“Mario is back”. Mario è tornato. E stavolta definitivamente. Con 4 gol nelle ultime 4 partite di campionato giocate, dove finora ne ha realizzati 10, ai quali si aggiungono i 4 in Europa League con la doppietta allo Zulte Waregem determinante per la qualificazione dei rossoneri ai sedicesimi di finale, Mario Balotelli ha trascinato il Nizza alla rimonta in Ligue 1 dalle rive della zona retrocessione ai confini dell’Europa, ma soprattutto sta confermando di essere un giocatore ritrovato.
Dicono che ripetersi sia più complicato che affermarsi. Bene. “Super Mario” sta vincendo anche questa seconda sfida dopo la rinascita della scorsa stagione, la prima in rossonero, smentendo quella larga parte di calcio europeo che lo considerava ormai sul viale del tramonto dopo un biennio inconcludente – 7 gol in 51 partite tra Milan e Liverpool – e buono solo ad alimentare critiche, talvolta spietate, sul suo conto.
Più che altro, Balotelli si sta rilanciando agli occhi del calcio italiano, in particolare a quelli colorati d’azzurro. Che troppo in fretta, dopo averlo ammirato troneggiare sulla Germania sotto il cielo di Varsavia nella semifinale di Euro ’12, hanno smesso di guardarlo. Colpa d’un mondiale, quello brasiliano, dove Mario fu super contro l’Inghilterra, ma andò game over contro il Costa Rica per poi rimanere negli spogliatoi al 45’ del match contro l’Uruguay. Quando l’Italia era agli ottavi per poi finire invece out al 90’. E lui salì sul banco degli imputati come uno dei capri espiatori, se non il principale. Al punto che, anche se non in forma ufficiale, quel 24 giugno 2014 segnò la sua uscita dalla Nazionale. Certo, i suoi successivi flop anglomeneghini non lo hanno aiutato a rientrare, ma diciotto mesi di Nizza hanno dimostrato la sua piena idoneità per ritornare a essere un punto fermo dell’Italia. Che invece ha continuato a ignorarlo. Quando magari – vedi recenti qualificazioni mondiali a base di striminzite vittorie, anemici pareggi e sciagurate eliminazioni – le sarebbe stato utile. Se è vero che ognuno sceglie ciò che ritiene più opportuno, è altrettanto insindacabile che con lui l’Italia ha giocato una finale europea e ha partecipato a un Mondiale. Senza, si è fermata ai quarti di finale (contro la Germania da lui stesa) per poi essere estromessa da Russia 2018. Non accadeva da sessant’anni. Eppure, parte di critica e di tifosi hanno riservato ben altro trattamento verso chi ha gravitato in azzurro da Natal a Stoccolma rispetto a quello avuto con Balotelli.
Una disparità alla quale lui ha comunque risposto nel modo migliore. Con i fatti. Gol (33 in 49 partite) e non solo. Anche – e questa è la novità più attesa – per i comportamenti: capigliatura più sobria, il 9 al posto del 45 sulla maglia, altruismo e impegno in campo, presenza sui media per questioni tecniche e non, come in passato, di altra natura tipo il coinvolgimento in risse o multe per eccesso di velocità. “Mario deve capire che cosa vuole fare: se la sua priorità è il calcio, può diventare ancora uno dei primi cinque al mondo” disse Cesare Prandelli, suo grande estimatore e sostenitore. Forse Balotelli ha colto il messaggio, cominciando a tener fuori dalla sua vita aspetti che hanno generato la nomea di “bad boy” e che, rapportati col suo enorme tasso tecnico, hanno ingigantito ogni suo minimo errore aumentando le pressioni nei suoi confronti. Un atleta diventa campione se, al potenziale di madre natura, somma umiltà, motivazioni e lo stare lontano da situazioni che possono tramutarsi in boomerang per la sua vita professionale. Viene da pensare che abbia cambiato marcia, che la Francia sia il suo ambiente ideale. Perché ognuno di noi ha bisogno di trovare il suo posto al mondo e nel suo caso forse non era l’Italia o l’Inghilterra, ma una città come Nizza e una squadra con l’ambizione, e non l’obbligo, di vincere.
Per la carta d’identità, ha almeno altri dieci anni di carriera ad alti livelli, se affrontati col desiderio di togliersi soddisfazioni e con la voglia di fare di tutto per ottenerle. Si avvererebbe la previsione di Prandelli, ma soprattutto Mario, il calciatore rinato, potrebbe essere il simbolo di un’altra rinascita, quella del calcio azzurro. Che se nell’ultimo biennio ha escluso il suo miglior talento di una generazione non certo di fenomeni, forse può rispondersi da solo sui suoi problemi e sul perché fra sei mesi non volerà a Mosca.
Spetterà comunque al diretto interessato, l’ultima parola. Il secondo tempo della sua carriera è appena iniziato e se quelle di Nizza son le prime scene, può venir fuori un capolavoro. Non dipenderà solo da lui, ma di sicuro soprattutto da lui. Che per ora ce la sta mettendo tutta. Poi toccherà ad altri scegliere se beneficiare o no di questo bel regalo di Natale in arrivo dalla Costa Azzurra. Intanto lui non si fermi. Allez Mario!