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Luci ed ombre ai World Equestrian Game di Tryon

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Si sono conclusi domenica scorsa a Tryon nella Carolina del Nord  i Campionati Mondiali di Equitazione. I WEG World Equestrian Games come si chiamano dal 1990 quando la FEI decise di raggruppare in sede e data unica i Mondiali delle varie discipline equestri.

Tryon è probabilmente una delle più piccole località al mondo ad aver ospitato un evento di tale importanza, è infatti un paese di 1.646 abitanti al censimento del 2010. Il legame tra il cavallo e Tryon è però molto forte e ha più di cento anni. Fu tale Carter Brown nel 1917 arrivato in paese dal Michigan ad aprire la prima attività legata all’equitazione e al golf, fino alla nascita nel 1925 del Tryon Riding and Hunt Club da lui presieduto. Nel 1929 nacque la prima manifestazione sportiva locale legata ai cavalli il Tryon Horse Show, che in breve divenne talmente popolare da far chiudere nei giorni della sua effettuazione le scuole e, al pomeriggio anche le fabbriche!

La nazionale statunitense preparò qui le Olimpiadi del 1956, quelle che l’equitazione disputò a Stoccolma invece che a Melbourne come tutte le altre discipline per via delle ferree regole di quarantena previste dalle autorità per l’ingresso di animali in Australia. Da allora il rapporto Tryon – Equitazione divenne sempre più stretto e anche crebbe il business fino all’inaugurazione nel 2014 del Tryon International Equestrian Center, costato cento milioni di dollari. 1400 acri, dieci impianti per praticare le varie discipline, il più grande dotato di 6.000 posti, 1.000 stalli per ospitare i cavalli e ogni genere di percorso tra i boschi per l’allenamento dei cavalli da completo ed endurance che necessitano di lavorare in spazi aperti e ampi.

Purtroppo non tutto è filato liscio nell’organizzazione dei Mondiali. Ci si è messo l’uragano Florence che ha interessato la zona e portato all‘annullamento definitivo di una delle tre competizioni previste nel dressage, il Freestyle Individuale. Eccesso di caldo e di umidità oltre a una serie di mancanze organizzative hanno invece portato all’annullamento dell’intero programma dell’Endurance, una massacrante prova in campagna di 160 chilometri, a gara in corso. Situazione che ha fatto indignare tutti gli addetti ai lavori. Così  Gianluca Lalisca, cavaliere e affermato manager del settore, a ilportaledelcavallo.it:

“La data del 12 settembre 2018 è destinata a essere ricordata come il punto più basso che la nostra disciplina abbia mai vissuto. Più che le condizioni climatiche  una serie di errori, sottovalutazioni e incapacità umane, hanno contribuito al totale insuccesso della sfida mondiale di endurance, fino al suo annullamento. Alla luce di quanto è successo penso che sia opportuna una profonda riflessione da parte di tutti, a partire dalla FEI per finire con le singole Federazioni. Condannare l’endurance a questo genere di sentenze è inammissibile”.

 Non è mancato lo spettacolo nelle altre discipline, anche se,da appassionato ed ex praticante sono rimasto malissimo quando ho saputo che per la prima volta dal 1953, non sarebbe stata disputata la tradizionale finale a quattro con lo scambio dei cavalli che assegna l’oro individuale nel salto ad ostacoli. La FEI ha deciso di sostituirla con due percorsi normali le cui penalità si sommano a quelle raccolte nei tre giri validi anche per la gara a squadre, a cui erano qualificati i primi 25 della classifica ridotti a 12 per il secondo percorso.

 

Questa scelta ha fatto venir meno un unicum, i migliori cavalieri del Mondiale che si giocano le medaglie saltando gli stessi ostacoli in sella al  proprio cavallo e a quelli dei tre rivali. Uno spettacolo che non esiste in nessun altra disciplina, complesso da realizzare, problemi assicurativi ad esempio,  probabilmente lento per i tempi televisivi visto che per ogni quattro discese in campo, circa cinque minuti di azione, ne andavano almeno venti di pausa per permettere ai cavalieri di prendere contatto coi cavalli degli avversari, sicuramente stancate per gli equini, ma un unicum che gli appassionati si godevano una volta ogni quattro anni.

Per fare un paragone è come se all’ultima gara di Coppa del Mondo di discesa libera i primi quattro in classifica scendessero quattro volte dalla Streif di Kitzbuhel indossando prima gli sci propri poi quelli degli altri, o se all’ultimo Gran Premio di Formula Uno si disputassero delle brevi corse da venti minuti l’una con Hamilton, Vettel, Verstappen e Alonso che si scambiano le monoposto. Impossibile, tranne che nel Salto a Ostacoli, dove invece si è deciso di non farlo più.

 

Alla fine comunque una buona notizia è arrivata, a vincere il titolo mondiale nel Salto è stata una giovane donna tedesca Simone Blum, 29 anni, numero 142 al mondo, talmente poco conosciuta da non avere ancora una sua pagina su Wikipedia in inglese, in sella a DSP Alice una femmina di 11 anni. Nella disciplina era successo in passato una sola volta, nel 1986 quando ad Aquisgrana in Germania Occidentale, il muro di Berlino sarebbe caduto nel 1989, ci era riuscita la allora ventiseienne canadese Gail Greenough in sella a Mister T.

 

 

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