Perez in Red Bull: una scelta che fa soprattutto gli interessi della Formula 1

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Perez in Red Bull: una scelta che fa soprattutto gli interessi della Formula 1

Pecunia non olet, dicevano gli antichi. Il denaro non ha odore. O forse a volte ne ha troppo per poter essere ignorato. Come nel caso dell’approdo di Sergio Perez in Red Bull nel 2021 al posto di Alexander Albon, fuoco d’artificio nel cielo di uno dei mondiali più spenti di sempre.

Un riconoscimento al bel finale di campionato del pilota messicano, che col secondo posto nel Gran Premio di Turchia e il primo successo della carriera in quello di Sakhir si è preso la quarta posizione della classifica generale. Da futuro disoccupato. Perché la Racing Point prossima Aston Martin, ingaggiato Sebastian Vettel per la prossima stagione, gli aveva preferito il compagno di squadra, nonché figlio del proprietario, Lance Stroll. Nonostante tra i due in questo biennio non ci sia mai stata storia con Perez sempre davanti. Sia in qualifica (27 a 8) che al traguardo (177 punti a 96).

Possono dunque esser state sufficienti due gare nelle ultime quattro – fino a Istanbul il miglior risultato di Perez erano due quarti posti – per folgorare l’ammiraglia “bibitara” al punto da farla recedere dalla sua decennale filosofia di piloti costruiti in casa? A fronte anche dell’onesto campionato di Albon, ora retrocesso a tester, autore di due terzi posti e sesto in classifica a soli venti punti da chi gli prenderà il posto? Il team principal Chris Horner è di quest’avviso: “Credo che la scelta di Sergio evidenzi ancora di più la nostra determinazione nel mettere in campo una squadra competitiva contro la Mercedes per la prossima stagione. Ovviamente vogliamo che le performance dei nostri piloti siano di livello, ma il nostro obiettivo non è la lotta tra loro, ma cercare di colmare il divario rispetto alla Mercedes” ha dichiarato a “Motorsport.com”. Però, alla luce dello strapotere delle Frecce d’Argento, pensare che il gap tra esse e la Red Bull dipenda dal secondo pilota ha le sembianze di un bel fuoripista. Oppure legittima il dubbio che la bevanda che mette le ali alteri la percezione della realtà. Anche perché l’avvicendamento ha sconfessato un altro dogma della scuderia anglo-austriaca: gli ingaggi low-cost. Quest’anno Perez ha guadagnato 4 milioni di euro, il doppio di Albon, destinati ad aumentare col suo sbarco in una squadra di vertice.

Già, i soldi. Intorno a quest’operazione ne orbitano molti altri. Come i 26 milioni di dollari assicurati dagli organizzatori del Gran Premio del Messico a “Liberty Media”, la società che gestisce la Formula 1, per la sua presenza nel calendario iridato. Un gettito sempre gradito, ma a forte rischio dopo la notizia che Perez sarebbe rimasto senza volante. Perché se dalle parti di “Mexico City” i motori sono molto popolari, l’autodromo è intitolato ai fratelli Rodriguez (piloti Ferrari negli anni Sessanta) e la gente è scesa in strada per celebrare la vittoria di “Checo”, è altrettanto innegabile che il ritorno d’immagine e i guadagni siano indubbiamente maggiori con un connazionale al via.

Tutti aspetti non indifferenti alla cabina di regia del Circus. Dal suo rientro in calendario (2015) il Gran Premio del Messico, grazie alla media sugli spalti di oltre 300.000 persone, è una delle tre corse con la maggior affluenza. Una ricchezza irrinunciabile per uno sport che, oltre a essere competizione e massima espressione della tecnologia automobilistica, è anche business. Lo ha confermato di recente pure il suo futuro numero uno, Stefano Domenicali, in un’intervista a “La Gazzetta dello Sport”. E in questo drammatico 2020, tra campionato iniziato in ritardo, annullamento di molti appuntamenti remunerativi (Asia e America), drastica riduzione degli introiti (l’organizzazione di un gran premio è scesa a 4-5 milioni), assenza di pubblico e rarefazione degli sponsor, sono andati in fumo troppi denari. Ora devono essere recuperati. Come? Intanto attraverso chi è sempre stato certezza d’incasso. Come il Gran Premio del Messico dove è probabile il tutto esaurito se l’idolo di casa guiderà una Red Bull che parte con chances di vittoria. Poi con l’aggiunta di nuovi e munifici partner. Tipo l’Arabia Saudita, maggior produttore mondiale di petrolio, che sul circuito di Jeddah ospiterà per la prima volta la Formula 1 in un calendario, Covid permettendo, allungato a 23 prove. Un record e un’enormità. Le squadre saranno perennemente in giro per il mondo con pochi giorni di riposo a disposizione oppure non li avranno quando i gran premi saranno consecutivi. Ma come dicevano gli antichi, pecunia non olet.

Classe 1982, una laurea in "Giornalismo" all'università "La Sapienza" di Roma e un libro-inchiesta, "Atto di Dolore", sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, scritto grazie a più di una copertura, fra le quali quella di appassionato di sport: prima arbitro di calcio a undici, poi allenatore di calcio a cinque e podista amatoriale, infine giornalista. Identità che, insieme a quella di "curioso" di storie italiane avvolte dal mistero, quando è davanti allo specchio lo portano a chiedere al suo interlocutore: ma tu, chi sei?

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