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Malavita, proiettili vaganti e una promessa: la Storia di Marcus Smart, salvato dal Basket
Lo Sport americano è pieno di storie di atleti che grazie proprio allo sport hanno visto cambiare la propria vita in un attimo, quando tutto sembrava perduto e la via intrapresa ormai segnata. Criminalità, povertà, droga sono ingredienti tipici di quelle vite che sembrano uscite da un film. Ma che sono reali. Tra queste, una delle più toccanti e incredibili è quella Marcus Smart, giocatore NBA in forza ai Boston Celtics. Un passato che lascia senza parole.
Marcus nasce nel marzo 1994 a Flower Mound, vicino Dallas, ma trascorre l’infanzia a Lancaster, sobborgo fin troppo noto per l’elevato tasso di criminalità. Eppure da bambino riesce a tenersi lontano dai guai, grazie all’intervento del fratello maggiore Todd: di 23 anni più grande, si occupa del fratellino giorno e notte, trasmettendogli anche la passione del basket. Una passione che lui stesso aveva coltivato ai tempi del Liceo, riuscendo a giocare ad alti livelli anche dopo un tumore all’occhio.
Ma quando Marcus ha nove anni, la sfortuna si abbatte su di lui. Todd si ammala di nuovo, stavolta per un grave cancro allo stomaco. Un anno dopo viene a mancare, lasciando un vuoto nella vita del bambino. In quegli istanti la madre ha un malore, eppure lui le si avvicina e le fa una solenne promessa: “Mamma, ti prometto che diventerò un giocatore NBA e penserò a tutti e due per sempre”.
Da quel momento Marcus inizia a dedicarsi a tempo pieno al basket. Crescendo, mostra una forza di volontà neanche lontanamente immaginabile nei suoi coetanei. Ma in quel di Lancaster, le rette vie non esistono. Malgrado la promessa alla madre e l’impegno nel basket, Marcus si fa trascinare in brutti giri. Da adolescente entra in una banda di ragazzini che si divertono a lanciare pietre contro cose o persone, finché un giorno colpisce volontariamente un ciclista, facendolo cadere a terra. Ma il ragazzo non sa con chi ha a che fare:l’uomo, imbufalito, una volta rialzatosi estrae una pistola e inizia ad inseguirlo con l’intento di fargliela pagare. Solo grazie al tempestivo intervento del fratello Michael, personaggio di spicco nella malavita locale, Marcus riesce a scamparla.
Ma i guai per lui non sono finiti qui. Gli amici di cui si circonda non sono tra i più raccomandabili, fin quando una sera non si ritrova nel bel mezzo di una resa di conti fra gang della zona. In quegli attimi di terrore, Marcus è costretto a scappare, nascondendosi e zigzagando fra le automobili, con il suono dei proiettili vaganti che gli fischia nelle orecchie. E poco tempo dopo si ritrova in una situazione simile, in cui stavolta assiste all’uccisione di un suo cugino, di appena sedici anni. E’ uno shock devastante, che lo porta ad una decisione cruciale: basta con quella vita.
Da quel momento, Smart ha solo un obiettivo: non tradire la promessa fatta alla madre davanti al corpo esanime di Todd. La famiglia torna a vivere a Flower Mound e il ragazzo accede alla locale Edward S. Marcus High School, dove si fa notare per i suoi mezzi atletici spaventosi. Nella squadra è in assoluto il più forte, dotato di una stazza impressionante e di un invidiabile padronanza del pallone. Le sue gesta sul campo diventano popolari al punto da richiamare l’attenzione di Travis Ford, allenatore di Oklahoma State, che riesce ad assicurarsi i suoi talenti. Da qui, coi Cowboys, ha inizio la sua scalata al successo.
Nei due anni ad Oklahoma State Smart metterà in mostra tutto il suo potenziale: una forza fisica impressionante, un’attentissima presenza difensiva, una capacità innata nel rubare i palloni. Non è uno scorer, ma nel suo anno da sophomore sigla ben 18 punti e 6 rimbalzi a partita. Numeri che fanno gola a molti team NBA.
Ed il 26 giugno 2014, ecco che Marcus mantiene la promessa fatta a sua madre: con la sesta pick, viene scelto dai blasonati Boston Celtics. E’ una gioia incontenibile la sua, che però si rende conto di essere solo all’inizio di un lunghissimo cammino. Nei suoi ricordi non possono mancare le sofferenze, le paure e i rischi che l’hanno sempre accompagnato, ma nel suo presente e futuro è ferma la convinzione che a salvarlo non sono stati gli “amici” di un tempo, ma un palla a spicchi.
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