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A Ovest di Socrates: Gol e droghe di Walter Casagrande

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A Ovest di Socrates: Gol e droghe di Walter Casagrande

“Quando guardi a lungo nell’abisso l’abisso ti guarda dentro.”  Friedrich Nietzsche

Cosa fosse più difficile, o più complicato, forse non l’ha capito ancora oggi: sniffare più di due grammi di coca, iniettarsi eroina, fumare una canna di hashish e scolare una bottiglia di tequila tutto nella stessa sera; oppure realizzare un gol come quello contro la Fiorentina, con il controllo in palleggio dalla linea di fondo, spalle alla porta e la girata sul palo più lontano con un angolo di tiro inesistente. Era ad Ascoli, scorci di contrade medievali, merlature dei parapetti e olive ripiene grandi come palle da biliardo. La città appariva piccola e bellissima a ogni angolo svoltato dal gigante, che a ogni passeggiata si sentiva in testa la corona: Walter Casagrande lo leggeva negli occhi dei suoi tifosi, che si stropicciavano gli occhi per il solo fatto di averlo lì.

Anche se a lui i re non sono mai garbati molto e nemmeno i sovrani in generale, meno che mai i dittatori in divisa: col suo Corinthians aveva portato in giro il termine “Democracia”, primo autentico esempio di autogestione calcistica mentre era in corso la dittatura dei generali. Non era solo roba di pallone, anche perché ispirata da Socrates, uno che aveva sempre saputo guardare al di là del rettangolo di gioco.

Anche all’apparenza, non era un calciatore come gli altri: alla conferenza di presentazione per l’Ascoli, estate 1987, reduce da un anno al Porto tra infortuni vari e una storica Coppa dei Campioni, “Casão” si era presentato con gli occhialoni scuri, i jeans sdruciti, una curiosa borsa a tracolla.

Una modo anche questo, tra i tanti che aveva adoperato per scegliere come stare al mondo, compresi quelli di eccedere; altrimenti sarebbe stato lui e non Serginho il centravanti del Brasile nel 1982 in Spagna e avrebbe giocato molto di più in Messico quattro anni dopo. Erano già diventati di pubblico dominio i grammi di droga dei quali notorietà e ricchezza gli facilitavano la caduta nelle tasche. Non solo vizio, nel suo caso: anche un modo distorto di onorare la cultura della ribellione; è allora che il substrato del vuoto interiore consente di mettere radici alle piante più velenose. Ci sono demoni con i quali non si può e al tempo stesso non si vuole scendere a patti; se poi sei uno dei più forti attaccanti brasiliani della tua generazione il privilegio diventa un ostacolo più grande da non riuscire a saltare sul percorso delle tentazioni. Ai tempi del Corinthians erano sbornie e qualche canna, mentre accanto gli scorrevano i fiumi di birra di Socrates; poi è andato a crescere, in una sorta di inquietudine che la sua anima ascoltava in modo maldestro, mentre il mondo di fuori leggeva una punteggiatura di gol. Nei quattro anni ad Ascoli, dal 1987 al 1991, quando non gli era pesata nemmeno una retrocessione, tanto si era sentito a casa. Poi, quando Costantino Rozzi non aveva più potuto fare a meno di cederlo, altri due anni al Torino, grande centravanti di una squadra quasi grande: una Coppa UEFA persa in finale nel 1992 e la Coppa Italia vinta nel 1993. La sua Europa è stata molto più soddisfacente rispetto a quella di Socrates, che trascorse una sola stagione, intermittente ma a tratti tecnicamente memorabile, a Firenze.

Il ritorno in Brasile, tra infortuni e qualche buona partita, col Corinthians ancora o col Flamengo, è una discesa ancora più ripida verso gli inferi della dipendenza, del suo modo (oggi) consapevolmente autolesionista di giocare alla roulette russa. È così che adesso definisce il suo modo di vivere fuori dal campo, per più di vent’anni.

È stato un grande calciatore, ieri, Walter Casagrande, più di un metro e novanta da sfruttare in area e al tempo stesso una fulgida tecnica di base, aiutata dal baricentro piuttosto basso. È un individuo fortunato, oggi, quello stesso uomo che può dire di essersi sporto sul precipizio dell’abisso per poi riuscire a riguadagnare i propri passi indietro, anche in senso psicanalitico, per guardare in faccia una serenità che non aveva mai conosciuto quando aveva i riccioli lucidi e il nove o l’undici sulle spalle. Ha scritto libri per raccontarsi, continuando a scavare dentro l’uomo che nel frattempo è diventato; ha sentito il cuore fermarsi, letteralmente, dopo averlo rischiato per qualche decennio; ha cominciato a parlare ai giovani più esposti a certi rischi.

E ogni volta che torna a fare due passi in Piazza del Popolo, ad Ascoli, finge di sorprendersi del fatto che la città si ferma ancora per omaggiarlo; si schermisce perché ancora lo trattano da re, anche se a Walter Casagrande i re non piacevano e non piacciono; meglio mangiare le olive in un posto che ti diventa caro come quello in cui hai visto la luce: perché ci sono i luoghi di nascita e i luoghi dell’anima e “Casão” la sua la riporta in mezzo agli ascolani dopo averla vista risalire da un pozzo nero, sulla cui superficie si specchiava solo il volto di un calciatore di successo, ma la storia che avrebbe raccontato tanti anni dopo valeva la pena di aspettare che affiorasse in superficie.

Romano, 47 anni, voce di Radio Radio; editorialista; opinionista televisivo; scrittore, è autore di libri sulle leggende dello sport: tra gli altri, “Villeneuve - Il cuore e l’asfalto”, “Senna - Prost: il duello”, “Muhammad Ali - Il pugno di Dio”. Al mattino, insegna lettere.

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