Fin da piccolo, aveva sempre sognato di fare il calciatore. Di diventare il numero 1 della sua nazionale, la Siria. E fino a quando la guerra non è entrata nella sua vita, come in quella di tutti i siriani, il suo sogno stava diventando realtà.
Nosheen Hanaan, originario di Aleppo, sarebbe infatti potuto diventare il portiere della nazionale siriana. Si era guadagnato la stima del tecnico Fajr Ibrahim, dopo aver difeso la porta della formazione in cui militava, l’Al Hurriya, una squadra locale a nord di Aleppo. Era considerato più o meno da tutti, una “budding star”, un campione in erba.
Fino a quando la guerra, maledetta guerra, non è arrivata a rovinargli la vita. Distruggendo le sue ambizioni, come quelle di tanti altri calciatori di belle speranze come lui. In molti, infatti, tra i calciatori, hanno deciso di lasciare il Paese: chi, perché contrario al regime di Assad; chi perché voglioso di continuare a giocare, lontano dalle bombe e dagli spari.
“La guerra ha danneggiato lo sport siriano, molte famiglie hanno paura a mandare i loro figli in una delle squadre locali” avrebbe detto Maj. Gen. Mowafaq Joumaa, responsabile per lo sport nel governo di Assad, come riporta il sito di Al-Arabiya. Tra coloro (si stima oltre 1 milione di siriani) che sono scappati dalla guerra per cercare rifugio in Libano, ci sarebbero stati anche alcuni ex calciatori che avrebbero formato una “squadra in esilio”, con la speranza di poter diventare “la nazionale siriana” una volta caduto il regime di Assad.
Anche Nosheen Hanaan è stato costretto a lasciare prima il calcio e poi la Siria. E’ successo nel 2012, quando i combattimenti sono arrivati fino ad Aleppo, la sua città. Nell’estate del 2012, la cittadina siriana, al confine con la Turchia, divenne infatti teatro di sanguinosissimi scontri tra il FSA (Free Syrian Army) e le milizie governative di Assad. A quel punto anche Hanaan decise di abbandonare il suo Paese.
“Non ho avuto neanche il tempo di prendere le cose dentro casa” . E da quel momento, la sua vita è cambiata. Ed è iniziato un lungo peregrinare. Dapprima, verso nord, lungo il confine con la Turchia. Per intere settimane. Fino al primo “rifugio”: un fienile, condiviso con altre dodici persone. “Senza bere né mangiare, accovacciato, l’uno vicino all’altro” avrebbe ricordato ad un emittente araba.
Poi, l’arrivo in Iraq, passando dalla Turchia. Nella città di Erbil, la capitale a nord della regione abitata dai curdi. Senza casa, ma sano e salvo. Lì, ad Erbil, Hanaan ha così potuto mettersi alla ricerca di un lavoro, per “poter mandare i soldi alla mia famiglia rimasta in Siria”. Niente che abbia a che fare con il calcio. Dato che per legarsi ad una società locale, avrebbe bisogno di un permesso del governo di Assad. Fino a quando, alla fine, l’opportunità di lavoro è arrivata.
Hanaan ha potuto così iniziare a lavorare come cameriere in un bar. E, una volta alla settimana, dopo il lavoro, una partita a calcio con i suoi colleghi. Per continuare a vivere quel che resta di un sogno. Anche se, il primo a non crederci più, sembra proprio lui.
“Penso che il mio sogno è finito” avrebbe ammesso. Già. Maledetta guerra.
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