Il match-ball e il chicco d’uva
Il match ball è quella palla, situazione, rigore che in modo definitivo, può decidere nel bene o nel male l’esito di una gara o di un campionato.
Non c’è appello: dentro o fuori. E’ la bellezza, ma anche il dramma che caratterizza lo sport, a un certo punto tutto sembra concentrarsi in un unico tiro, in un unico gesto.
Il lavoro e la fatica, la responsabilità, l’errore o il trionfo, tutto racchiuso nel match ball.
Purtroppo attorno a quella palla o a quel gesto decisivo cresce e si avvinghia come un’edera malvagia la paura che attanaglia i muscoli e paralizza la mente, tutte le abilità e la tecnica che fino a quel momento erano il punto di forza dell’atleta iniziano a tremare e a scricchiolare di fronte alla prospettiva di un errore fatale. La tensione sale il cuore batte nella mente si affollano pensieri emozioni immagini: i tifosi, le persone care, i compagni, la propria nazione. Puoi avere lo stigma perenne dell’errore o la gloria dell’eroe che ha risolto il momento decisivo.
Non è solo la paura di perdere ma anche quelle di vincere che annebbia la mente perchè è ancora più drammatico e doloroso non riuscire a vincere sprecando il match ball e poi subendo la rimonta. Per vincere bisogna saper vincere.
Si dice che una delle caratteristiche del campione sia tirare fuori il meglio di sè proprio nei momenti decisivi, proprio quando altri “se la fanno sotto”, il campione non spreca la palla decisiva, non la sbaglia, si prende la responsabilità di giocarla per questo è campione, ma non è così automatico perchè tutti ricordiamo quanti campioni si siano “inceppati” e dalla sconfitta si siano rialzati più forti di prima, ma questo è un altro tema.
Torniamo al match ball, a una prima analisi vediamo alcuni dati oggettivi e ricorrenti: la definitività del momento accresce il peso della responsabilità, il corpo e la tecnica sembrano non essere sotto controllo come al solito, nella mente si affacciano pensieri emozioni apparentemente incontrollabili accompagnati da scenari spesso nefasti oppure semplicemente vengono a mancare le energie per sostenere il momento e tutto si fa nebuloso e incerto.
Questo è il perimetro di azione e l’effetto di quell’emozione che chiamiamo paura.
Ora non desidero entrare in tema di neuroscienza, di psicologia dello sport o ripetere i validi insegnamenti di molti mental coach, desidero proporre una novità: vi avvicinerò a quella che si chiama analisi fenomenologica ovvero la capacità di prendere coscienza e osservare ciò che stiamo sentendo e vivendo in prima persona, ma lo intreccerò con gli insegnamenti della psicologia buddhista.
Aiuto! No, non fatevi spaventare e suggestionare dalle parole. Niente di religioso o di new age, in realtà questi insegnamenti ci offrono su più livelli, un patrimonio di conoscenze pratiche che hanno disegnato una mappa della mente provata e riprovata nella sua validità e efficacia da monaci e guerrieri, da gente comune a persone speciali per oltre 2500 anni. Ve ne parlo non per erudizione ma perchè ho sperimentato e utilizzato questo percorso per me e per coloro che ho formato sportivamente. Il tratto comune che ne esce è un beneficio incommensurabile di consapevolezza, forza mentale, espressione emotiva ed energetica che regala benessere e performance.
Ovviamente il Buddhismo desidera condurti a prenderti cura della sofferenza e della felicità tua e degli altri in modo più ampio che non sia il problema del match ball, ma proprio per la natura plastica e flessibile, preziosa e unica di questo corpus di pratiche possiamo capire come la mente possa condizionare tutto quello che facciamo nello sport e nella vita e possiamo recuperare un rapporto con la nostra interiorità per gestire le emozioni negative e i condizionanti che ne derivano anche a fine sportivo.
Devo fare una precisazione perchè quando scrivo “mente” voi dovete intendere “mente-corpo” poichè quelle che noi pensiamo due realtà diverse e conflittuali sono solo due facce inscindibili della stessa medaglia: noi stessi. La paura “mentale” di cui stiamo parlando come tutte le emozioni è una realtà fisica che influisce sul corpo, sulla tecnica, sul gesto e causa l’errore che si vorrebbe evitare.
