Dall’11 al 30 novembre si è svolta a New York la finalissima del Campionato Mondiale di Scacchi, che ha visto imporsi il campione in carica Magnus Carlsen. Il norvegese ha avuto la meglio sul russo Sergej Karjakin, a seguito di un incontro dalle mille emozioni: dopo le dodici partite iniziali, terminate con una vittoria a testa e ben 10 pareggi, è stato il tie-break a sancire il trionfo finale di Carlsen. Un trionfo ancora più dolce, perché maturato il giorno del suo compleanno.
Il ventiseienne norvegese, che da sempre si è contraddistinto per il suo gioco rapido, ha saputo sfruttare questo fattore, visto che lo spareggio decisivo era costituito da 4 partite con 25 minuti concessi ad ogni giocatore più 10 secondi per ogni mossa . Un tempo, nell’ambito degli scacchi, piuttosto limitato e per questo vantaggioso per gli scacchisti rapidi.
Per la terza volta dal 2013 Carlsen si è laureato campione del mondo, così da incrementare non solo il suo spessore nel panorama mondiale scacchistico, ma anche la sua popolarità mediatica. Testimone di questo suo status di star sono state gli oltre 10 milioni di persone che da ogni parte del globo hanno seguito la finale via streaming. Il che ovviamente giova al movimento scacchistico e ne rafforza l’appeal in giro per il mondo.
Ma che Carlsen fosse una celebrità non lo scopriamo certo ora. In Norvegia, dove è letteralmente idolatrato, la televisione di stato ha speso oltre 2 milioni di euro per accaparrarsi i diritti televisivi dei massimi tornei internazionali, così da seguirne le gesta. Inoltre, dal 2013 il nativo di Tonsberg ha firmato un contratto come modello con il brand di abbigliamento G-Star. E nello stesso anno Cosmopolitan lo ha inserito nella lista degli uomini più affascinanti del pianeta.
Eppure Carlsen ha sempre affermato di volere, per il futuro, una vita normale. Niente carriera da modello, da attore, da star. Il che fa un certo effetto, visto il suo comportamento a volte altezzoso, ai limiti dell’arroganza.
Anche se, in realtà, quella di Carlsen non è presunzione. E’ più una fiducia, profonda, nei propri mezzi, maturata nel corso di una carriera che raramente lo ha visto sconfitto. Definirlo baby-prodigio non sarebbe lontano dalla realtà, ma nemmeno troppo corretto. Infatti, quando aveva 5 anni il padre – anche lui scacchista – provò a fargli prendere dimestichezza con la scacchiera, lui imparò le regole ma si stufò presto, preferendo di gran lunga la costruzione di imponenti palazzi coi suoi amati Lego.
Poi, all’età di 8 anni, si incuriosì agli scacchi perché la sorella maggiore aveva iniziato a studiarli a scuola. Cominciò ad applicarsi, ad amare quello sport. E da lì, ebbe inizio una rapida scalata verso il successo: diventò Gran Maestro degli Scacchi a soli 13 anni, iniziò ad aggiudicarsi tornei su tornei, diventando il più giovane scacchista a toccare 26000 nella classifica della Federazione Internazionale. Nel 2010, all’età di soli 19 anni, divenne il numero uno al mondo più giovane di sempre.
Nella sua crescita hanno avuto un ruolo fondamentale suo padre, il primo a credere in lui, e il suo insegnante/mentore: Garry Kasparov. Uno degli gli scacchisti più forti di sempre. Con lui Magnus imparò moltissimo, pur avendo un gioco diverso: Magnus è infatti l’emblema di una visione degli scacchi moderna e rappresenta una generazione fortemente influenzata dalla tecnologia e dai PC.
Va però detto che Carlsen, pur avendo appreso molto dagli insegnamenti di Kasparov, raggiunse l’apice del successo dopo aver interrotto i rapporti professionali col campione russo. I motivi di questa rottura sono da ricondursi al 2010: pochi minuti prima dell’inizio di un importante match contro Kramnik – campione del mondo fino al 2007- Kasparov consigliò a Carlsen di modificare l’apertura dapprima concordata. Di lì a poco perse la partita: per questo decise di lasciare Kasparov.
E a distanza di 6 anni Magnus ha già conquistato 3 volte il titolo mondiale. Il tutto all’età di soli 26 anni. E se anche Carlsen viene visto come il prototipo del giocatore moderno, nato nell’era del predominio informatico e della standardizzazione, non si possono non notare in lui i tratti, classici, del prodigio. Del genio, unito a quel pizzico di sregolatezza che non guasta mai. Una sregolata genialità che lo ha reso il “Mozart degli scacchi”.