Max Schmeling contro Joe Louis: Terzo Reich contro Stati Uniti
Il 22 giugno del 1938 allo Yankee Stadium di New York andò in scena il preludio dello scontro bellico della seconda guerra mondiale. Joe “The Brown Bomber” Louis affrontò “L’Ulano Nero” Max Schmeling. Perché questo? Perché Max Schmeling era diventato il simbolo involontario del regime nazista mentre Joe Louis rappresentava il riscatto razziale degli afroamericani in un America fortemente razzista. Procediamo per gradi
Max Schmeling cominciò la sua carriera da professionista nel 1924 scontrandosi contro Piet Van Der Veer e strappò dalle mani del nostro Erminio Spalla il titolo europeo dei pesi massimi. Nel 1927 conquistò un altro titolo europeo: quello dei pesi mediomassimi.
Nel 1930 vinse il titolo mondiale dei pesi massimi, per squalifica, contro Jack Sharkey e divenne il primo tedesco ad aggiudicarsi la corona mondiale. Titolo che perse contro lo stesso Sharkey nel rematch del 1932. In Germania quegli erano gli anni che videro l’ascesa al potere di Adolf Hitler. La Germania era al collasso a causa della crisi del 29 e i nazisti stavano raccogliendo consensi tra la popolazione tedesca. Nel giro di pochi anni la nazione tedesca avrebbe cambiato il suo volto e si sarebbe trasformata nel Terzo Reich. Schmeling era campione conosciuto e amato dal popolo tedesco. Al cospetto della propaganda nazista che prometteva la rinascita della grandezza tedesca attraverso la potenza di fuoco delle armi il campione non aveva mai creduto. Hitler nel 1933 conquistò il potere e gettò le basi per l’edificazione del suo regime. Il 15 settembre vennero promulgate le Leggi di Norimberga che escludevano gli ebrei da ogni ramo della vita pubblica tedesca.
La feroce propaganda nazista si basava su un odio viscerale verso la popolazione ebraica. Ciò portò alla ghettizzazione di quest’ultimi e quindi a un escalation di violenza nei loro confronti. La questione riguardò anche il campione tedesco da vicino; infatti il suo manager Joe Jacobs era un americano con origini ebraiche. Il ministero dello sport convocò il pugile a palazzo e gli chiese ufficialmente la testa del suo allenatore. Schmeling risposte ai gerarchi nazisti e alla loro richiesta con un fermo no. Non potevano toccarlo perché era troppo amato dal popolo e per il fatto che comunque in futuro poteva essere un’ottima arma di propaganda per il regime. Schmeling prima del 1935 era diventato un pugile conosciuto e apprezzato anche in terra americana, dove aveva vissuto anche per un periodo della sua vita e si fece molti amici. In Germania invece viveva un rapporto surreale e di velato conflitto contro il governo nazista.
Diversa e molto più dura era la vita Joe Louis. Il futuro campione del mondo era nato a Lafayette, località del profondo sud americano e se eri un afroamericano non era di certo semplice vivere in quel contesto. Gli Stati Uniti erano un paese dove vigeva una doppia segregazione razziale, solo che al nord del paese era sociale e senza violenze verso gli afroamericani a differenza delle zone del sud. Louis era nato e cresciuto in questa condizione. Nel 1926 la sua famiglia dopo un diverbio con il Ku Klux Klan decise andarsene verso Detroit prendendo parte alla grande migrazione afroamericana al nord. Fu qui a Detroit che il giovane Joe si avvicinò alla boxe cominciando a praticarla. Nel 1932 fece il suo esordio nei dilettanti aggiudicandosi un anno dopo il Golden Gloves del 1933. I risultati erano strepitosi, questo giovane ragazzo venuto dal profondo sud non conosceva ostacoli e dimostrava un’ottima scherma pugilistica. Sembrava l’erede naturale del grande Jack Johnson. Alla boxe arrivò anche per sfuggire alla fame, perché nonostante il nord degli Stati Uniti non fosse il sud, le condizioni socio-economiche degli afroamericani erano anche peggiori di quelle del sud.
Non c’era il solito tasso di violenza ma c’era il ghetto e la fame. In un quartiere popolare, lo sappiamo, delle volte per diventare un mito popolare bastava pochissimo. Il giovane Louis si stava costruendo un nome e così nel quartiere dove risiedeva tutti conoscevano Joe Louis. Quando nel 1937 vinse il titolo mondiale divenne The People Champ (il campione del popolo) e fatto di vanto per la comunità afroamericana. Ma della questione della segregazione razziale e delle sue conseguenze Louis non se ne occupò mai apertamente. Era il campione del mondo, era il punto di riferimento della comunità afroamericana dentro un paese profondamente razzista.
Il primo scontro tra i due pugili fu il 19 giugno del 1936 allo Yankee Stadium di New York. Sorprendentemente Louis ebbe la peggio. Schmeling dal punto di vista tattico condusse un match pressoché perfetto riportando molti colpi al volto di Louis causandogli una grave ferita agli occhi e quindi riducendo di molto il suo raggio d’azione. Alla dodicesima ripresa il tedesco mise KO l’americano. L’America era incredula. Il pugile che rappresentava il nazismo aveva battuto la loro promessa pugilistica. Ad assistere al match c’era anche l’attivista per i diritti civili Langston Hughes che descrisse la reazione della nazione a questa sconfitta. Disse di aver visto per strada una nazione intera piangere alla notizia della sconfitta di Louis.
