Per descrivere ed elogiare un campione del calibro di Francesco Totti non basterebbero le statistiche con la maglia della sua amata ed eterna Roma o della Nazionale italiana, ma sarebbe sufficiente fotografare alcuni momenti, quelli che ci restano nella memoria calcistica.
C’è una giocata, una prodezza, una magia – definitela come meglio volete attraverso aggettivi illuminanti – in grado di spiegare cosa ha rappresentato Totti per tutti coloro che amano il calcio. 26 novembre 2006, stadio Luigi Ferraris di Genova, circa 23 mila spettatori. È la descrizione di un quadro che appartiene al “Museo del Calcio” immaginario degli amanti di questo sport. Tentativo da fuori area di Taddei, respinta corta del blucerchiato Falcone, sfera che termina tra i piedi di Cassetti, apertura del difensore per Totti in posizione defilata e magia improponibile e impensabile per chiunque. Bisognerebbe ammirare quello che accade nel frangente successivo, appare complicato spiegarlo attraverso una semplice descrizione dettagliata. Non basterebbero nemmeno i migliori aggettivi di questo mondo. Coordinazione perfetta e staffilata nell’angolo più lontano. Il minuto ventotto di quel pomeriggio al Ferraris entra di diritto nell’archivio delle gesta più belle della Serie A. Gli applausi a scena aperta di tutto lo stadio sono stati una conseguenza per un gesto tanto istintivo quanto raro, che appartengono solo a pochi eletti nel calcio.
Se lo splendore e la bellezza nelle giocate hanno identificato Francesco Totti, la virtù principale è stata senza ombra di dubbio la fedeltà. L’amore viscerale per i colori giallorossi ha caratterizzato la sua romanità e l’essere romanista in tutte le parti del proprio corpo. L’attaccamento alla maglia e alla propria città eterna è stato troppo forte per un giocatore che è diventato uomo nel proprio ambiente, attraverso i consigli della sua gente in grado di pensare nel medesimo modo e di parlare la sua stessa lingua. Vestire la maglia del Real Madrid voleva significare alto tradimento, in un periodo in cui toccava il cielo con un dito e vestire la maglia più ambita al mondo era lecito e comprensibile. Ci ha pensato molto, Francesco. Alla fine, ha detto no. Un rifiuto troppo grande, forse più di lui, ma inevitabile per ragazzo in grado di amare la propria squadra forse più della sua persona. Scrivere la storia della sua carriera con una solo casacca, quella della Roma, era solamente destino. Il prediletto, da quel ventotto marzo 1993, targa d’esordio, a sedici anni e mezzo nei minuti finali di Brescia – Roma. Una passione durata venticinque anni e un’eredità troppo pesante lasciata nel giorno in cui ha appeso gli scarpini al chiodo.
Sono state queste le due fotografie di un campione eterno: il goal indescrivibile al Ferraris, prodezza nel rettangolo verde, e la fedeltà, insegnamento di vita. Se lo sport è lo specchio della vita e il calcio grande maestro nel nostro percorso, allora Francesco Totti deve rappresentare un esempio, una bandiera e simbolo di un calcio che sembrerebbe non esistere in più. Un fenomeno che dovrà continuare ad ispirare i più piccoli, perché il sogno di tutti, di coloro che calciano per la prima volta quella sfera, tra vie di casa è proprio qui: immaginarsi con la maglia della squadra del cuore e indossarla per l’eternità. Il percorso è tortuoso, le tentazioni e le difficoltà sono tantissime e, dunque, solo i duri e i più coraggiosi riescono a superarle tutte. Francesco ce l’ha fatta ad essere fedele, non era affatto facile ed è per questo motivo che è stato e sarà per sempre un giocatore speciale.