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Nicolai Lilin: “I tifosi russi sono abituati a combattere come i 300 di Sparta, gli altri sono solo hooligans. Ma da russo mi vergogno”

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La prima fase degli Europei di Francia 2016 si conclude registrando la recrudescenza del tifo. Se il fenomeno hooligans sembrava ormai superato negli anni ’90 i fatti di Marsiglia e di Lille hanno fatto emergere che qualcosa scricchiola in Europa, dalla Gran Bretagna all’Europa dell’Est fino ad arrivare alla Russia. Di tutto questo ne abbiamo parlato con lo scrittore e tatuatore Nicolai Lilin che nel sua romanzo d’esordioEducazione siberiana” (ed Einaudi) racconta come la violenza sia stato pane quotidiano nella Russia nella quale è cresciuto.

Nelle prime partite di Euro 2016 si sono registrati diversi episodi di scontri fino a una vera e propria guerriglia urbana, come a Marsiglia e Lille, che hanno visto come protagonisti i tifosi russi. Perché le tifoserie russe sono così violente?

In questo caso io vedo l’esagerazione dei media occidentali  e la necessità di demonizzare qualcosa che è legato a Putin. Non voglio fare l’avvocato del diavolo e difendere chi delinque però penso che in questo caso ci sia la volontà di creare un polverone per una situazione che in realtà è comune perché ultras violenti ci sono ovunque. In Italia abbiamo avuto un omicidio un po’ di tempo fa. Credo siano soltanto balordi, la nazionalità non conta. Tra l’altro le dinamiche di Marsiglia sono anche un po’ strane, i russi erano in pochi, chissà come si sono sentiti chissà se sono stati provocati. In ogni caso il loro comportamento non è giustificabile. La tifoseria violenta è un fenomeno trasversale, tra l’altro in Unione Sovietica questo tipo di subcultura che invita sfogare le proprie frustrazioni all’interno dello stadio è arrivato solo dopo la caduta del muro di Berlino. Prima da noi i ragazzi giovani si confrontavano nelle periferie delle città per il controllo del territorio.

Però al Vélodrome abbiamo visto qualcosa in più rispetto alle violenze dei teppisti da stadio alle quali siamo abituati ad assistere. E i violenti che hanno caricato gli inglesi erano russi.

Perché i tifosi inglesi non fanno il servizio militare. I tifosi violenti russi sono più organizzati, la loro metodologia ha vinto perché da ragazzi hanno imparato ad essere parte di un gruppo, hanno imparato a muoversi come si muovevano i 300 spartani. Invece gli altri sono solo hooligans. Comunque io da russo provo un senso di vergogna e credo che i maleducati perdano ogni nazionalità, sono tutti uguali.

Il fatto che in Russia sia in corso un conflitto può aver influenzato in qualche modo queste frange di violenti?

Mi scusi in che senso? Quale guerra c’è in Russia?

Quella contro l’Ucraina.

Ma no.. (ride). Questo è un altro modo distorto di vedere la realtà che abbiamo in Occidente. In Russia non c’è alcuna guerra perché sul suolo russo non si combatte. Combattono gli ucraini contro gli ucraini. A volte i giornalisti occidentali non sono precisi. Quando l’Unione Sovietica è crollata ha lasciato un mescolamento di nazionalità. Ad esempio io sono nato in Moldavia, in una zona chiamata Transnistria di etnia russa. Il nazionalismo scatenatosi contro di noi ci ha portato ad una guerra nel 1992, per fortuna abbiamo vinto e la nostra regione si è separata anche se non l’ha riconosciuta nessuno. Stessa cosa succede in Ucraina dove il Governo di Kiev strizza l’occhio all’Occidente che, con Nato e Usa in testa, è molto interessato a creare instabilità ai confini con la Russia. Questo perché agli Usa la Russia fa paura come fanno paura gli accordi economici ed energetici con l’Europa. Quello che sta succedendo in Ucraina è dovuto agli interessi statunitensi e anche della Gran Bretagna. Ma quella non è una guerra russa perché non ci sono militari russi su suolo ucraino, combattono solo ucraini che non accettano il colpo di Stato. Dunque non credo che i tifosi russi abbiano legami con il conflitto ucraino.