Diversa fu la reazione tedesca. I nazisti erano in giubilo alla notizia della vittoria del loro campione. Adolf Hitler stesso contattò la moglie del campione mandandole un mazzo di fiori e un messaggio: “Per la magnifica vittoria di suo marito, il nostro grande pugile germanico, devo congratularmi con tutto il cuore.” . Dopo il match Schmeling, forse costretto anche dalle circostanze, rilasciò alla stampa delle dichiarazioni dal sapore molto patriottiche: “In questo momento devo dire alla Germania, e al Führer in particolare, che tutti i pensieri dei miei compatrioti sono stati con me durante questo incontro; che il Führer e il suo popolo pieno di fede pensavano a me.”
Dopo il match, Schmeling aveva l’opportunità di potersi battersi contro il campione Jim Braddock. Questa occasione gli venne negata per due motivi: il primo un match Louis-Braddock aveva più richiamo e il secondo perché si temeva che le autorità naziste avrebbero negato difese del titolo contro pugili statunitensi. Così, Louis il 22 giugno 1937 mandò KO Braddock e dichiarò alla stampa che voleva un rematch contro Schmeling. Nell’anno che si svolse il secondo match tra i due pugili, in Europa spiravano forti venti di guerra e la Germania nazista aveva portato a compimento l’Anschluss. Le condizioni diplomatiche coi tedeschi e i paesi occidentali dopo questo fatto era molto deteriorate. I mass media americani cominciarono una massiccia propaganda anti-tedesca. La vittima di questa propaganda fu proprio il campione tedesco. Il match venne fissato per il 22 giugno 1938. Improvvisamente negli Stati Uniti si scombussolarono tutti gli schemi razziali. Schmeling divenne il nazista cattivo e Joe il simbolo della libertà americana. Alcuni cronisti dissero che questo scontro avrebbe messo a confronto le barbarie contro la civiltà. Schmeling che fino a qualche anno fa era un pugile amato negli Stati Uniti, divenne la canaglia nazista che era venuta a New York a prendersi il titolo e portarlo a Hitler. A differenza del 1936 il mondo non sapeva ancora chi fosse realmente Hitler. Nel 1938 era invece tremendamente chiaro. Eppure il campione tedesco aveva vissuto per un periodo lì negli Stati Uniti. Venne insultato, maledetto e preso in giro con il braccio teso. Ora era solo il nemico. Dal canto suo Louis si vide un insolito trattamento alla sua persona.
Franklin Delano Roosevelt chiamò il pugile alla Casa Bianca, cosa mai vista prima di allora, il presidente del New Deal usò testuali parole davanti al pugile e ai giornalisti: “Joe, abbiamo bisogno di muscoli come i tuoi per sconfiggere la Germania”. All’improvviso Joe Louis il “negro” che nei ristoranti non veniva servito divenne il simbolo del paese e guardiano di un’uguaglianza mai esistita. Se nel primo match il pugile aveva sottovalutato il tedesco, questa volta si allenò con professionalità e non lasciò nulla al caso. Schmeling subiva il bombardamento psicologico. Eppure, lui non era membro del partito nazista, benché fiero di essere tedesco, negò sempre le affermazioni naziste sulla superiorità della razza e ripeteva sempre che lui era un combattente e non un politico. Fu Goebbels, ministro della propaganda, che ne fece il simbolo del Reich tedesco. Fondamentalmente a Hitler dello sport non importava nulla e quando Schmeling rifiutò la decorazione nazista che gli aveva offerto con un grado militare annesso non ci dette molto peso. Però, Goebbels aveva capito la portata mediatica che poteva avere un campione sportivo per la propaganda del regime e fu lui che cucì addosso una svastica a un pugile che in realtà non aveva mai voluto. Il partito mandò in America con Max anche un addetto stampa del regime che in una dichiarazione rilasciata alla stampa disse che il pugile tedesco non avrebbe mai potuto perdere contro un “negro” e che la borsa del match sarebbe stata impiegata per costruire carri armati in Germania.
Il 22 giugno del 1938 finalmente il match andò in scena. Quando Schmeling montò sul ring dovette coprirsi la testa dal lancio di oggetti dagli spalti. La condizione psicologica influì molto sul pugile tedesco. Di fatto l’incontro finì subito alla prima ripresa e la vittoria andò a Joe Louis per KO. Il pubblico statunitense era in estasi, il nazista era stato battuto. L’America nera era in estasi e vide nel successo di Louis un mezzo per far avanzare la causa degli afroamericani in tutti i campi. Ma questo non accadde mai. Quella sera però si doveva festeggiare. The People Champ aveva battuto il nazismo e nelle strade di Harlem scoppiarono feste che durarono tutta la notte. La vita e le condizioni di Louis come “negro” in America non cambiò di molto. Il Washington Post titolava così: “Joe Louis, il pigro, giovane ragazzo nero mangiatore di pollo fritto, si è trasformato stasera nel suo ruolo di brown bomber”.
United Press invece definì Louis: “un uomo della giungla, completamente primitivo e selvaggio, uscito a caccia per procurarsi il cibo.”
Per una sola sera (solo per mero opportunismo), Louis ebbe il sostegno anche dei bianchi americani. Per una sola sera il popolo americano si scordò che Louis era solo un “negro del ghetto”. Schmeling dopo questo match smise di avere rapporti con il suo paese. Ebbe dei disguidi con la stampa del partito che voleva mettere in giro voci fuorvianti sulla vittoria di Louis. Schmeling si rifiutò e Goebbels sbottò dicendo che non si poteva più tollerare un tedesco che frequentava ebrei. Nel corso della sua vita, Schmeling, dopo la notte dei cristalli del 38, dette protezione a diversi figli di amici ebrei. Anni dopo, su quella sconfitta e sul regime nazista, il pugile tedesco rilasciò dichiarazioni che sapevano di gratitudine verso Joe Louis, con il quale divenne amico, dicendo che: “mi salvò dal diventare l’eroe ariano”.