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Miracolo Italiano: Israele e Palestina unite (per la prima volta) contro il Giro d’Italia 2018

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Trovare la parola unità in una frase con Palestina e Israele è davvero impensabile. Ma a riuscire nell’impresa di far convergere gli sforzi di due comunità che si odiano da sempre, c’è riuscita l’Italia. La politica non c’entra niente, almeno non direttamente, perché la questione questa volta riguarda lo sport. E, in effetti, anche la parola unità in termini assoluti è qualcosa di sbagliato. Sarebbe più opportuno parlare di fuoco incrociato nei nostri confronti. La pietra dello scandalo, incredibilmente, il Giro d’Italia. Ma andiamo con ordine. La Corsa Rosa nella sua storia ha visto partire molte volte i ciclisti fuori dai confini nazionali, in Danimarca, Olanda, Irlanda del Nord e via dicendo. Per l’edizione 2018 si è optato per Gerusalemme che sarà la sede oltre che della partenza, anche delle due tappe successive. Le motivazioni sono riconducibili anche alla tappa finale del Giro che si terrà a Roma, con l’intento di unire e consolidare un messaggio di fratellanza e pace. E anche il fatto che il nostro Gino Bartali sia stato dichiarato ‘Giusto tra le nazioni’ dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’olocausto fondato nel 1953,che ha sede proprio a Gerusalemme, non può essere un caso. Ma la scelta di iniziare il Giro nella capitale dello Stato di Israele ha subito causato l’indignazione delle tante associazioni che si battono per i diritti del popolo Palestinese che hanno chiesto a gran voce l’accantonamento di tale soluzione. Nello scorso weekend nelle principali piazze italiane si sono riuniti centinaia di ciclisti per partecipare ad una manifestazione a pedali in cui si evidenziasse come la decisione di far iniziare un così grande evento a Gerusalemme fosse sbagliata, il tutto evidenziato con un percorso fatto di ostacoli e muri ad enfatizzare le difficoltà di movimento che hanno i palestinesi nel territorio israeliano. A condire la corsa, striscioni, bandiere, volantini e l’hashtag #cambiagiro.

E non è la prima volta che l’Intifada entra prepotentemente nel mondo dello Sport, ed è emblematica la situazione nell’universo calcio in cui la Fifa ancora deve risolvere la questione delle squadre israeliane che giocano nei territori occupati illegalmente della Cisgiordania, così come stabilito anche dall’ONU, che ha spinto la Federcalcio palestinese a richiederne l’espulsione dai campionati israeliani. Insomma, ogni scusa è buona pur di litigare. Eppure, questa volta, sembrano aver messo nel mirino lo stesso nemico. Infatti, è notizia di ieri che anche il Governo israeliano se l’è presa col Giro. I ministri dello Sport, Miri Regev, e del Turismo, Yariv Levin hanno esplicitamente minacciato l’organizzazione della Corsa di sospendere i vitali finanziamenti alla manifestazione a causa della dicitura “West Jerusalem” apparsa nella presentazione ufficiale di ieri. Quell’Ovest accanto a Gerusalemme ha indispettito non poco i vertici israeliani perché ci riporta indietro di 50 anni quando, in una città ancora divisa in due in cui l’Est era arabo e l’Ovest israeliano, proprio lo Stato di Israele si appropriò della parte orientale alla fine della Guerra dei Sei Giorni, occupandone i territori così come stabilito dalla risoluzione 242 dell’Onu. Una zona che è ritenuta di fatto dal popolo Palestinese la capitale della loro Nazione. Ma che il rapporto tra Israele e le grandi istituzioni mondiali ultimamente non fosse idilliaco, ancora meno del passato, era chiaro già da quando l’Unesco si è riferita alla zona denominata Monte del Tempio dagli ebrei solo con la dicitura araba Spianata delle Moschee tanto da spingere Stati Uniti prima e Israele poi ad uscire dell’organizzazione perché “troppo filo-palestinese”.



“Gerusalemme è una città unita, è la Capitale di Israele, non vi sono Est e Ovest, e quelle pubblicazioni sono un’infrazione delle intese. Se ciò non sarà cambiato Israele non parteciperà all’evento”.

Queste le dichiarazioni del Governo che hanno messo subito paura ai vertici del Giro D’Italia, tanto da spingerli all’immediata correzione e a diramare un comunicato in cui si sottolineava che la scelta di apporre Ovest era solo relativa alla zona di Gerusalemme in cui in effetti sarebbe partita la prima tappa della Corsa, anche perché si parla di 12 milioni di euro, di cui 4 milioni andrebbero direttamente a Rcs Sport per i diritti di hosting. “Nel presentare il percorso di gara è stato utilizzato materiale tecnico contenente la dicitura ‘Gerusalemme Ovest’, imputabile al fatto che la corsa si svilupperà logisticamente in quell’area della città. Si sottolinea che tale dicitura, priva di alcuna valenza politica, è stata comunque subito rimossa da ogni materiale legato al Giro d’Italia”Allarme rientrato e pace suggellata da quanto dichiarato dai prima citati ministri: “Ci rallegriamo dell’accordo raggiunto dal direttore generale del ministero della cultura e dello sport, Yossi Sharabi, con la direzione del Giro. In base ad esso la direzione del Giro e i suoi organizzatori verranno in Israele nei prossimi giorni per coordinare il tracciato e garantire che la gara si svolgerà come progettato dalla Torre di Davide e la Porta di Jaffa, e quindi da là attraverso Gerusalemme”. Per i soldi, questo ed altro.

Ma la questione della Città Santa per le tre religioni monoteiste va ben oltre una dicitura di un comunicato stampa. Infatti, sebbene nel 1980 il parlamento israeliano abbia emanato una legge fondamentale che proclamava Gerusalemme «unita ed indivisa» capitale di Israele, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu attraverso la risoluzione 478 ha giudicato questa decisione contraria alle leggi internazionali, ritenendola “inammissibile acquisizione di territorio con la forza” e giudicando tale legge come “nulla e priva di validità” oltre che da “rescindere”. Quindi di fatto, riferirsi ad una Gerusalemme Est e una Gerusalemme Ovest, avrebbe avallato e supportato la tesi delle Nazioni Unite che tanto non piace al Paese che ci ospiterà e foraggerà per tre giorni. Ma, in questo caso, è bastata un mano di bianco per risolvere una questione che, da anni, è indiscutibilmente a tinte grigie.

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