Perugia, “col rostro e con l’artiglio” per difendere il vecchio Santa Giuliana

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“Santa Giuliana pensaci tu, per i miseri implora pietà, diceva un vecchio inno del Perugia Calcio. Quella Santa, invocata nelle strofe che tanti tifosi coi capelli bianchi ricordano fieri, è la stessa che dal tredicesimo secolo dà il nome al complesso religioso che sovrasta l’omonimo campo sportivo. Molto più che un semplice terreno di gioco. Il Santa Giuliana è stato, per quasi quattro decenni, la casa del Grifo. Il tempio del tifo biancorosso, dove folle oceaniche, e spesso ben al di là della capienza ufficiale, hanno visto gioire e disperarsi i propri beniamini, fino alla promozione in A, nel 1975, che ha segnato la chiusura ufficiale al calcio dell’impianto. Il Perugia si trasferisce a valle, al Comunale di Pian Massiano, poi Renato Curi.

C’è uno striscione che campeggia tutt’oggi ovunque il Grifo giochi. Quelli del Santa Giuliana. A portare l’insegna per tutto lo Stivale ci pensa chi al Santa Giuliana ci è cresciuto davvero. E chi, oggi, ancora ne conserva l’aurea magica, avendolo difeso “col rostro e con l’artiglio”, come dice il loro motto, da demolizioni papabili e declini che, purtroppo, interessano tanti vecchi, e storici, stadi italiani. Quelli del Santa Giuliana ancora seguono. Ancora amano e ancora hanno negli occhi le migliaia di bandiere biancorosse di quei favolosi anni.

Claudio Giulietti è uno di loro, oltre a essere una memoria storica del calcio perugino. “Vado allo stadio dal 1961, grazie a mio padre che trasmise a me e mio fratello Carlo questa immensa passione – ci dice –  i ricordi legati al Santa Giuliana sono ovviamente tanti e parecchio belli, cominciando dalla promozione in Serie B del 1967 e quella in A del 1975. Essendo ubicato proprio nell’acropoli, a pochi passi dal centro, ed avendo una struttura direttamente attaccata al terreno di gioco, il fattore campo era a dir poco determinante. Ricordo bene come il pubblico, dalle reti, influenzasse pesantemente il gioco e gli arbitri che, non avendo vie d’uscita, a volte potevano rimanerci chiusi per ore in attesa che la folla stemperasse la rabbia”.

Un’era profondamente diversa dal presente. “Lo stadio fu eretto nel 1937, su progetto dell’architetto perugino Giuseppe Lilli e nasce per dotare la città di un impianto polivalente, basti pensare che ci sono ben sei piste d’atletica e negli anni è stato usato anche per ospitare rugby e football americano. Inizialmente – sottolinea – c’erano una gradinata e una tribuna coperta e poi furono costruite le curve. La prima fu la Nord, mentre la Sud fu costruita l’ultimo anno della Serie B. In quella stagione – ricorda – vedemmo per la prima volta lo striscione delle Brigate Gialloblu del Verona. C’erano poche norme di sicurezza e un’affluenza che era il doppio o il triplo del consentito”.

A cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70 il tifoso da stadio aveva una conformazione diversa da oggi, così come le trasferte e i burrascosi rapporti con le altre tifoserie. “A Modena ho effettuato la trasferta numero 533 – ci svela – la mia prima fu a Siena, il 23 aprile del 1967. In quegli anni giocavamo contro piccole compagini romane come l’Almas, la Tevere Roma e la Chinotto Neri, ma anche con rivali storiche come l’Arezzo, avversaria con cui feci l’esordio in casa, la Ternana, il Siena e l’Ancona, che avevano stadi a dir poco bollenti e in cui ricordo sfide feroci. In particolar modo – dice – ricordo lo stadio di Viale Brin, a Terni, posto esattamente dietro le acciaierie. A causa dei fumi delle stesse, il manto di gioco diventava spesso nero. È un vero peccato che sia stato totalmente demolito“.

A scapito di alcune credenze grossolane, in quegli anni la tensione attorno agli eventi sportivi era maggiore rispetto ai gironi nostri. “C’erano sempre scazzottate dovute alla promiscuità dei settori – evidenzia -basti pensare che al Santa Giuliana c’era una porticina in cui dovevano passare tutti. Fatti che ovviamente passavano inosservati ai media dell’epoca, sebbene fossero ben più frequenti e reiterati di oggi”.

A tal merito Claudio Giulietti ci racconta un episodio simpatico, accaduto, sul finire degli anni ’60, con i tifosi della Lazio che “con tono strafottente camminavano per il centro storico chiedendo dove fosse er campetto, di tutta risposta i tifosi biancorossi li indirizzavano nelle campagne circostanti con indicazioni ingannevoli“.

