Maradona e il fango di Acerra
Sono trascorsi due anni esatti dalla morte di Diego Armando Maradona, un giocatore la cui vita fuori dal campo è stata sempre un pretesto per critiche e polemiche, spesso esagerate. Ma El Pibe non era solo questo, anzi. E in questa storia si capisce molto bene il perché.
Quando si parla di Diego Armando Maradona, non si riesce proprio più a fare a meno di parlare in primis dei suoi problemi con la droga, noti sicuramente a tutti e per questo in grado di offuscare l’immagine di un campione che ha sempre e comunque sostenuto di non voler essere l’esempio di nessuno.
Diego era, ed è tuttora, un uomo nel più completo significato della parola. Un uomo che ha sbagliato, come può fare chiunque, ed ha pagato come dovrebbe fare chiunque.
Tuttavia qui non si vuol procedere a santificare la figura di quello che, almeno per tutta una serie di fattori, è stato in ogni caso il più grande giocatore di tutti i tempi.
Si vuole invece portare a galla una di quelle storie che non racconta nessuno, o che comunque in pochi tendono a raccontare, proprio perché, altre tematiche, come quella della droga appunto, tendono ad essere un’esca più profittevole per scrittori incauti, per chi si prende cura solamente dell’aspetto superficiale delle cose.
“Maradona era un drogato” nazionalizza le masse più di un “Maradona era un uomo buono”.
Quando in realtà Maradona, come tutti, era solo un uomo, nato con un talento particolare in grado di dare al suo cognome una connotazione di grandezza tale da non poter più essere letto in maniera normale.
Però Diego, che ai tempi era già Maradona nel più ampio significato, aveva qualcosa che, a differenza di tutti gli altri, poteva davvero distinguerlo ed elevarlo ad una figura che oltrepassa il campo da calcio. E non erano i suoi problemi con la droga.
Così la mente ci riporta, dopo questa ampia premessa, ad un episodio quasi dimenticato, nascosto sotto la polvere del tempo.
L’inverno era quello del 1985, il primo di Maradona a Napoli. Il primo del più grande nella terra dei più piccoli, di quelli che, alla stregua di ogni processo storico, si sono sempre identificati come i “dimenticati”.
Diego, che in questo ambiente sembrava aver trovato casa dove metter su leggenda, aveva compreso che Napoli aveva bisogno di lui più di qualsiasi altra cosa, come riscatto di una lotta eterna contro i più potenti.
Poteva quindi finalmente, dopo l’esperienza fallimentare di Barcellona, dimostrare a tutti il Maradona calciatore e il Maradona uomo.
La prima occasione gli capitò proprio quell’inverno, il primo.
Il calciatore Pietro Puzone ha conosciuto un tifoso del Napoli che ha un figlio gravemente malato e a cui non può garantire le giuste cure, il dilemma di come aiutarlo si pone inevitabilmente.
La soluzione più rapida e plausibile sembra essere una partita di beneficenza a cui però, l’allora presidente Ferlaino, si oppone drasticamente per paura che qualche giocatore del Napoli, trascinato nella lotta salvezza, si possa fare male.
La voce del fatto arriva all’orecchio di Diego, un orecchio sensibile alle questioni che contano, lo dimostra la sua prima dichiarazione in azzurro: “Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires”.
Ferlaino non si smuove, ma Diego, che a Napoli è già, da mesi ormai, l’idolo indiscusso di tutto ciò che è vita, risponde a modo suo: “Che si fottessero i Lloyd di Londra. Questa partita si deve giocare per quel bambino.”.
Passa qualche giorno, è lunedì e il Napoli ha appena vinto una partita fondamentale contro il Torino, sotto un acquazzone ed un freddo tagliente.
Il fatto strano è però che, dopo una partita del genere, il Napoli è ancora schierato in campo, non al San Paolo, culla dei sogni azzurri, ma ad Acerra in un campo di patate e pieno di fango.
Pare che Diego, di tasca sua, pur di giocare, abbia pagato una clausola di dodici milioni di lire alla sua assicurazione.
Non c’è posto nemmeno per stare in piedi, al campo di Acerra, arriva gente da ogni dove, perché c’è Maradona e perché c’è il Napoli.
Tra sbuffi di automobili presenti a bordocampo, in un clima surreale, quasi hollywoodiano, Diego Armando Maradona, nonostante l’obiettivo dei fondi da raccogliere sia già stato ampiamente raggiunto, corre, calcia e si dimena per ogni pallone, rischiando anche, in più di una occasione, di lasciarci la gamba.
Qualcuno, vedendolo così predisposto al sacrificio, gli intimò di tranquillizzarsi, di non rischiare. La sua risposta fu, forse, anche se dimenticata, come questa storia, tra le più significative per dare una definizione del Maradona uomo e giocatore: “Tu non hai capito chi è Maradona, io gioco solo per vincere qualsiasi sia l’avversario”.
Questa fu la storia di un pomeriggio qualsiasi appartenente ad un calcio lontano, dove, anche un Dio, poteva sporcarsi di fango, in provincia.
Non ci resta che goderci un video di quella giornata