Da qualche giorno nel mondo del calcio non si parla d’altro che dell’affare Neymar, il passaggio del giocatore dal Barcellona al Paris Saint Germain ha mosso cifre record e scomodato i migliori avvocati per trovare una formula che riuscisse ad aggirare le noiose norme FIFA/UEFA o di chi altri sul fair play finanziario. Non è questo di cui voglio parlare: se un ricco petroliere arabo ha tutti i soldi che vuole è libero di spenderli come gli pare e il fair play finanziario, l’ho già detto, lo trovo noioso.
Mi interessa un altro aspetto: il buon Neymar ancora non era sceso dall’aereo che le televisioni di tutto il mondo già diffondevano immagini delle code dei tifosi del PSG davanti agli store ufficiali della squadra per acquistare la sua maglietta col numero 10 appena tessuta da squadre di operai mobilitati per l’occasione. Mi sono chiesto: perché? Neymar a Parigi non ha fatto nulla, anzi solo pochi mesi fa ha fatto molto male al PSG. Ricordiamolo brevemente: i francesi avevano umiliato 4-0 il Barcellona nella gara di andata degli ottavi di finale di Champions e al ritorno nell’inferno del Nou i catalani conducevano 3-1 a 2 minuti dalla fine e la qualificazione per i parigini era in ghiaccio, quando Neymar allora idolo delle folle barcellonesi aveva segnato il gol del 4-1, e tre minuti dopo, al primo di recupero, quello del 5-1 partita riaperta e strada pronta per la remuntada poi concretizzatasi incredibilmente col 6-1 di Sergi Roberto al 95′.
Neanche cinque mesi sono passati da quella sera ed ecco che Neymar a Parigi è un eroe, la sua maglietta, mai indossata, un trofeo irrinunciabile che porta centinaia di persone in coda davanti a un negozio alle sei della mattina. Certo una enorme operazione di marketing, costruita al meglio da chissà quali esperti per iniziare a far fruttare fin da subito l’enorme investimento, ma che leve sono scattate nella testa dei sostenitori del PSG?
Sono tutti alla ricerca di un simbolo? Di un simbolo del gruppo, Neymar adesso è nostro, non ci farà più due gol al novantesimo, anzi li segnerà per noi. Oppure vogliono essere i primi ad esibirla al campetto o poter dire a fine stagione, dopo che il PSG avrà vinto tutto, di essere stati tra i primi a crederci mettendosi addosso la numero 10? E se non succedesse? Una volta per diventare dei simboli del gruppo bisognava dimostrare coi fatti lealtà alla maglia e segnare tanti gol. Ora lo si diventa sulla fiducia dei risultati passati, ottenuti con un’altra maglia e addirittura dopo aver spento i sogni di coloro che adesso ti esaltano.
Mi è tornata alla mente una conversazione che ho avuto qualche tempo fa: si parlava di cicloamatori e del fatto che indossassero le maglie sponsorizzate dei professionisti. Praticamente quelle persone erano andate in un negozio e avevano speso denaro per poter avere il diritto di andarsene in giro a fare pubblicità gratuita alle aziende il cui nome era stampato su maglie e calzoncini. Una volta, quando eravamo più seri e meno massificati, se uno doveva andarsene in giro con una scritta commerciale sulla camicia occorreva che la camicia gliela regalassero.