Marco Anelli, romano classe 1968, è un fotografo di fama internazionale. Attualmente vive New York dove sta portando avanti un progetto fotografico dedicato proprio a questa affascinante città.
Giovanissimo comincia a fotografare “per gioco” – come ama dire – le corse automobilistiche che erano la sua passione, ma poi il gioco diventa un lavoro e si trasferisce a Parigi per studiare la fotografia e la tecnica di stampa del bianco e nero.
Tra i suoi tanti lavori fotografici c’è quello dedicato a Marina Abramovic “Portraits in the Presence of Marina Abramovic” dove sono ritratti tutti i 1545 partecipanti alla performance dell’ artista al MoMA di New York.
I suoi progetti fotografici hanno una lunga scansione temporale e tra i tanti temi toccati da Marco Anelli spicca proprio lo sport, con la realizzazione di un lavoro dal forte sapore documentaristico più che semplicemente estetico.
Come hai cominciato a fotografare?
Ho cominciato a 17 anni quasi per gioco, avevo la passione per le corse automobilistiche e con la prima macchina fotografica regalatami da mio padre ho iniziato a scattare. Sempre per gioco ho mandato le mie foto ad una rivista specializzata (Autosprint) che compravo regolarmente e la settimana successiva ho trovato una mia foto pubblicata in doppia pagina. Da quel momento in poi ho cominciato a lavorare con le agenzie di sport motoristici. Questo lavoro per me era bellissimo perché viaggiavo, potevo assistere da vicino alle corse automobilistiche e in più fotografavo.
In quegli anni però ho maturato l’idea che potesse diventare un lavoro e quindi sono andato a Parigi a studiare fotografia, scoprendone le potenzialità al di là del reportage sportivo.
Cos’è la fotografia per te?
Oltre la mia passione e il mio lavoro è tante cose. E’ un mezzo per comunicare, raccontare storie; è una sfida continua perché ogni progetto richiede uno studio approfondito del tema e del soggetto, ma è soprattutto un modo per accedere a mondi diversi. Facendo il fotografo ho potuto fotografare le sculture della basilica di San Pietro, gli stadi di calcio, i più importanti direttori d’orchestra, i grandi cantieri e i musei mettendomi in contatto con mondi differenti…ciò mi ha permesso di approfondire realtà totalmente diverse fra loro. Ed è questa, per me, la cosa più importante del fotografare.
Il tuo fotografo preferito?
Ne ho tanti, in realtà me ne piacciono molti e totalmente diversi tra loro.
Dei tuoi lavori c’è qualcuno al quale sei più legato?
Non ho preferenze. Ogni progetto fotografico ha rappresentato per me un’esperienza diversa ma ugualmente importante.
Come è nato il lungo progetto fotografico dedicato allo sport?
Nel 2000 dopo aver collaborato con il Vaticano per 5 anni ed aver avuto modo di fotografare in maniera esclusiva la Basilica di San Pietro in ogni suo aspetto, (dalla cupola agli interni, dalla facciata alla necropoli), ho voluto cambiare completamente genere e proprio in quell’anno la Lazio vinceva lo scudetto. Il clamore ed i festeggiamenti per questa vittoria mi colpirono molto e decisi di dedicarmi al progetto sul calcio, sport che non conoscevo, supportato anche da Grazia Neri e Giovanna Calvenzi.
Ho fotografato per due anni nei maggiori campi di calcio italiani e man mano mi sono documentato seguendo le trasmissioni specializzate, acquistando le riviste di calcio e andando allo stadio. In questo progetto ho focalizzato la mia attenzione sui giocatori ed il gioco. Il progetto divenne un libro (IL CALCIO) edito da Federico Motta e una mostra alla Galleria Le Stelline a Milano.
Lavorandoci mi sono sempre più appassionato al tema ed ho cominciato a studiare il calcio ed altri sport di massa e le loro influenze sulla società trovando delle statistiche molto interessanti. Una ricerca fatta dalla Loughborough University, durante i mondiali di calcio del 2006 in Germania, afferma che gli uomini durante la visione della partita subiscono un aumento delle frequenze cardiache, che per i soggetti più sedentar icorrisponde ad un aumento del rischio di infarto.
Da un’altra ricerca è emerso che in Italia nei periodi estivi, cioè quando il campionato di calcio è fermo,la questura segnala un aumento di maltrattamenti dei mariti a danno delle mogli, come se l’impossibilità di sfogarsi allo stadio generasse violenza.
C’è un’altra ricerca, questa volta su un altro sport, il footbal americano (NFL), fatta dalla US National Institutes of Health che afferma che vi è un aumento delle violenze domestiche in caso di sconfitta inaspettata della squadra del cuore.
Questi studi sono interessanti per comprendere la grande forza che lo sport può avere sulla società.
Non importa di quale sport parliamo perché se cambi paese, cultura e anche lo sport, trovi comunque dinamiche simili.
Sulla base quindi di tanti studi sono ritornato negli stadi rivolgendo la mia attenzione agli spettatori e non più ai calciatori.
Ho fotografato il pubblico durante l’intera partita dando le spalle al campo e scattando nei momenti di maggior tensione, in particolare quando veniva segnato o subito un goal. Il risultato è un ritratto di persone con volti ed espressioni decisamente originali, avvolte fuori controllo. Tali manifestazioni di energia le abbiamo esclusivamente negli stadi e osservando le immagini delle espressioni dei volti nel dettaglio hai un’ulteriore conferma dei risultati di quelle ricerche.
E’ incredibile anche come persone che spesso sono estranee fra di loro durante la partita diventino unite più che mai dalla propria squadra.
I tuoi ultimi progetti?
Mi sono trasferito a New York nel 2010 e sto lavorando a vari progetti fra cui uno sui grandi cantieri e uno sulla città di New York. Quest’ultimo in particolare si sta rivelando un tema decisamente impegnativo poiché si tratta di una città fra le più fotografate al mondo ed offrirne una visione originale ed unica è particolarmente difficoltoso. Al momento, dopo più di due anni, ho realizzato circa trentamila scatti e camminato per più seicento chilometri per Manhattan e temo di essere ancora abbastanza lontano dalla sua conclusione.
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