Certamente di aneddoti, momenti e personaggi rimasti scolpiti nella mente ce ne sono tanti. “Abbino sempre due personaggi al Santa Giuliana: Orfeo, il responsabile del campo e Giuditta, la responsabile dello spogliatoi che faceva da mamma a tutti i giocatori“. “Inoltre – continua – non posso non menzionare Eros Lolli, artefice di un gol contro la Sambenedettese che sancì la promozione in B. Indimenticabile rimane il giorno della promozione in Serie A, quando entrammo allo stadio già alle 10,30, e i suoi artefici massimi, il presidente Lino Spagnoli e l’allenatore Guido Mazzetti . Tutta la provincia, e non solo, partecipò a questa festa. Infine, a livello sportivo, sono molto affezionato a un derby di Coppa Italia con la Ternana vinto per 5-0 quando loro militavano in Serie A, nel 1972“.

Il Santa Giuliana ha rappresentato anche un importante trait d’union per la storia del Grifo e dei suoi seguaci. “Nella curva confluivano persone di qualsiasi provenienza sociale e politica, un po’ come succede ora, e si conviveva bene. Il Santa Giuliana – sottolinea Giulietti – è stata la prima pietra di una storia che, con il presidente Lino Spagnoli, ci ha visto uscire dall’anonimato, arrivando in Serie A e rimanendo nella storia grazie agli Imbattibili di Castagner, che nella stagione 1977/1978 conclusero il campionato al secondo posto non perdendo neanche un incontro. A Spartaco Ghini, invece, si deve la costruzione dell’attuale Renato Curi, eretto in soli cento giorni per ovviare all’inadeguatezza del Santa Giuliana in vista del primo anno in massima categoria”.

Un attaccamento alla squadra di calcio che si riflette sulla cittadinanza e sulle sue tradizioni. “Noi identifichiamo la squadra come un baluardo fondamentale della città, forse uno degli ultimi. A Perugia c’è un forte senso di appartenenza che ci ha permesso di salvaguardare il Santa Giuliana, quando si vociferò di un suo abbattimento per farne un parcheggio ci fu una vera e propria sollevazione popolare. Cerchiamo sempre il dialogo con tutte le componenti cittadine e il prossimo passo sarà quello della realizzazione di un museo dedicato al Perugia, per il quale stiamo lavorando e che a breve vedrà i propri natali”.

Per preservare la storia di un club un museo a tema rappresenta un’importante viatico. “Ci sarà una parte fisica e una digitale, in maniera da interagire anche con i tanti tifosi sparsi nel mondo. Inoltre crediamo che ai giovani vada tramandata la storia in maniera intrigante, e non solo sotto l’aspetto folkloristico. Negli ultimi anni tanti ragazzi si sono avvicinati a noi e vogliamo lasciar loro in eredità ciò che abbiamo vissuto”. Uno spazio in cui verrà esposto materiale storico e introvabile. “A distanza di 37 anni abbiamo trovato due maglie di Renato Curi, una bianca e una rossa. Pensate che una di queste Curi l’aveva regalata alla famiglia da cui era a pensione, e i ragazzi la utilizzavano per andarci a giocare a calcetto”.

Il Santa Giuliana chiuse ufficialmente i battenti nell’estate del 1975. Dopo l’ultima partita di campionato, disputata contro il Novara e caratterizzata dai festeggiamenti per la Serie A ottenuta la settimana prima a Pescara, l’impianto fece ancora da palcoscenico per le gare di Coppa Italia e Mitropa Cup. Ultima avversaria a calcare ufficialmente il manto erboso dello stadio fu l’Austria Vienna, contro cui esplose un certo Walter Novellino. Attualmente in che condizioni versa lo storico stadio e quali sono le prospettive? “Oggi – racconta – viene utilizzato per i concerti di Umbria Jazz e per le gare di atletica, ma mancano i fondi per poterlo utilizzare appieno. Noi vorremmo che rimanesse un corpo a se stante rispetto al Curi, con un paio di iniziative ogni anno in grado di far capire ai giovani da dove siamo partiti”.

Chiunque transiti per Piazza Partigiani, prima di utilizzare la scala mobile e visitare il salotto urbano della bellissima Perugia, butti un occhio là sotto e immagini una distesa di folla che, all’ombra del complesso religioso, inveisce e sbraita per una squadra con la maglietta rossa e i calzoncini bianchi. Potrete rivedere, per qualche istante, Renato Curi e Paolo Sollier districarsi tra gli avversari e mandare in visibilio quel pubblico ammassato anche oltre gli spazi consentiti. In fondo, il calcio è anche e soprattutto questo. Memoria, storia e rispetto delle tradizioni.

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