Il Procuratore di Marsiglia ha parlato di persone ben addestrate. Se non ci sono contiguità con la guerra in Ucraina dove possono essersi addestrate?

Bisogna precisare due cose importanti, quando voi occidentali parlate della Russia e dei russi siete abituati ad analizzarli alla luce della vostra cultura. Dimenticate che in Russia c’è il servizio militare obbligatorio, ogni uomo russo ha fatto 3 anni di servizio militare. Nell’esercito ai nostri ragazzi viene insegnato a combattere utilizzando armi da fuoco, armi bianche e il proprio corpo. Poi in Russia sono molto sviluppate le arti marziali come il Sambo, un combattimento a mani nude che prevede un misto di tecniche. Questo lo sa fare un uomo medio, perciò quando parlate di russi sappiate che state parlando di un paese che genera combattenti. Per i russi è normale saper combattere perché è un paese che è sempre stato sotto attacco. Il Procuratore di Marsiglia dovrebbe sapere di chi sta parlando, qui non si parla di una cultura che produce pace e amore, qui si parla di una cultura che produce combattenti.

Quella di cui parla sembra una cultura con una forte impronta virile. Forse bisogna considerare anche questo elemento per avere un quadro più chiaro.

In Occidente, grazie a Dio, siamo tutti più aperti, qui c’è anche una virilità omosessuale. Io sono cresciuto in Unione Sovietica dove si finiva ammazzati per l’omosessualità. A me fa effetto vedere alcune pubblicità, per esempio quella dei collant in Francia, ecco vedere uomini con collant mi sembra strano. Ci sono modi diversi di vedere la virilità, dipende dalla cultura e dalla provenienza e nessuno ha ragione e nessuno ha torto. Chi si addestra a combattere con i propri simili per difendere la propria terra ha lo stesso diritto di rivendicare e difendere la propria virilità di un ragazzo occidentale cresciuto in una cultura più aperta o un omosessuale che rivendica la propria identità attraverso altre forme.

Vladimir Markin, portavoce del Comitato investigativo, insiste sulla virilità e ha twittato: “Quando vedono un uomo normale che si comporta come dovrebbe restano sorpresi”. Ecco come viene gestito in Russia il maggior ricorso alla violenza?

La Russia è un paese dove noi abbiamo una diversa cultura di rapporto. Ad esempio qui in Italia quando le persone parlano si toccano con le mani. In Russia non succede e questo ci assicura che la violenza non esploda nelle strade. Tra l’altro noi di solito utilizziamo la violenza in maniera buona, se qualcuno si comporta male in strada anche i semplici passanti possono intervenire. Certo se c’è una rissa si chiama la polizia che in Russia interviene molto severamente. I nostri poliziotti non sono come i poliziotti italiani, sono molto più duri, hanno le mani più libere, se non si rispetta l’ordine pubblico prendere una manganellata in testa è la cosa più semplice che ti possa succedere perché i nostri poliziotti sparano anche. Ricordo che anni fa nella Piazza Rossa un gruppo di tifosi ha provato a creare disordini, la squadra di reazione immediata della polizia li ha fermati in maniera molto severa, diverse persone sono finite in ospedale, e questo è un fattore deterrente. Inoltre da noi le pene carcerarie sono molto severe, frequenti sono anche i pestaggi in carcere.

Tra due anni ci saranno mondiali in Russia. I tifosi stranieri ora sanno che dovranno comportarsi bene.

Credo che i tifosi che vanno in trasferta a vedere il calcio devono pensare solo allo sport e a guardare le partite perché chi va in giro a cercare i guai rischia di trovarli.

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0 Comments

  1. Lilin (che russo non è) paragona i russi agli spartani per insinuare l’idea di una superiorità fisica e morale rispetto al mondo occidentale fiacco e corrotto.
    Lo si nota in tutti i suoi libri, in ogni articolo e in tutte le interviste.
    Parla di “combattenti”, di “arti marziali” e di “punizioni dure in carcere” per esaltare le giovani menti accecate dai suoi tatuaggi esotici.
    Bene, io in transnistria ci sono stato (due volte), le storie di cui parla Lilin sono fantasie, direi che è ora di smetterla di dare spazio a questo solone.

