“La fortuna aiuta gli audaci” si dice spesso. Guardando ai due vincitori del torneo di Wimbledon 2018, che di certo dati alla mano non erano tra i favoriti, credo non ci sia espressione migliore per raccontare il loro percorso che, in particolare per il 2017 è stato molto travagliato.
L’atto finale femminile infatti ha visto di fronte la tedesca Angelique Kerber (numero 10 del seeding ad inizio torneo) e la quasi 37enne Serena Williams, tornata a dare del tu alla pallina e sul grande palcoscenico dopo la pausa di un anno per la maternità (si tratta della sua decima finale a Wimbledon). La tedesca, ha approfittato saggiamente dell’eliminazione di tutte le principali favorite e con grande audacia, si è fatta trovare pronta e non ha deluso le attese. Al secondo tentativo contro l’americana (Serena ha avuto la meglio sulla tedesca nel 2016) è riuscita a spodestarla aggiudicandosi (6-3 6-3) per la prima volta il torneo prestigioso e portando a tre i titoli dello Slam in carriera (Le manca il Roland Garros). Con questa prova sontuosa (solo 5 errori gratuiti in tutto il match), torna nella top five (4°) dopo aver iniziato la stagione al 22° posto.
Riavvolgendo il nastro e pensando allo scorso anno, deludente e molto travagliato, sottolinea: “Dopo la scorsa stagione – ha detto in conferenza stampa – nessuno si sarebbe aspettato di vedermi qui, ma sono stata capace di tornare e migliorare. Lo scorso anno ho solo pensato a crescere come giocatrice, senza badare troppo ai risultati, e ora sono una giocatrice migliore. Senza le difficoltà dello scorso anno non sarei mai riuscita a vincere questo torneo”. Una spinta a risollevarsi è arrivata anche da Wim Fissette, assunto a fine 2017 e capace di riportare la Kerber dove merita: “Abbiamo provato a migliorare il mio tennis, grazie a lui ho cercato di essere più aggressiva e sono migliorata al servizio. Penso che servire bene nei momenti importanti sia stata una delle chiavi del mio torneo e anche di questa finale”. Con questa vittoria risulta essere la seconda giocatrice, dopo la sorella Venus, ad aver battuto due volte in finale Serena e riporta una tennista tedesca nell’albo d’oro del torneo dai tempi dell’ultima vittoria di Stefy Graff nel 1996.
In campo maschile invece, torna alla ribalta Novak Djokovic, un giocatore che dopo un 2016 da extraterrestre, sembrava non ritrovare più la luce in fondo al tunnel. Al torneo londinese (da numero 21 mentre dopo la vittoria è salito al decimo posto) è ritornato ai fasti di un tempo, togliendosi il lusso di battere Nadal in semifinale, guadagnandosi da favorito la finale contro Anderson. Senza grosse difficoltà, si è imposto in tre set (6-2 6-2 7-6) sul sudafricano e ha portato a quattro le sue vittorie del torneo sull’erba dopo quelle del 2011, 2014 e 2015 (tredicesimo successo del serbo in uno Slam in 22 finali giocate, a un passo da Sampras che si fermò a 14). Un successo che lo riporta nell’olimpo dei grandi, a distanza di oltre due anni dall’ultimo trionfo Slam risalente al 2016 quando al Roland Garros superò in finale Murray. Novak, tra momenti negativi e l’infortunio al gomito, ritrovare in fretta la forma sembrava un miraggio, come confermato da lui stesso in conferenza stampa: “Non pensavo di riuscire a tornare al top della forma qui a Wimbledon anche se le mie aspettative erano alte e non riuscivo a capire come mai non riuscissi a giocare al mio livello di nuovo. Devo ringraziare le persone che mi sono state vicine e che hanno creduto in me”. Proprio il ritorno al vecchio team, dopo l’esperienza con il duo Agassi e Stepanek, sembra avergli ridato fiducia e serenità: “Sono grato a Marian per essere tornato. Non mi sono sentito male a richiamarlo, anzi, ero emozionato. Abbiamo parlato dopo la partita e lui sta programmando di continuare a lavorare con me. Sicuramente lavoreremo insieme fino a fine anno e poi vedremo”. A spingerlo ulteriormente al ritorno tra i grandi, ci ha pensato anche il figlio Stefan a cui ha dedicato la vittoria: “Avere Stefan qui era uno dei motivi per i quali volevo fare bene”.
Il ritorno di questi due giocatori nel grande palcoscenico dimostra che i veri campioni, sebbene possano arriviare a toccare il fondo, non dimenticano come si fa a ritornare a galla.