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Non solo Cile: se la politica entra a gamba tesa sul Calcio (e lo ferma)

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Non solo Cile: se la politica entra a gamba tesa sul Calcio (e lo ferma)

Il Cile, dalla metà di ottobre, sta attraversando una grave crisi interna. La miccia che ha fatto scoppiare le proteste è stata la decisione, voluta dal governo conservatore guidato da Miguel Juan Sebastián Piñera Echenique, di aumentare il prezzo del biglietto dei mezzi di trasporto. Un aumento che è andato a colpire soprattutto le classi meno agiate del paese sudamericano, le quali, per far valere i propri diritti, hanno cominciato a scendere in piazza e a dar luogo a duri scontri con la polizia.

A tutto questo il governo ha risposto con una forte repressione e con l’instaurazione di un vero e proprio coprifuoco. Una situazione che, a detta di molti, ha riportato il Cile indietro di alcuni anni quando al potere vi era il dittatore Augusto Pinochet.

Tra i vari ambiti che hanno subito le conseguenze di tale situazione non poteva mancare quello calcistico. Il campionato nazionale, difatti, è stato interrotto a 6 giornate dal termine.

Gli stessi tifosi di alcune delle più importanti squadre di calcio cilene, ad esempio quelli del Colo Colo e della Universidad de Chile, si sono uniti nella lotta scendendo nelle piazze e nelle strade della capitale Santiago per protestare. Una vera e propria novità se si pensa che, sul campo, questi due team si contraddistinguono per una eterna rivalità.

La situazione attuale, nonostante le promesse e i ripensamenti dello stesso governo, non sembra essere vicina ad una soluzione. Questo clima ha fatto perdere al paese sudamericano alcuni importanti eventi che doveva organizzare come la Cop25 (la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) che si sarebbe dovuta svolgere, il prossimo dicembre, proprio nella capitale cilena di Santiago. Luogo scelto anche per ospitare la Finale di Coppa Libertadores 2019 tra Flamengo e River Plate, prevista per il 23 novembre, adesso al alto rischio spostamento.

Secondo alcuni è in dubbio anche la candidatura del Cile, assieme a Uruguay, Argentina e Paraguay per organizzare la Coppa del Mondo del 2030. Quell’evento sarà di straordinaria importanza visto che sarà “l’edizione del centenario” (la prima edizione si svolse infatti nel 1930 in Uruguay): se sarà ritirata la candidatura, questa scelta rappresenterà una bella mazzata sotto numerosi punti di vista, in primis quello economico.

Non è la prima volta che, a causa di eventi di natura politica, si è deciso di fermare i campionati calcistici di un determinati paese del mondo. Vediamo, di seguito, alcuni esempi del recente passato.

GRECIA:

Il paese ellenico, come molti di voi ben sapranno, è stato uno degli stati del Vecchio Continente che ha subito le conseguenze maggiori della crisi economica scoppiata nel 2008. Il governo di Atene, per stare dietro ai diktat finanziari imposti dalle banche, ha dovuto fare una serie di tagli sociali.

Tra questi, come è ovvio che sia, non è stato risparmiato il mondo del pallone. Nel settembre 2014, ad esempio, pochi giorni prima l’inizio ufficiale della stagione il campionato di serie b locale, conosciuta con il nome di Football League, venne rinviato a tempo indeterminato “per le difficoltà finanziarie e istituzionali del settore”.

Erano vari e problemi che interessavano la lega ellenica di seconda divisione. Dalla mancanza di fondi dei singoli club, che erano così impossibilitati a pagare gli stipendi di calciatori e staff tecnico, fino al taglio del 30% alla sponsorizzazione della Serie B da parte della Opap, il consorzio che gestisce le scommesse ad Atene.

ALGERIA:

Il grande paese nordafricano è stato più volte, negli ultimi anni, teatro di rivolte. Dal periodo delle cosiddette “Primavere arabe” tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 il governo di Algeri ha dovuto affrontare varie tensioni sociali interne.