    • Nella Federazione russa il cosiddetto паспорт è il passaporto interno, cioè una carta d’identità in cui è segnata cittadinanza (in ru. гражданство) e etnia (in ru. национальность). Si può essere ucraini, georgiani, ebrei, calmucchi, italiani, con cittadinanza russa. Cioè: la cittadinanza è una cosa, l’etnia è un’altra. Questo per dire che eventualmente Lilin è cittadino della Transnistria di etnia russa. Dunque, è russo. Dire che non lo è corrisponde a un falso storico.

    • http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/05/12/lilin-la-bufala-che-venne-dal-freddo-2/109502/

      Lilin vende un prodotto: sé stesso. Enfatizzare certi stereotipi sulla Russia gli serve per mantenere alto l’interesse sul suo personaggio. La realtà, però, è ben diversa.
      La Russia, gli Spetsnaz, il Systema, l’integrità e la mascolinità russa, la durezza, sono tutte cose che aiutano a vendere il prodotto “russo”, a renderlo più interessante agli occhi di chi russo non è. E sono tutte cose a cui lui continuerà sempre a fare riferimento, più o meno direttamente, perché a chi ascolta deve dare l’impressione che quello è il suo passato, che è lui è stato davvero nelle forze speciali, che sa di cosa parla, eccetera.

  2. Andrea ,Lilin non ha esaltato le gesta di nessuno .Se realmente sei stato in Russia capiresti veramente l’essenza del suo discorso.Crescere in Russia e crescere in Italia sono due cose totalmente differenti,i Russi sono abituati combattere ,e questo lo si denota per esempio nelle donne Russe,dove devono lottare sempre per avere dei diritti ,da secoli la Russia e’ sempre sotto attacco ,e quando sei sotto attacco non ti resta che lottare come hanno fatto contro i Tedeschi a Stalingrado .In Russia c’ e’ un vecchio proverbio che racchiude l’orgoglio e la forza di un popolo.Dice questo :MUORI MA FALLO!!!! Distinti saluti.

  3. Alcune precisazioni possono aiutare nella lettura.
    1) Lilin non è Russo
    2) Lilin non è nemmeno cresciuto in Russia, ma in Repubblica Moldava
    3) Lilin, a differenza di quanto ha dichiarato, non ha mai fatto parte dell’Armata Rossa. Lilin è nato nel 1981 e l’Armata Rossa non esiste più dal 1989.
    4) Il contenuto di “educazione siberiana” che vorrebbe essere una sorta di autobiografia è puramente inventato.
    5) Lilin in realtà non si chiama nemmeno Lilin, ma Veržbickij

  4. Cito: “Ma quella non è una guerra russa perché non ci sono militari russi su suolo ucraino, combattono solo ucraini che non accettano il colpo di Stato”.
    Immagino che i separatisti le armi e i proiettili per respingere da tre anni l’esercito ucraino le coltivino negli stessi campi dove crescono le patate per la vodka. Ma poi perchè continua a definirsi russo visto che è nato in Transnistria quando ancora faceva parte della Moldavia? gran bel personaggio che ha tirato su la Mondadori, giusto gli italiani potevano abboccare.

    • Altro falso storico: Lilin non è nato in Moldavia, ma in un Unione Sovietica. Lei sa dove sono nati Gogol’, Cechov, Achmatova, Limonov, ecc.? Cioè, stiamo parlando della LETTERATURA RUSSA in lingua russa? Sono tutti nati in Ucraina. Ma non si sentivano affatto cittadini di un eventuale stato ucraino, ma russi. Erano russi. Lo stesso vale per Lilin. Etnia e nazionalità sono due cose diverse. Un concetto che in Italia non esiste, in Russia e nelle ex repubbliche sovietiche, repubbliche baltiche incluse, è ancora attualissimo.

