatto affari con fondi e TPO. Non ci sono innocenti, nessuno può chiamarsi fuori.
Concludiamo con l’attualità: il calciomercato. Dietro alle montagne di soldi che i club cinesi stanno riversando nei campionati europei c’è lo zampino dei fondi?
Direi di no. Sono i denari che provengono da un sistema economico alieno per noi europei, perché unisce ciò che per noi sono il diavolo e l’acqua santa: l’economia pianificata di stato e l’impresa capitalista privata. Però intravedo un’evoluzione che potrebbe portare i club cinesi a agire come se fossero a loro volta dei fondi d’investimento. Cioè, acquisire calciatori di alto livello sui mercati europeo e sudamericano per poi cederli con formule di prestito molto oneroso, oltre a sfruttarne tutte le potenzialità mediatiche e commerciali. L’avvento dei capitali cinesi porterà comunque delle nuove logiche cui dobbiamo fare l’abitudine, almeno fino a che da quelle parti continueranno a voler pompare denaro nel calcio.