“Non sarò mai Felipe”: Massa e quel Mondiale perso ben prima di Interlagos
“Felipazo”. Ovvero il “Maracanazo” della Formula-1. Dal 2008 per i brasiliani il gran premio di casa è l’equivalente motoristico della tragedia calcistica del 1950. Quando la nazionale verdeoro perse la coppa del mondo al “Maracanà” di Rio de Janeiro contro l’Uruguay e fece piombare un Paese intero nella disperazione.
Come il 2 novembre di tredici anni fa. Felipe Massa taglia il traguardo di Interlagos da vincitore e da campione del mondo salvo ritrovarsi sconfitto trentanove secondi più tardi. Quando il suo rivale, Lewis Hamilton, a poche curve dalla bandiera a scacchi supera la Toyota di Timo Glock e si prende il punto necessario per il primo iride della carriera.
Per Massa, la Ferrari e tutto il Brasile, una beffa atroce. Destinata a tramandarsi nel tempo. Insieme a un racconto distorto di quel campionato che, complice il pathos dell’epilogo e un certo giornalismo più cinematografico che automobilistico, è trasfigurato in un complotto ordito da forze malvagie. Dove uno scherano subdolo (Glock) spodesta e condanna all’infelicità il prescelto al trono (Massa) in favore di un “Re Nero” dall’animo spietato (Hamilton).
La realtà invece racconta un’altra storia. Massa non perse il mondiale dopo averlo vinto (certe primizie giusto il PD…). E Interlagos, per quanto amaro, non fu che il quinto e ultimo atto del “Non sarò mai Felipe”, melodramma sportivo andato in scena durante tutta la stagione. Protagonisti: errori del pilota brasiliano, problemi di affidabilità della F2008 e disastri del box Ferrari.
I°ATTO – IL KAMIKAZE DELLA MALESIA: Sepang, 23 marzo, domenica di Pasqua. Gran Premio della Malesia, seconda tappa del campionato. Prima fila tutta rossa, Felipe davanti a Kimi Raikkonen per un Cavallino di nuovo rampante dopo il duplice disarcionamento dell’Australia a causa di un propulsore troppo imbizzarrito. Occorre una risposta immediata. Anche per la nuova gestione sportiva. Dove Stefano Domenicali ha preso il posto di Jean Todt, che cinque mesi prima aveva brindato proprio a Raikkonen campione del mondo al primo anno a Maranello. Giusto per ricordare che si può vincere anche senza un certo Michael Schumacher.
Massa parte bene e va in testa. Ma dopo il primo pit stop è dietro al compagno di squadra, ancora affamato di successo. Felipe non lo accetta, forza troppo e a metà gara, solitario secondo, va in testacoda tra le curva 7 e 8 e s’insabbia. Insieme a otto punti sicuri e a un’altrettanta certa doppietta per la scuderia. Un errore di concentrazione che riflette la poca capacità a gestire l’imprevisto negativo che un aspirante al titolo deve invece possedere. Soprattutto se uno dei rivali non è in giornata. Perché Hamilton finisce quinto, ma saluta Kuala Lumpur con un parziale in classifica di 14-0 sul paulista. In un campionato dove si assegnano punti fino all’ottavo posto, ma con distacchi minimi (10-8-6-5-4-3-2-1), è già una mezza fuga. O un mezzo abisso. Dipende dalla prospettiva di osservazione.
II°ATTO – PIT SHOCK: Nel 2008 ci sono ancora i rifornimenti. Dove contano strategia, freddezza e sincronia. Grazie ai meccanici e al muretto nell’era Schumacher la Ferrari aveva costruito molte vittorie. Ma ora in Canada, 8 giugno, quello smalto sembra perduto. C’è Hamilton davanti a Kubica (BMW) con Raikkonen che incombe. Al diciottesimo giro i tre approfittano della safety-car e rientrano per il pit stop. Così la Ferrari richiama anche Massa per la doppia sosta in sequenza. Ma scoppia il caos. L’uscita della pit lane pare un incrocio cittadino. Semaforo rosso, per ripartire bisogna aspettare il verde. Affiancati Raikkonen e Kubica, in ritardo invece Hamilton che però, come un automobilista stressato da una giornata di lavoro, non frena e tampona il campione del mondo. Corsa finita per entrambi e occasione d’oro per Felipe. Che però al giro successivo si ferma nuovamente. Non era entrata tutta la benzina. La gara è compromessa. Precipita in fondo al gruppo, fa una rimonta piratesca con un doppio sorpasso al tornantino su Barrichello e Kovalainen, ma chiude soltanto sesto. Prende tre punti e raggiunge Hamilton alle spalle di Kubica, quel giorno vincitore per l’unica volta in carriera, però la sensazione, diffusa e comprensibile, è di rabbia (e di frustrazione per Kimi).