      • sì, ha ragione, non avevo considerato la cccp, è probabile che abbia avuto il passaporto interno. quei passaporti però sono decaduti con la fine dell’unione, e i passaporti trasnistriani non sono riconosciuti in europa. siccome all’epoca di educazione siberiana (che mi era pure piaciuto,…) aveva dichiarato di aver rinunciato alla cittadinanza russa, mi pare chiaro che il suo continuare a definirsi russo ha uno scopo di costruzione del personaggio, come gli avrà detto di fare qualche agente per vendere le sue fantasie (chiunque abbia fatto perlomeno la naja come si deve sa quante panzane Lilin racconta in caduta libera sui suoi formidabili tiri….). se poi ne facciamo questione di “etnia”, mio nonno paterno era altoatesino quando questa regione era ancora parte dell’impero austroungarico, ma non per questo vado a raccontare di essere “etnicamente” germanico…tra l’altro l’esempio che fai è in contraddizione con la tua affermazione. Gogol’ lo conosco bene avendolo studiato all’università ed era nato in poltava quando questa era ancora parte dell’impero russo. Quindi se Lilin è russo perchè nato in cccp e per “etnia”, allora anche Gogol era da considerarsi solo russo e non ucraino. guarda poi che su Cechov e Limonov ti sbagli di grosso, sono nati in Russia e sono russi a tutti gli effetti, mai stati ucraini. per il resto, l’unica cosa che mi preme è sottolineare come giusto gli italiani potevano eleggere un personaggio creato ad arte da un editore potente a “esperto” di questo e di quello….

        • In Russia attualmente sul passaporto interno (ovvero la nostra carta d’identità) è scritta cittadinanza ed etnia. Se lei fosse russo ci sarebbe scritto: cittadinanza russa, etnia altoatesina. Dunque si può anche rinunciare alla cittadinanza ma questo non vuol dire rinunciare all’etnia.
          Per quel che riguarda la letteratura, Limonov è nato, è vero, a Dzeržinsk ma poi sin da subito si è trasferito con la famiglia a Charkov, dove è cresciuto, mentre Cechov è nato proprio a Taganrog, oggi Federazione russa, ma sino al 1924 Ucraina (era parte del governatorato di Doneck). Tanto che nella prima gioventù ha dovuto faticare per parlare un russo corretto. Veniva da una famiglia di umili origini con un nonno-servo della gleba che aveva riscattato la servitù, ed era dunque diventato un cittadino libero. Gogol’ invece, pensi un po’, era polonofobo (eppure senza saperlo discendeva da una famiglia polacca appartenente alla Szlachta), si vantava di avere origini ucraine ma poi ne ripudiava la lingua, perché appunto l’ucraino era la lingua del popolo, mentre il russo (o eventualmente il polacco) quella delle classi alte. Gogol’ infatti non è stato né uno Skovoroda né uno Ševčenko o un Kuliš (ma lei ovviamente sa di cosa sto parlando, essendo un russista, giusto?)

          • va bene, quindi diciamo che Lilin è cittadino italiano di etnia russa.
            per il resto, insisto a dire che ti stai sbagliando. all’epoca di Cechov Tangarog era russa, è entrata nella repubblica socialista ucraina solo nel 1920 per questioni di amministrazione e Cechov era morto ben prima della I guerra mondiale. poi, non so dove tu abbia preso le tue informazioni, ma il più grande slavista italiano, Ettore Lo Gatto nella sua opera magna Profilo della letteratura russa riporta chiaramente come Cechov non abbia mai scritto nè parlato una sola parola di ucraino neppure quando era a Yalta e aveva servitori ucraini. considerando uno scrittore ucraino è errato.
            Non sono un russista ma un filologo e ricercatore in letteratura comparata, e tuttavia non vedo cosa c’entri citare poeti e autori diversi in merito al fatto che nè Cechov nè Gogol’ sono considerati autori ucraini.