Mettiamo alcuni punti fermi: la paura non è mai fine a se stessa ma è sempre in riferimento a una conseguenza. Ho paura di ammalarmi, di morire, di perdere la cose che amo, di sbagliare perchè potrei soffrire, potrebbe finire la vita, potrei essere in pericolo, potrei non raggiungere il risultato a cui tengo, potrei vedere pregiudicato il mio benessere, il mio status. Ogni paura è legata a una conseguenza che crea un problema al nostro mondo.
La paura però è un meccanismo naturale che ci mette al riparo da molti rischi e pericoli, basta guardare gli animali: la paura è una tecnica di sopravvivenza, scappo e mi salvo, non rischio, ma è un meccanismo per eccesso che ci porta ad essere sospettosi di fronte a un potenziale pericolo. Sottolineo “potenziale”, perchè la paura purtroppo dà sostanza alla convinzione che una realtà ancora non verificatasi, sia una realtà attuale. “Ho paura di sbagliare”, ma non ho ancora tirato e allora potrei anche dire : “Sono convinto fare giusto”, ma è difficile. Il grande filosofo Montaigne ha detto: “La mia vita è stata piena di disgrazie la maggior parte delle quali non si è mai verificata”.
La paura dà vigore alla possibilità che qualcosa vada male o che qualcosa di incerto diventi un pregiudizio e così esclude dalla mente la prospettiva contraria ovvero che quella situazione possa essere favorevole e possa diventare un successo.
Se c’è da vedere un punto nero la mente lo nota subito e perde di vista il foglio bianco. Pensa a quando ti dicono in modo imprevisto di fare delle analisi del sangue, o quando hai qualche sintomo strano: panico!
O prova a pensare a quando c’è un cambio di programma, per te è un problema o una nuova occasione? C’è la palla decisiva: la sbaglierò o farò gol?
La mente per sua natura elabora ipotesi, storie, idee, sul mondo in base alle esperienze che ognuno di noi fa o ha fatto, spesso queste “storie” sono frutto di suggestioni e associazioni di cui non abbiamo consapevolezza. La mente racconta sempre storie e molte di queste tendono a elaborare le informazioni del mondo in chiave sospettosa per prevenire un problema ma così facendo in realtà ne creano uno dal nulla.
Nel match ball la mente parte in automatico a raccontarti molte storie legate alla possibilità dell’errore e alle sue conseguenze, si fa facilmente suggestionare raccogliendo mille stimoli che la distraggono, annebbiano la lucidità, paralizzano il corpo, la somatizzazione delle emozioni produce un sovraccarico di ormoni legati allo stress e alla paura che generano conseguenze fisiche.
Si finisce così in trappola di se stessi e a nulla vale darsi tranquillità a parole o con la forza di volontà, può aiutare ma non è decisivo. Pensa a quando vuoi riaddormentarti dopo un risveglio imprevisto e la mente inizia a pensare alle mille cose impegnative del giorno dopo, non è la volontà che ti farà riaddromentare ma il rilassamento.
La mente secerne pensieri e storie senza chiederti il permesso e spesso dice bugie, con un gioco di parole la mente “mente”, ma proprio in essa c’è l’antidoto perchè dove c’è un problema, proprio lì se guardi bene c’è anche la soluzione.
La prima cosa da fare è accorgersi della storia che ti sta raccontando la mente ovvero fare in modo che la mente sia abituata a guardare se stessa, una spada non può tagliare se stessa ma la mente può osservare e cambiare se stessa.
Quando c’è la palla decisiva se ti senti paralizzato o anche solo strano mentre attendi il salto o ti incammini per battere il rigore osserva il film che la tua mente sta proiettando, questa azione ti fa accorgere che è un film e che la realtà del rigore, del gesto, della palla deve ancora accadere. La paura ti sta disegnando uno scenario che non è ancora accaduto oppure ti sta annebbiando ogni scenario.
Quando ti accorgi di questo non ci sono da fare drammi, bisogna imparare a essere consapevoli e a non aprire la porta. “Cara paura eccoti, ma io ti conosco, questo è il tuo film adesso ho da fare altro e non ti apro”. Un po’ come se foste impegnati in una cosa troppo importante in casa da non poter essere interrotti e vi suonasse alla porta un amico, potete anche decidere di far finta di non esserci e di non aprire.