III°ATTO – FUMI MAGIARI: Per vincere un mondiale, non basta il pilota. Serve anche una vettura competitiva e affidabile. La F2008 è la migliore. Però è fragile. Dopo l’Australia è andata in tilt anche in Francia (22 giugno) quando uno scarico singhiozzante ha costretto Raikkonen a farsi sfilare da Massa e scortarlo all’arrivo per l’ultimo “uno-due” rosso di una stagione che vedrà la Ferrari comunque primeggiare per vittorie (8), giri veloci (13) e podi (19). La conquista del titolo Costruttori sarà una naturale conseguenza di questa supremazia tecnica.
Ma il 3 agosto, in Ungheria, la McLaren sembra di averne di più. Hamilton, motivato da due successi consecutivi (Silverstone e Hockenheim) e dalla vetta, stampa la pole-position. Con il compagno di squadra Heikki Kovalainen ad affiancarlo su un circuito dove è impossibile superare, il film della domenica pare scontato. Ma al via Massa stravolge copione e luoghi comuni. S’infila tra le due “Frecce d’Argento” e alla prima curva è al comando. Prende il largo e ha un ritmo inarrestabile mentre alle sue spalle affogano tutti nell’afa magiara. Hamilton addirittura annaspa in sesta posizione. Ma quando mancano tre giri alla fine e alla pausa estiva, una nube biancastra avvolge la “Rossa” numero 2 mentre transita sul rettilineo principale. Il motore ha ceduto. Sfumano una vittoria strameritata, il sorpasso in classifica e il rovescio psicologico a Hamilton che invece, come a Sepang, monetizza altri quattro punti. Come se non bastasse, Massa subisce anche il sorpasso di Raikkonen, che rilancia le sue legittime ambizioni iridate. A sette gare dal termine: Hamilton 62, Kimi 57, Massa 54.
IV°ATTO – SPROFONDO ROSSO: Singapore, 28 settembre. Ottocentesimo gran premio nella storia della Formula-1, il primo in notturna. Su un tracciato cittadino e al debutto, che esalta la F2008 tanto che Massa fa la pole e lascia Hamilton a oltre mezzo secondo. Nell’aria c’è il profumo dell’atteso balzo al vertice. E tutto sembra procedere al meglio. Felipe fa l’andatura e Lewis insegue. Fino al tredicesimo giro. Quando Piquet va a muro per una delle pagine più vergognose della storia delle corse ed entra la safety-car. Altre quattro tornate e, come in Canada, pit stop in contemporanea per le Ferrari. Il primo stavolta è Massa. Al quale però viene dato il via prima che sia terminato il rifornimento. Lui riparte col bocchettone della benzina ancora attaccato al serbatoio. Si ferma in fondo alla pit lane e attende l’arrivo affannato dei meccanici affinché lo rimuovano. Una scena da “Stanlio e Ollio”. Felipe annega in fondo al gruppo dove, come in un supplizio, rimarrà fino al termine. È distrutto nell’animo e si perde il conto dei suoi testacoda. Hamilton conclude terzo e allunga a +7. I rimpianti hanno le vertigini nella notte sopra Marina Bay.
V°ATTO – “FELIPAZO”: Massa arriva al diciottesimo e ultimo appuntamento in Brasile tra il disperato e il mistico. La classifica dice Hamilton 94 e lui 87. Per conquistare il titolo, deve vincere con l’inglese al massimo sesto. A parità di punti sarebbe campione per il maggior numero di vittorie (6 a 5). Un’impresa alquanto complicata, ma Felipe confida in un’alchimia rabdomantica che mescoli spiritualità, torcida e macumbe varie. Un anno fa proprio qui, sempre all’atto conclusivo, Raikkonen arrivò con lo stesso distacco (sempre da Hamilton) e riuscì ad aggiudicarsi il titolo per un punto. La storia potrebbe ripetersi.