          • Gentile Daniele, quindi abbiamo scoperto che non è un russista, probabilmente non legge il russo ma legge di letteratura russa in italiano. E s’informa dal “più grande” russista italiano, ovvero Lo Gatto. Purtroppo si da il caso che Lo Gatto sia stato uno dei primi russisti dell’epoca moderna, il primo che ha scritto una storia della letteratura, un testo che va bene per una conoscenza superficiale della letteratura russa. 40 anni dopo, neli Novanta, la Utet ha pubblicato Civilità letteraria russa, in 2 voll. Forse a leggere la Utet non farebbe un soldo di danno. Per quel che riguarda la geografia, invece, vedo profonde lacune. Le ripeto: Taganrog è diventata russa nel 1924, prima era ucraina (cioè del governatorato di Doneck, che faceva parte dei governatorati della regione chiamata Malorossija). Per quel che riguarda le conoscenze linguistiche di Cechov, può leggere un volumetto uscito da qualche mese, scritto dal più importante studioso e traduttore di Cechov, Fausto Malcovati (http://www.marcosymarcos.com/libri/il-medico-la-moglie-lamante/). Vedrà che ripete le stesse mie parole. Su Gogol’ le vorrei ricordare il finale del 1 volume delle Anime Morte, in cui l’autore parla dell’incerto futuro della Russia (e non dell’Ucraina) con l’immagine di una troica. Gogol’ s’interessava di folklore e di storia della Malorossija, una serie di elementi compaiono in racconti (i primi) e articoli (in Arabeski). Ma si sentiva russo. Come un cittadino di Roma che vive nel Lazio ma che non si sente appartanente a una “nazione” romana o laziale, ma italiano, e tuttavia rivendica le proprie origini. La chiudo qui. Non le sfodero i miei titoli, è meglio.

          • Postilla: a rileggere la sua risposta, pare che io abbia scritto che Cechov parlava ucraino. Cechov da piccolo parlava un russo colloquiale pieno di ucrainismi. Per questo studia moltissimo, e arriva a livelli molto alti. Io lo leggo in russo.

  5. L’intervistato ha detto l’esatto opposto di quello che avete scritto nel titolo dell’articolo. Siete dei malati e dei violenti, pensate solo a far del male, anche solo con le parole e con una stupida propaganda offensiva e diffamatoria, a chi (in questo caso la Russia) disturba le mire di dominio globale dei vostri padroni

    • Buonasera Sig. Claudio, se presterà maggiore attenzione, rileggendo l’intervista, noterà che l’estratto utilizzato per il titolo dell’articolo ripropone in buona fede parte della risposta alla seconda domanda. Qui nessuno è violento e per quanto riguarda le malattie, stiamo tutti abbastanza bene. Non vogliamo diffamare nessuno né tanto meno offendere, cosa che a Lei forse riesce con troppa facilità. Per quanto riguarda la Russia, se avesse voluto approfondire il tema della propaganda “offensiva e diffamatoria” per la quale si è così caldamente esposto, avrebbe potuto optare per i contributi che abbiamo suggerito in fondo all’intervista e avrebbe scoperto che condanniamo le stesse cose di cui Lei ci accusa.
      Per il dominio globale, ci stiamo attrezzando ma la vedo dura. Per i padroni, Le consiglio di ritrovare padronanza di se stesso, almeno quando commenta su questo blog.
      Cordialmente,
      Matteo

