Milik come Rocky: si prepara al rientro e l’infortunio è solo un ricordo

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Il bombardiere di Tychy sta tornando. A due mesi da quella maledetta sera dell’8 ottobre, Arkadiusz Milik brucia i tempi di recupero e viaggia sempre più veloce verso il rientro in campo, atteso con spasmodica impazienza dai tifosi del Napoli. Tutti lo aspettano, tutti lo coccolano e lo spingono verso il gran giorno, “DiaboMilik”, come lo chiamano nel suo Paese, è diventato in poco tempo un idolo vero del San Paolo, gigante dalla faccia buona che si è caricato sulle spalle un’eredità pesante del vecchio maglia numero 9 ma col 99 l’aveva esorcizzata esaltando il piglio freddo, lucido e impavido di chi conosce bene le proprie potenzialità. La rottura del legamento crociato comincia ad essere un ricordo sbiadito per il centravanti che nell’immaginario collettivo del popolo azzurro è l’uomo del destino, l’ennesima scelta giusta del presidente Aurelio De Laurentiis, che lo ha pagato 32 milioni dall’Ajax. A Milik, 22 enne col carisma silenzioso del veterano, era e resta affidato l’arduo compito di cancellare definitivamente l’ombra dell’innominato ingrato che ha tradito i napoletani e ha scelto di passare col nemico in nome del Dio denaro. E allora il 2017 sarà l’anno del Milik 2.0, una storia di calcio e di sentimenti che sta per ricominciare e riprenderà lì dove si era interrotta con le 7 marcature nelle prima 9 uscite ufficiali.
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C’è da dare la spallata alla Vecchia Signora: a Napoli quest’obiettivo è un ineludibile imperativo da centrare, presto o tardi. Milik questo lo sa, lo ha sempre saputo e a due mesi dall’infortunio lavora duro per riprendersi il tempo perduto e riassaporare le emozioni vissute nelle notti di fine estate. Arek si allena col pallone e già corre, sta impressionando per l’intensità e la meticolosità che mostra nel lavoro di recupero. L’ex attaccante dell’Ajax rivede la luce in fondo al tunnel, vuole chiudere i conti con la sfortuna che lo ha messo fuori combattimento al minuto 35 di Polonia-Danimarca. Se fossero un film, le giornate di Milik in questi giorni di dicembre si potrebbero idealmente accostare agli allenamenti massacranti di Rocky Balboa prima della sfida con Ivan Drago e non potrebbe che essere “Heart’s on fire” la colonna sonora in grado di scandire e accompagnare meglio di qualsiasi altra il senso dell’impresa che Milik sta inseguendo con eccezionale caparbietà. Doveva tornare dopo 5-6 mesi secondo alcuni, i più nefasti lo davano addirittura destinato a rivedere il campo soltanto in primavera nelle fasi finali della stagione, e invece Milik potrebbe riprendersi il posto al centro dell’attacco del Napoli già entro la fine di gennaio o al più tardi a febbraio.
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“Mi sento molto bene – ha detto il giocatore polacco in una interventi di questi giorni -. Sono sulla strada giusta. Le ginocchia non si stanno gonfiando. Non so ancora la data precisa di quando tornerò ma sto lavorando duro ogni giorno. Voglio tornare in campo il prima possibile. Il peggio è passato, momenti come questo ti fanno diventare ancora più forte. Ho ricevuto tanti messaggi dalla gente di Napoli e dalla Polonia. Mi incitano a tornare, mi dicono che c’è bisogno di me. Mi sto allenando ancora più duramente perché sento quanto è forte il calore della gente ed è una sensazione meravigliosa. Quando rientrerò so che farò del mio meglio anche per loro“. Fa grandi progressi, palleggia va spedito verso il recupero, ma non vuole farsi prendere dalla fretta questo ragazzo forte di fisico ma soprattutto dimostratosi una roccia di testa e nel carattere, esemplare nella reazione a un infortunio che avrebbe abbattuto anche un toro. Non è una scelta casuale, semmai un messaggio destinato agli altri, che nel nuovo calendario del Napoli si veda Milik in posa dinnanzi alla statua di Ercole in formato “guerriero”. Senza di lui il Napoli ha perso il suo punto di riferimento offensivo e si è capito quanto è diventato subito importante il polacco nel mondo partenopeo e nelle alchimie tattiche della squadra di Sarri. Alle porte di Natale, la forza di volontà dell’atleta è la linea invisibile eppur potente che segna il confine tra sofferenza e rinascita. La seconda vita calcistica di Arek è ormai all’orizzonte e come quell’epico urlo di Rocky che in cima a una montagna siberiana chiamava Drago alla battaglia, Arkadiusz Milik corre verso il giorno del rientro in cui sarà la folla del San Paolo a urlare il suo nome.

 

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