Mauro Tassotti, il Djalma Santos bianco
“Puoi togliere il ragazzo dal ghetto ma non il ghetto dal ragazzo”, dice Zlatan Ibrahimovic. Potremmo portare questa citazione indietro nel tempo, alla gomitata di Mauro Tassotti a Luis Enrique durante il Mondiale di Usa ’94. Perché a inizio carriera l’ex terzino e per tanti anni allenatore in seconda del Milan era noto soprattutto per la sua irruenza.
Nato a Roma nel 1960, grazie a Nils Liedholm migliorò molto sul piano tecnico per poi diventare con Sacchi e Capello uno dei migliori terzini destri al mondo. In occasione della vittoria in Coppa Campioni del 1989, Adalberto Bortolotti scrisse sul Guerin Sportivo: “Un Tassotti a volte brasiliano nel tocco e nell’allungo”. Al Camp Nou il suo traversone fu preciso per il raddoppio rossonero di Van Basten, ed era stato lui a crossare per il ‘Cigno di Utrecht’ nella semifinale d’andata al Bernabeu.
Il 18 maggio ’94, con la squalifica di Franco Baresi, da capitano sollevò al cielo di Atene la quinta ‘coppa dalle grandi orecchie’ della storia milanista, la terza della presidenza Berlusconi. In diciassette stagioni da giocatore del Diavolo ha conquistato diciassette titoli (senza considerare due campionati di Serie B e una Coppa Mitropa).
Tanti successi anche in panchina come vice di Ancelotti. Due al fianco di Allegri, ovvero quelli di Ibrahimovic… L’ultima partita a trentasette anni, al Meazza di fronte al Cagliari nel 1997: e proprio contro il ‘Casteddu’ qualche stagione prima era iniziato il record d’imbattibilità di Sebastiano Rossi, durato due decenni.
Grazie anche a Mauro Tassotti.