      • Buongiorno, Sig. Matteo. Innanzitutto, La ringrazio per la Sua risposta. Forse esprimersi con sincerità e passione, come faccio io, è un comportamento che appare idealista e folle, in un mondo nel quale per lo più si preferiscono l’ipocrisia ed il “cerchiobottismo”: se alcune mie espressioni feriscono la sensibilità di qualcuno, me ne scuso, non intendo offendere nessuno. Se leggo Il Fatto Quotidiano è perchè condivido molti dei valori e dei contenuti di coloro che vi scrivono se ci riflettiamo,(non è giusto e non è razionale, ma ognuno di noi preferisce leggere cose che lo fanno stare bene, concetti coerenti con la propria sensibilità, ed io leggo sempre Il Fatto).. Per questo mi ha amareggiato leggere un titolo che afferma di riferire il pensiero di un russo dicendo “I tifosi russi sono abituati a combattere (quindi: tutti i tifosi russi sono abituati a fare a botte, crescerebbero nella cultura della violenza), gli altri sono solo hooligans (quindi, fra i tutti che sono abituati a fare a botte, ce ne sono alcuni che sono pure dei banditi esagitati e fuori controllo), ma da russo mi vergogno (quindi, dice il titolo: un intellettuale russo rappresentativo -se non fosse rappresentativo, il suo pensiero neppure verrebbe riportato sui giornali- si vergogna della Russia: si fa pensare al lettore, che legge dei flash, degli slogan, non perde due ore su una pagina come sto facendo io, che i russi devono vergognarsi di sè stessi). Se Lei si ferma, studia, riflette (anche nel corso di anni, una struttura intellettuale non si crea in pochi giorni, nessuno Le mette fretta), si rende conto che alla fine il titolo era solo un modo per lasciare intendere ai lettori che i russi sono violenti, che in Russia c’è una cultura della violenza, e che la parte buona della società russa si vergogna di tale situazione. Invece, l’intervistato diceva l’esatto opposto. Diceva che se uno sparuto gruppo di russi ha combattuto contro un numero enormemente maggiore di inglesi è perchè è stato provocato; che in Russia gli uomini vengono addestrati a combattere, per lo più durante il servizio militare; che di esagitati e delinquenti ce ne sono in Russia come in ogni Paese ; che in Russia la Polizia reprime con decisione gli atti di vandalismo, di modo che chi vuole commettere atti di distruzione o antisociali ci pensa due volte, perchè la Polizia protegge con veemenza i cittadini e l’ordine pubblico (così, del resto, è anche negli Usa: tanto per spiegarLe, a Lei che è così saggio ed intelligente, in Russia le cause di sfratto e l’esecuzione dello sfratto quasi non esistono: se qualcuno occupa casa tua senza un valido titolo e senza pagare, chiami la Polizia, che va a casa, concede all’occupante 15 giorni di tempo -o fino alla primavera se siamo in inverno, non lasciano una persona nella neve, anche se sta commettendo il reato di occupazione abusiva di immobile- per andar via, dopo di che, se l’occupante abusivo non se ne va, la Polizia va a casa, lo prende di peso e lo sbatte fuori, e se l’occupante, dopo aver commesso il reato di occupazione di immobile, pretende pure di sbraitare o minacciare, si prende più di quattro schiaffi: la legge si rispetta, non è che la Giustizia sta lì a farsi raccontare tante stupidaggini e poi alla fine finisce tutto a barzelletta , come succede da noi: la legge tutela i cittadini che rispettano la legge e punisce chi delinque, mentre da noi accade in contrario). Quindi, se riflette con lucidità, capirà, prima o poi, che il titolo è diffamatorio, anche perchè all’inizio dell’intervista Lilin ha detto che i media hanno montato la storia degli Hooligans in ragione della loro tendenza a demonizzare qualunque cosa sia legata a Putin (in altre parole, a fini di propaganda anti Russia e filo Usa), quindi, l’esatto opposto di quanto riportato dal titolo. Lilin dice che le azioni degli hooligans sono vergognose, e che un russo medio, che è una persona perbene e che è pronto anche ad esporsi fisicamente, a fare a botte per problemi altrui, se vede delle ingiustizie, non accetta e non condivide tali condotte, non dice che i russi si devono vergognare di sè stessi, come lascia intendere il titolo. Nel corso dell’intervista, il “giornalista”, che dovrebbe parlare di calcio e cultura, fa domande che non sono domande, ma accuse, tipo “I violenti che hanno attaccato gli inglesi erano russi” (parole chiave: russi-violenti, non inglesi-violenti, come se gli hooligans non avessero fatto a botte con altri hooligans, ma avessero picchiato donne e bambini); “Gli hooligans russi sono influenzati dal fatto che la Russia è in guerra?”, e quando l’intervistato, ridendo, gli risponde “Ma sei fuori? Quale guerra sta facendo la Russia”, il giornalista incalza “E dove, se non in Ucraina, sono stati addestrati gli hooligans russi?”, come se lo Stato russo addestrasse violenti per poi inviarli per il mondo, a seconda delle esigenze, a fare guerre, a guardare partite e quant’altro. Quella del giornalista è violenza, è un malato desiderio di trasferire la guerra ucraina nella vita quotidiana nostra e dei russi, negli stadi francesi (che c’azzecca la guerra con la partita di calcio? ) di creare conflitti e divisioni al fine di generare odio e violenza, perciò definisco violento chi lo ha scritto. Una diagnosi più precisa richiederebbe ulteriori accertamenti, ma una malattia questo tipo di giornalismo ce l’ha, per questo lo definisco malato (il giornalismo, non il giornalista, che merita rispetto e, nonostante le empietà da lui commesse, merita le garanzie riconosciute dalla Convenzione per i diritti dell’Uomo, e che pertanto rispettiamo): o si tratta di carenza intellettiva, e non credo proprio, perchè sul Fatto scrivono persone molto intelligenti e preparate, o si tratta di mala fede e di subalternità a poteri forti -ed è questa l’ipotesi che ho ritenuto plausibile, per cui ho parlato di “padroni” (brutta parola? va bene, diciamo “committenti”, va meglio?), e li ho individuati in coloro che scatenano guerre e disordini in ogni parte del mondo al fine di ottenere il dominio su ogni angolo del globo e dello spazio-. Infine, Sig. Matteo, Lei mi consiglia di leggere altri articoli del Fatto che sono immuni dai difetti dell’articolo che commentiamo (e lo farò), senza pensare che è illogico proporre di premiare o almeno assolvere l’autore di un pessimo articolo in ragione dei meriti degli autori di altri articoli che invece sono buoni. In realtà, poi, Lei non dice nulla in merito all’articolo che stiamo commentando, al punto che mi viene il dubbio che il Matteo che scrive sia uno di quei politici astuti e consumati che dicono mezze frasi, lasciando intendere che dietro le stesse ci siano chissà quali contenuti, mentre invece c’è solo il vuoto. Cordialità

