Mourinho, quei due partiti così fastidiosi
Due partiti, più che due correnti di pensiero e, “romanisticamente” parlando, vale sempre la pena precisare che non si appartiene a nessuna delle due. La sconfitta di Verona ha donato la ribalta a entrambe, soprattutto perché hanno avuto modo di esibire argomenti e motivazioni che avevano già in canna, per così dire, sin dallo sbarco di Mourinho nella Capitale.
Il primo partito lo definiremmo quello degli ipercritici a prescindere nei confronti del portoghese, che lo aspettavano al varco sin da quando ha varcato i cancelli di Trigoria; coloro che hanno dovuto attendere tre gare di Conference League e quattro di campionato per poter dire “Vedete? Non s’è inventato niente, è bollito, s’è capito che era un bluff…”. Prevedibili come le caditoie intasate alla prima pioggia autunnale.
Il secondo partito, in un certo senso ancora più pericoloso del primo, classicamente lo definiremo dei “più realisti del re”, vale a dire quelli che, qualsiasi cosa accada in campo, può essere colpa e responsabilità di chiunque tranne che del tecnico portoghese. Quindi, non si può in tutta serenità dire, giudicando episodio per episodio come dovremmo sempre fare, che a Verona Mourinho ha intasato la trequarti di attaccanti senza trovare una efficace chiave offensiva, perché automaticamente si peccherebbe di lesa maestà.
Sono due atteggiamenti egualmente provinciali, entrambi colpevoli del rallentamento sul percorso dell’acquisizione di una mentalità libera nei giudizi, ancora prima che vincente.