Il progetto che riguarda il nuovo stadio della Roma a Tor di Valle somiglia sempre di più al “frutto amaro” di cui cantava Antonello Venditti. Una “questione politica” come diceva l’inventore di “Grazie Roma”, che sembra diventare giorno che passa un vero e proprio “gioco dell’oca” che quando sembra arrivato alla casella finale puntualmente è costretto a ricominciare daccapo.
Gli ultimi problemi sono arrivati con il parere del rappresentante dello Stato nella Conferenza dei Servizi che la Regione Lazio aveva mantenuto aperta, nonostante la formale bocciatura del 5 aprile scorso. E anche questa volta, come in occasione del progetto approvato dalla giunta Marino, il governo ha espresso “parere favorevole” alla realizzazione dell’opera, ma con alcune riserve in materia di viabilità e infrastrutture. Infatti se tra i soggetti statali coinvolti la maggioranza si è mostrata favorevole (tra questi i ministeri degli Interni e dell’Ambiente, il Demanio, la Prefettura), al contrario, alcune riserve sarebbero state mostrate dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Le quali, se per il ministro Graziano Del Rio non sono una bocciatura ma soltanto delle prescrizioni, c’è invece anche chi come il quotidiano Il Messaggero (organo di proprietà del costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, ad oggi uno dei “grandi esclusi” dal progetto) si affretta a far presente l’esatto contrario: vale a dire l’esistenza di due pareri entrambi licenziati dal ministero dei Trasporti, che arriverebbero nientemeno che a “smentire” il ministro. Il primo, che porterebbe la firma del direttore del Dipartimento per i Trasporti e la Navigazione Elisa Grande e il secondo del direttore generale Ornella Segnalini e che sarebbero entrambi “pareri negativi” al progetto di Tor di Valle. In particolare, come scrive sempre il Messaggero, tra le varie criticità sarebbero state avanzate alcune in merito all’eliminazione dal progetto del Ponte di Traiano (previsto nella versione iniziale approvata dalla giunta Marino), il famoso Ponte sul Tevere che la giunta di Virginia Raggi non ha voluto considerare come opera di pubblica utilità da inserire nel progetto a compensazione delle cubature concesse ai privati.
Le maggiori criticità infatti sarebbero sorte proprio in seguito alle modifiche volute dalla sindaca penta stellata. La quale, chiedendo una forte riduzione delle cubature (per compiacere una buona parte della base e degli attivisti romani contrari alla versione iniziale e il tutto sotto la benedizione del “garante” Beppe Grillo), ha ottenuto anche una contestuale riduzione delle opere di pubblica utilità (tra le quali l’eliminazione dello svincolo sull’autostrada Roma-Fiumicino e appunto il ponte di Traiano) che invece la giunta Marino aveva inserito come “onere” a carico dei proponenti (la Roma e la società Eurnova del costruttore Luca Parnasi) per concedere il semaforo verde alla realizzazione dell’opera. Ma proprio la presenza di queste criticità adesso, rischia di far ripartire l’iter, da una nuova Conferenza dei Servizi che la Regione Lazio, come lasciato intendere dall’Assessore Michele Civita, potrebbe ufficialmente aprire nel mese di settembre. Ma vorrebbe dire altri 6 mesi di attesa (ammesso che il parere finale sia favorevole) per la posa della prima pietra. Quella che invece il presidente della Roma James Pallotta avrebbe voluto mettere entro la fine dell’anno. Come dichiarato qualche settimana fa, prima di minacciare la vendita del pacchetto azionario di maggioranza della società giallorossa, qualora l’autorizzazione a costruire lo stadio non fosse arrivata. Ma adesso quindi, se veramente si andrà verso l’apertura di una nuova conferenza dei servizi, con altri mesi di attesa, che potrà succedere? Il finanziere di Boston avrà ancora la pazienza di aspettare?