        • Sig. Claudio grazie a Lei per le spiegazioni in merito alle sue esternazioni nel commento precedente, anche se credo che le Sue argomentazioni siano andate ben oltre l’intento dell’intervista. Senza dilungarmi troppo, Le ripeto che il titolo è solo un estratto preso da parole pronunciate dall’intervistato e riguardano, chiaramente, solo i fatti di Euro 2016, senza allargare il campo alla situazione russa in generale. Quando si parla di 300 spartani e delle vergogna provata dal popolo russo sui tifosi in Francia, colui che risponde si riferisce ovviamente solo a loro e non ad un popolo per intero. Lilin è stato molto disponibile e, se avesse trovato diffamatorio quanto da noi scritto, siamo certi che sarebbe stato il primo a farcelo notare. Sono certo e assolutamente d’accordo sulla campagna diffamatoria che si fa della Russia e dell’utilizzo sbagliato che si fa delle questioni riguardanti lo sport (che è l’argomento che ci interessa) per screditare il Paese in questione e Le ripeto che su questo tasto siamo stati abbastanza chiari in altri articoli. Se le domande Le sono sembrate incalzanti, dovrebbe pensare che questo è proprio il ruolo del giornalista: incalzare l’intervistato con domande provocatorie per avere risposte “scomode” che aprono alla riflessione credo sia una delle qualità dell’intervistatore e di certo non devo difendere né ammonire l’autore per le domande che ha ritenuto più interessanti. Sulla qualità del pezzo non metto bocca perché ognuno è libero di pensarla come vuole, ma Le ricordo che trattandosi di un’intervista, il protagonista della stessa sta lì “apposta”,se mi passa il termine, per smentire e controbbattere. Concludo dicendo, di nuovo, che non abbiamo padroni ma siamo liberi di testa e soprattutto liberi da linee redazionali di regime come vuole sottolineare Lei a più riprese. Infine, il Matteo che scrive, come dice Lei, non ha mai partecipato alla vita politica della Nazione e per quanto riguarda l’astuzia da Lei rilevata nella mia persona (oltre all’intelligenza e cultura sempre da Lei ravvisate) La ringrazio molto e mi sento lusingato pur avendo una considerazione personale di soggetto normale che cerca solo di proporre contenuti originali e generare una discussione costruttiva. Per la vuotezza delle mie parole, a questo punto Le consiglio, a malincuore, di non commentare più così da evitare di dover srotolare tutta la sua conoscenza sulla questione russa, rischiando di parlare di sfratti in un articolo che parla di tutt’altro, e rischiando, soprattutto, che quanto da Lei esaustivamente elencato finisca inghiottito nella vacuità delle mie argomentazioni.
          Saluti