Tutto questo ha portato, più di una volta, alla sospensione del campionato calcistico nazionale, la Ligue 1, che fino al 2010 era chiamato Championnat National. A far sì che ci fossero così tante interruzioni vi è soprattutto il fatto che, sugli spalti di numerosi stadi algerini, molti ultras locali non perdono occasione di esprimere le loro opinioni ed il loro dissenso vero la classe politica di Algeri. L’ultimo evento, in ordine cronologico, che ha portato alla sospensione del campionato locale da parte della Federazione calcistica algerina (la FAF) risale solamente a pochi mesi fa. Era infatti l’inizio del 2019 quando, in numerosi stadi del grande paese nord-africano, ci furono numerose manifestazioni di protesta contro la nuova candidatura a premier di Abdelaziz Bouteflika, al potete dal 1999. Una protesta che ha portato ai suoi frutti: il 2 aprile scorso, a seguito delle varie proteste levatesi, Bouteflika si è dimesso.

VENEZUELA:

Il grande paese a nord del Sud America è un altro stato in cui, negli ultimi mesi, la situazione politica interna è tuttaltro che tranquilla. Difatti il governo Maduro, il cui capo è il delfino dell’ex presidente Chavez morto nel marzo 2013, sta affrontando una vera e propria guerra fredda contro il governo ombra filo-statunitense guidato da Juan Guaidò.

Tale crisi ha portato a numerose restrizioni per la popolazione locale. Era inevitabile che anche lo sport dovesse risentire delle problematiche sociali e logistiche derivanti dallo stato di emergenza.  Lo scorso marzo, a seguito dei continui blackout verificatisi nella capitale Caracas, il presidente della federcalcio venezuelana, Laureano González, ha fermato tutti i campionati «a tempo indeterminato, fino a quando non ci saranno di nuovo le condizioni per garantire il normale svolgimento degli incontri programmati». Per la precisione, oltre al torneo di Prima Divisione, sono stati sospesi anche il campionato di Seconda Divisione e quello femminile.

YEMEN:

Il paese del golfo arabo, come da noi descritto in un precedente articolo, è in guerra da marzo 2015. Il conflitto interno, per la precisione, vede contrapposti i ribelli Huthi e le forze leali al governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi ed ha prodotto, ad oggi, circa 3 milioni di profughi yemeniti.

Dalle parti del governo di Sana’a mancano moltissimi beni essenziali per la popolazione locale che, in questo modo, ha trascurato uno dei pochi sport che ancora aveva un certo seguito nell’intero paese: il calcio.

A causa del conflitto, inoltre, federazione calcistica interna locale (la Yemen Football Association,  il cui acronimo è YFA) è stato indotta a bloccare, nel 2015, il campionato nazionale a seguito dei bombardamenti. Altro problema che ha portato a questo stop sono state le turbolenze economiche in cui si sono trovati, per lo scoppio del conflitto, i vari club della YFA.

SIRIA:

Il paese del medio-orientale è teatro, dal marzo 2011, di una guerra interna tra i ribelli e fedeli al presidente Bashar al-Assad. Anche in questo caso uno degli ambiti ad essere maggiormente colpiti è stato quello calcistico.

Il campionato locale, conosciuto con il nome di Syrian Premier League, è stato sospeso per una sola stagione, quella del 2010-2011. A causare tale sospensione è stata la decisione, almeno secondo quanto fatto sapere dalla federazione calcistica locale, di alcuni team del campionato di ritirarsi dal torneo a causa della difficoltà di spostamenti interni durante le trasferte.

Negli anni successivi i match si sono disputati anche se non in maniera regolare per vari motivi. Ad esempio alcuni dei calciatori che militano nei club del paese sono morti sui campi di battaglia  oppure alcuni stadi sono stati distrutti dai bombardamenti che, ancora oggi, continuano ad interessare le zone del paese in cui i ribelli hanno il controllo della situazione.

LIBIA: 

Il Paese nordafricano vive una crisi e instabilità politica che ormai dura del 2011, anno della prima guerra civile che portò alla morte di Gheddafi. Per questi motivi la stagione 2010-11 venne sospesa per poi riprendere nel 2013-14.  L’inizio della seconda guerra civile ha poi comportato un secondo stop nel 2015, salvo poi ricominciare nel 2016 fino a oggi.

Calcio e politica. Un binomio sempre più indissolubile.  E che non può essere ignorato. Mai.

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