Non è un gioco mentale, ma è la attivazione di una capacità che si chiama consapevolezza ovvero l’accensione di una luce chiara, ampia e potente sullo stato interiore che contraddistingue quel tuo momento per renderti conto che stai scivolando nelle sabbie mobili di un racconto della mente. Dice che sbaglierai quando devi ancora tirare, ma la mente stessa può accendere la luce che illumina se stessa. Ma se sei consapevole della storia perchè invece di farti schiacciare non ne ricavi una forza ancora più grande?
Attenzione non confondiamoci: è ovvio che non stiamo parlando della consapevolezza come capacità di rendersi conto del momento topico e della responsabilità connessa, stiamo parlando di qualcosa di più ovvero della capacità della mente di allargare il proprio confine oltre la ristretta dimensione di un’emozione o di un problema.
Se sei chiuso nella tua ossessione o nella tua incapacità di vedere al di là del tuo naso significa che la tua mente è come un piccolo bicchiere, basta poco per inquinare l’acqua che ne è contenuta, ma se la tua mente ha l’ampiezza di un secchio la goccia di veleno che inquina il bicchiere non rovina l’acqua del secchio e se poi la tua mente è ampia come il mare quella goccia di veleno è inconsistente. Nutrirti e sostenerti di consapevolezza significa allargare i confini della mente secondo la sua natura che noi andiamo invece a tradire perchè il nostro sguardo è chiuso e ripiegato su se stesso per cui ogni piccola goccia emotiva o ogni situazione di vita può essere un dramma a iniziare dalla paura.
Se impari a osservare e mettere davanti a te la paura essa avrà una dimensione diversa, identificata, che puoi imparare a gestire, se la paura al contrario è una bolla che ti ingloba ne resterai vittima.
Per gestire qualcosa devi prima metterla davanti a te con chiarezza.
A qualcuno tutto questo può sembrare artificiale e macchinoso in contrasto con l’immediatezza di una situazione da affrontare.
La consapevolezza è una caratteristica della mente che è già in ognuno di noi, non è un concetto o una formula da applicare, è come il respiro, non devo pensare per respirare ed allo stesso modo per essere consapevole, si tratta di vivere con questo stile nel quotidiano per poi raccogliere anche i frutti nello sport assieme a un benessere immediato in tutto quello che facciamo.
Ma torniamo al match-ball, perchè la consapevolezza non basta, deve intervenire l’altra caratteristica della mente che non siamo abituati far agire con efficacia, spesso la fraintendiamo, è la concentrazione, una luce capace di focalizzarsi in modo potente sull’obiettivo.
La consapevolezza illumina tutto, la concentrazione regala la possibilità di direzionare e mantenere il focus della mente sul momento e sul gesto da eseguire abbandonando operativamente quello che distrae e paralizza.
In altre parole se nella mente si affollano pensieri suggestioni emozioni come la paura, dopo la consapevolezza che illumina la scena e la ridimensiona interviene la concentrazione che aiuta la mente ad abbandonare quello che non serve per direzionarsi solo su ciò che è essenziale.
Di solito per raffigurare la concentrazione corrughiamo la fronte a simulare uno sforzo, una fatica, ma la concentrazione è un atto naturale, diventa uno sforzo perchè non ne abbiamo familiarità perchè la nostra mente è sempre distratta e non siamo abituati a direzionarla, ne subiamo senza più accorgercene il disordine.
Immagina di essere su una panchina con la persona amata tutto quello che c’è attorno, rumori, immagini, passaggio di persone di auto rimane sullo sfondo o addirittura non lo noti nemmeno perchè sei concentrato in modo naturale sulla persona che ami.
L’amore, la gioia, il piacere ti portano a essere concentrato su ciò che ami su ciò che ti gratifica.
Le emozioni negative invece innescano la concentrazione opposta, occupano tutto lo spazio della mente e la spostano fuori dal focus fino a farti sentire incerto di tutto.