          • Mi dispiace di non poter accogliere il Suo invito, perchè continuerò ad esprimere il mio pensiero, se ne verrà concessa la libertà su questo sito, altrimenti lo farò altrove. Il riferimento agli sfratti rientrava nell’ambito di un ragionamento, toccato anche nell’articolo, sull’uso della violenza in uno Stato, sulle finalità anche positive, o comunque meritevoli di tutela, che può avere la violenza e su quelle negative che può avere la non violenza, ed anche su come la non violenza può essere una forma di violenza (ad esempio quando, senza motivo, si dice a qualcuno di chiudere la bocca). Saluti

    • Per carità Sig. Claudio! Lei è liberissimo di commentare e rispondere a qualsiasi articolo che noi proponiamo, anzi ne siamo contentissimi. Il riferimento era dato dal fatto che Lei ritenesse la mia risposta in buona sostanza aria fritta e, quindi, da qui il mio consiglio a non dare seguito a qualcosa che Lei considerava vuota, per Sua stessa ammissione. Lungi da me chiuderLe la bocca senza motivo come velatamente, e neanche troppo, vorrebbe far apparire. Sperando che anche da parte sua venga osservata la stessa cura nell’essere così spontaneamente pronto a darmi del politicante astuto servo dei poteri forti, senza nemmeno conoscermi. E soprattutto senza che nessuno dall’altra parte abbia mai appellato Lei con aggettivi triti e ritriti come quelli, e mi dispiace dirlo, da Lei utilizzati. Buona giornata

  6. Non ho letto per intero nessun libro di Lilin, ma posso dirvi che questo personaggio spara un sacco di favole, che vanno bene per vendere agli italiani le barzellette di quartiere. Sono nato in URSS e cresciuto in Moldova e Transnistria. Certe cose di Lilin corrispondono alla realtà, certe altre evidenziano il suo pensiero filorusso. Ma affermare che in Ucraina non ci sono militari russi è come dire che in Italia non ci sono i poveri, siamo seri Lilin, sai benissimo che in Ucraina i russi ci sono eccome. Non ufficialmente certo. E sai anche che quando un russo ha bevuto un pò di vodka si sente il padrone del mondo. Ma la realtà è un altra cosa.

    • Che significa: cresciuto in Moldova e Transnistria? Io sono nato e cresciuto a Roma, non direi mai: sono nato e cresciuto a Roma e a Latina.
      Io credo che la differenza tra un romanzo e un’autobiografia è la stessa che passa tra un uomo e una donna. Lilin scrive romanzi, non autobiografie. Il soggetto dei suoi romanzi è l’ego abnorme alla Limonov, non il realismo socialista. Non ha le stesse doti di un Limonov, e forse come scrittore russo il suo valore sarebbe stato meno di niente – e lui dice apertamente di non riuscire a tradurre quello che pubblica in italiano nella lingua “madre”, ma è comunque – e rimane – un narratore russo.

  7. affermare che si tratti di una guerra tra Ucraini e una palese menzogna, buona soltanto per i creduloni con i paraocchi …

  8. La biografia di Lilin è inventata di sana pianta, lo sanno anche i sassi, ma incredibilmente ci sono ancora testate giornalistiche che gli danno spazio, facendogli pubblicità.
    Se il giornalista non si preoccupa di verificare l’attendibilità delle sue fonti, che giornalista è?
    Qual’è il criterio che vi ha portato ad intervistare lui e non un altro, magari davvero esperto delle questioni russe e del fenomeno in questione? Fare una vera attività di ricerca avrebbe richiesto troppo tempo?
    Tra l’altro le risposte alle domande sono a dir poco imbarazzanti. Ne viene fuori una persona ignorante, razzista, omofoba ed esaltata. Ma nonostante ciò l’intervistatore non gliene chiede conto. Vista la qualità delle domande, però, non me ne sorprendo più di tanto.

  9. Buongiorno, sempre Andrea, quello della prima risposta.
    Una domanda per la redazione.
    Ma perché il Fatto Quotidiano non si occupa di uno come Lilin, magari con un bel reportage e considerazioni intelligenti (di cui siete capaci) in modo da chiarire questo personaggio, capire chi è, cosa vuole e come mai piace tanto?
    Io lo trovo volgare e bugiardo, ma ho l’impressione che abbia molto successo… E non mi sembra (fra armi, esaltazione della russia e tutto il resto) decisamente una persona a cui lasciare spazio senza pagare pegno…
    Cordiali saluti

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