Argentina, che mistero: sulla carta, fortissima. Sul campo, impalpabile. I tre schiaffoni rimediati in Brasile ne acuiscono i mali. Ad oggi, l’albiceleste non giocherebbe i Mondiali. Uno scenario apocalittico: ma perché l’Argentina non vince mai? E che problemi ci sono in patria?
In primis, la disorganizzazione: la Federcalcio ha un “buco” di 30 milioni di euro e sino al 2017 è in regime di “spending review”. L’ultima soluzione per ridurre le spese è cervellotica: un campionato a 30 squadre per allinearsi al calendario europeo e non alterare gli esiti sportivi condizionati dal calciomercato. E la progettualità? Può farsi benedire da Papa Francesco.
In Argentina ogni club vende 6-7 giocatori l’anno, reinveste solo una minima parte dei ricavi delle cessioni e, per non scontentare la piazza, richiama qualche vecchia gloria a parametro zero. L’unico obiettivo è valorizzare talenti. Basta scorrere le rose della “Primera division”: un inno alla speranza. Nel senso che si spera siano notati e pagati dai ricchi club oltreoceano. Risultato: campionati dai verdetti estemporanei e un movimento di base che non cresce e riesce a trattenere i propri campioni.
In effetti, i talenti non mancano. Specialmente attaccanti: questione di selezione naturale. Da queste parti la via della rete è infestata da mediani e difensori che attenterebbero anche alle caviglie delle loro madri. Chi segna in Argentina, ci riesce ovunque. Chi difende a quelle latitudini, collezionerebbe, altrove, più rossi che presenze. Urge un allineamento del metro arbitrale ai canoni del calcio internazionale.
E poi, l’ambiente: l’Argentina è zeppa di campioni che hanno vinto trofei ovunque, tranne che con la nazionale. E per questo sono “gilipollas”, o “gonorreas”, traducibile in stronzi che DEVONO restituire alla madrepatria le gioie regalate ai loro club europei. Messi e compagni sono attesi al varco, piuttosto che sostenuti, e costretti a dribblare anche i fantasmi. Uno particolarmente ingombrante: Diego Armando Maradona, incubo per chi indossa la “camiceta” albiceleste. Lui è D10S: ha vinto da solo i mondiali messicani, unico fuoriclasse fra criminali prestati al calcio e due o tre individualità di spessore.
E dunque, perché, questa nazionale, molto più forte rispetto a quella del 1986, osa non vincere? Chi non emula Diego, è destinato al tritacarne mediatico. Chiedere a Messi e Higuain. Hanno ciccato i palloni che avrebbero condotto l’Argentina in cima al mondo e al Sudamerica. E per questo sono maldecidos y odiados. Maledetti e odiati.
Il problema, dunque, non è nei piedi, quanto nella testa. Soluzioni? L’unica medicina è vincere. Anche la presunzione. Stampa e addetti ai lavori non tollerano l’idea di affidarsi a un tecnico straniero. L’Argentina agli argentini. Forse, un selezionatore impermeabile all’ambiente e alle pressioni potrebbe essere utile: del resto, il talento non manca.
Assolutamente d’accordo, il tema principale è la progettualità. Da Maradoniano convinto, ritengo anche che questa Argentina sia superiore nelle individualità a quella del 1986, ma paga il poco carisma del Capitano, Leo Messi, a detta di molti poco argentino e molto catalano. Non dimentichiamoci che la Pulce nel Barcelona per molto tempo non è stato nella triade dei capitani e anche adesso nel vestuario la voce che più conta è quella di Mascherano, ribattezzato, non a caso, dai tempi del River, El Jefecito