Dopo che te ne sei reso conto grazie alla tua nuova arma della consapevolezza ecco che gentilmente puoi far scivolare quelle sensazioni di inadeguatezza e concentrarti sul tuo muscolo, sulla palla, sul respiro per “occupare” la mente mentre sei in attesa di eseguire il gesto finale, devi imparare a tenere ferma la mente su quello che ti è più utile.
Ovviamente se non sei allenato e forte la storia si riprenderà il suo spazio e tu ricadrai nella paura, ecco la necessità del chicco d’uva.
Prendi un chicco d’uva o un pezzo di pane e mangialo. Di solito è un’azione che facciamo meccanicamente, ingurgitiamo il cibo mentre pensiamo ad altro, parliamo, siamo distratti frettolosi, facciamo minimo una o due altre cose contemporaneamente: mangiamo, parliamo, guardiamo il telefono, la televisione, ascoltiamo la musica e nemmeno ci siamo accorgiamo del cibo.
Invece stavolta guarda il chicco prima di mangiarlo, accendi la consapevolezza del momento, adesso c’è solo il chicco d’uva e nessuno te lo deve toccare: stai mangiando un chicco d’uva e se ci sono voci, pensieri e distrazioni, se la mente va altrove gentilmente richiamala sul chicco d’uva e assaporalo alla vista, al tatto, al profumo e poi al gusto, senza fretta, concentra l’attenzione su ogni movimento delle dita, dei denti, della lingua, assapora il succo, resta lì nella dolcezza e quando arrivano gli acini che danno fastidio, accettali, fanno parte del momento anche se uno si è spezzato fra i denti e rilascia il gusto amaro. Resta consapevole della gioia del dolce e del fastidio dell’amaro inatteso, non cadere nella trappola del piacere e del dispiacere che condizionano, vivi tutto quello che è per come è.
Questo ti permette di agire liberamente altrimenti sarai sempre e solo in balia delle emozioni, dell’umore, dell’incertezza.
Dirai: “Che sciocchezza il chicco d’uva non è il match-ball”, è vero ma io ti dico: “Se non sei capace di mangiare con consapevolezza un chicco d’uva e se non riesci a tenere la mente concentrata per dieci secondi su un chicco d’uva come puoi farlo col match ball?”
Il vero segreto si svela quando dopo il chicco d’uva impari a fare la stessa cosa col respiro perchè il respiro è il ponte fra interno ed esterno, è il veicolo del rilassamento e dell’energia, rilassa e carica favorisce il giusto equilibrio quando c’è troppa tensione o paura, regala armonia e benessere.
Se hai un rapporto col respiro capisci che è un fratello che ti sostiene sempre, ma anche osservandolo ti segnala l’eccesso, ti connette a quella dimensione performative per cui il gesto, il tiro sono connessi alla mente-corpo e tu hai la sensazione che c’è una continuità fra te e il gesto, la palla, l’obiettivo. La mente è consapevole e concentrata sull’obiettivo che non può scappare.
C’è un metodo potente per allenare in profondità tutto questo, ma non è solo una tecnica, è uno spazio di vita ed è la meditazione, per questo però serve un prossimo articolo.
Basta solo che scorriate i motori di ricerca per scoprire quanti campioni dello sport utilizzino la meditazione che per molti è diventata compagna di vita: Marta Bassino, Lebron James, Maria Sharapova, Danilo Gallinari, Ronaldo, Erling Haland.
Al di là del match-ball tutto questo può valere per ognuno di noi: la mente è una scimmia che salta da una cosa all’altra e a volte cade in qualche pozzo. Mentre sto scrivendo ho sentito la notizia di Naomi Osaka campionessa di tennis che a soli 23 anni ha bisogno di ritirarsi per un po’ causa stress e depressione.
Sono situazioni molto complesse e articolate, questo articolo non ha pretese, se non quello di accendere una luce e indicare una via nuova, diversa, una possibilità in più per tutti i match ball che ognuno incontrerà nella propria vita, non solo sportiva.
Tommaso Furlan è allenatore di calcio con molte esperienze in settori giovanili professionistici. E’ consulente nel mondo aziendale e sportivo con particolare cura del benessere e dell’armonia interiori. Le storie che racconta in Gioco Pulito partono tutte da esperienze personali.
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