Vitoria è una città basca, che più basca non si può.
Anche senza l’eleganza di San Sebastian, senza il fascino operaio di Bilbao.
Senza la bellezza ostentata dell’Oceano.
Vitoria rimane nascosta, come a proteggere il cuore pulsante della propria identità che è quella dell’intero popolo basco, racchiuso orgogliosamente tra le proprie montagne.
E ai margini di questo cuore, prima che inizi il dedalo di vie che formano il centro storico della città alavesa, c’è Plaza de la Virgen Blanca, centro nevralgico cittadino e casa di tutte le feste, tradizionali e sportive.
Il Deportivo Alaves, el Glorioso, grazie alla vittoria contro il Numancia, si è guadagnato sul campo la promozione matematica ed il ritorno nella Liga dopo dieci anni.
Dieci anni infiniti per i tifosi biancoazzurri, vissuti sempre sul filo del fallimento, tra sconfitte umilianti e delusioni cocenti.
Gli anni 2000 sono stati infatti per l’Alaves un’altalena di emozioni.
Il ritorno nella Liga, dopo 42 anni di assenza, nel 1998.
L’appuntamento con la storia del 2001 quando i biancoazzurri baschi escono sconfitti 5-4 nella finale di Coppa Uefa contro il Liverpool, condannati da un autogol di Geli ai supplementari, in quella che viene ricordata come una delle finali più belle di sempre e che è, a tutti gli effetti, il punto più alto toccato dall’Alaves.
Poi il canto del cigno, nel 2002, con l’ultima campagna europea e la retrocessione in Segunda.
Di lì in poi i problemi. Una forte crisi economica dovuta ad una gestione scellerata da parte del presidente ucraino Dmitry Piterman.
Crisi che esplode definitivamente nel 2007 quando il neo presidente Ortiz si trova costretto a tagliare i fondi ed affrontare la Segunda con una squadra giovane a budget ridotto.
L’Alaves si salva con due imprese contro Real Sociedad e Celta ma è costretto alla Segunda B l’anno successivo.
Segunda B dove i biancoazzurri resteranno per quattro stagioni, rischiando di nuovo il fallimento e venendo salvati dall’intervento congiunto del presidente della squadra di basket Baskonia Josean Querejeta e delle istituzioni.
La costante di questi anni bui per gli alavesi è stata infatti la vicinanza della città e, sopratutto dei tifosi che, anche negli anni della Segunda B, hanno affollato il Mendizorrotza, con medie sempre superiori ai 6000 spettatori in terza divisione e oltre i 9000 in Segunda.
Fino a questa stagione, quella del grande ritorno.
Una squadra cinica, un gioco concreto. Ad una giornata dal termine, settantaquattro punti, frutto di 48 gol fatti e 34 subiti. Numeri che fotografano in pieno la solidità dei ragazzi di Pepe Bordalas.
A fronte di una Società capace di appianare finalmente la situazione creditizia e riuscire a dichiarare definitivamente conclusa la crisi economica dell’Alaves. Capace di creare finalmente un progetto solido.
L’Alaves è passato dal Westfalenstadion di Dortmund all’Arlongusia di Lemona, duemila abitanti al centro della Vizcaya.
Ha toccato con mano il sogno UEFA, viaggiando per l’Europa, e ha perso contro l’Albacete, dovendo affrontare l’umiliazione della Segunda B.
Inferno e paradiso che hanno creato intorno ai biancoazzurri un attaccamento sincero, un’armonia totale fra città, tifosi e squadra.
La prossima stagione, è chiaro fin da ora, servirà un’impresa, ma nessuno sembra aver paura.
Intanto la Plaza de la Virgen Blanca è tornata a vestirsi a festa.
E una città orgogliosa fra le montagne basche è tornata a sognare col calcio.