Firma la sesta pole della stagione (record) davanti a Trulli e Raikkonen. Lewis è quarto, ma non vuole rischiare. Così, mentre Massa domina una corsa iniziata dietro la safety-car a causa di un violento acquazzone pochi minuti prima dello start, lui staziona tra la quarta e la quinta posizione. Fino al sessantaseiesimo dei settantuno giri. Quando cambia il meteo. Ritorna la pioggia. Attesa e temuta. Si va ai box, gomme da bagnato. Ma la classifica rimane pressoché invariata. Massa sempre in testa, Hamilton quinto. Poi, l’imponderabile. Al sessantanovesimo passaggio un indemoniato Vettel (Toro Rosso) sorpassa Hamilton, che scivola sesto. Boato della folla. La magia sembra avverarsi. Felipe, il ragazzo di San Paolo, nonni italiani, in Ferrari dal 2003, pupillo di Schumacher, il figlio di Jean Todt come manager, che vince il mondiale negli ultimi giri dell’ultima gara, davanti alla sua gente ancora orfana di Ayrton Senna.
Sennonché non tutti hanno montato gli pneumatici da bagnato. Le Toyota sono rimaste su quelli da asciutto. Superficie liscia, in pratica è come camminare sul ghiaccio. Perché la pioggia prosegue e l’asfalto è sempre più viscido. Glock inizia l’ultimo giro in quarta posizione, ma non sta in pista. Vettel e Hamilton lo infilano quando mancano quattro curve alla bandiera a scacchi. Quando Massa è già transitato sul traguardo da vincitore. Quando le tribune sono già esplose di gioia perché tutti pensano sia fatta. Quando dentro al box Ferrari alcuni già si abbracciano. Trentanove secondi dopo aver alzato il dito al cielo dal suo abitacolo, Felipe si ritrova sconfitto. Un po’ non ci crede, un po’ non riesce ad accettarlo. Sul podio il suo volto intreccia lacrime e fierezza. Ringrazia il pubblico e la squadra, mostra orgoglioso la coppa del vincitore, come a dire che lui, il suo, l’ha fatto. Forse immagina che in futuro avrà un’altra opportunità, ma non può sapere che quella sarà la sua ultima vittoria in Formula-1 e che sta vivendo il punto più alto di una carriera che si concluderà nel 2017.
IL SONNO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI: L’emotività degli ultimi giri stratifica in suggestioni tra lo struggente e il torbido. C’è chi dipinge Massa come un piccolo fiammiferaio al quale mani crudeli hanno tolto la felicità. Ovviamente, come sempre accade in casi del genere, queste mani non hanno un nome. E nemmeno un corpo. Probabilmente si muovono da sole, tipo la ‘Mano’ della famiglia Addams. E poi ci sono quelli che parlano di complotto. Glock, amico di Hamilton, si è fatto sorpassare apposta. Gli ha regalato il titolo. Affronto, vergogna, cattivo. Gli uomini della Toyota sono assediati. Temono il linciaggio. Jarno Trulli, in una diretta streaming durante il lockdown, ha raccontato che per lasciare il circuito in sicurezza si tolsero le divise ufficiali col logo della squadra.
Deliri figli dell’ignoranza e, come consuetudine, dell’incapacità di confrontarsi con la realtà. Che racconta come in mezzo giro Vettel e Hamilton rifilarono sei secondi a Glock. Per la Formula-1, un’eternità. Lo stesso Trulli, davanti a Kovalainen a due giri dalla fine, gli finì a tredici secondi. Non ci fu nessun aiuto e nessuna trama oscura. Le Toyota erano rimaste sulle slick, sperando che la pista fosse ancora guidabile, per chiudere con un bel risultato. Ma l’azzardo non pagò. E senza volerlo dette vita al climax del “Non sarò mai Felipe”. Una collezione di sventure, tutte dipinte di rosso, per le quali è doveroso ricordare Enzo Ferrari: “La fortuna e la sfortuna non esistono”.