//

“Tra i legni”: la leggenda di Zoff nel libro di Giuseppe Manfridi

Inizia la lettura
//
10 mins read

“Tra i legni”: la leggenda di Zoff nel libro di Giuseppe Manfridi

Due chiacchiere con Giuseppe Manfridi, sceneggiatore, drammaturgo e scrittore, per parlare dell’uscita del suo libro “Tra i legni – I voli taciturni di Dino Zoff”, nel quarantennale della vittoria azzurra al Mondiale del 1982.

Quarant’anni dopo, riusciamo a ricordare con la lucidità del distacco che paese fosse il nostro all’inizio di quel decennio così memorabile?

Con la lucidità del distacco, il paese, per paradosso, ci ritorna alla memoria immerso in un’aura quasi favolistica. Il decennio precedente si era tenuto in pancia gli anni di piombo, e, anche per i non socialisti, il rinnovamento craxiano fomenta un fervido senso di innovazione, tanto che averne nostalgia non ci suscita troppi imbarazzi. Nell’insieme, l’epoca è l’ultima a fare da argine alla grande globalizzazione che inizierà ad adempiersi con la caduta del muro di Berlino nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1989. L’analfabetismo informatico è ancora imperante e per tutto il decennio nessun digitonativo vede ancora i natali, né vi è il minimo annuncio di portatili (la parola ‘telefonini’ è assai di là da venire). Nell’82, il Mondiale spagnolo che ci incorona vincitori è l’ultimo a fare uso del pallone di cuoio, ma in questo dato sostanziale sono in pochi a intravedere un indizio di mutamenti ben più significativi.

Come e da dove nasce lo spunto che ti porta a dedicare un’opera a Dino Zoff?

Dal desiderio di dedicare un libro a un ruolo che identifica uno sport individuale all’interno di uno sport di gruppo, e per farlo ne ho cercato l’incarnazione in uno dei suoi massimi interpreti. Sennonché, il percorrere le fasi di una vita raccontata dalla sua infanzia sino all’apoteosi raffigurata dal francobollo in cui Renato Guttuso ha immortalato le braccia di Zoff che alzano al cielo la Coppa del mondo, mi ha spinto alle soglie di quello che, secondo una qualifica di genere, è usualmente definito un romanzo di formazione. “Tra i legni” racconta, infatti, i progressivi atti di crescita che portano un fanciullo, figlio di contadini, da un piccolo paese del Friuli orientale a vertici planetari  affinando al massimo le potenzialità del proprio talento con la formidabile volontà di chi sa farsi allenatore di sé stesso.

Quella italiana, all’epoca, era una “scuola” di portieri di livello eccelso; lui a tuo parere è stato anche il più grande, oltre a essere il più celebre?

È stato il più celebre poiché il più forte, ma in un modo come forse, prima di lui, nessuno lo era stato mai. Nel mio libro cito le seguenti righe dello scrittore serbo Vladimir Dimitrijević che esprimono concisamente quanto intendo dire: “Dino Zoff si trovava sempre sulla traiettoria della palla, e non si è dovuto tuffare più di tre volte nel corso della sua carriera. Era solito dire che a tuffarsi sono i portieri mediocri. Zoff, invece, si piazzava: se il portiere è ben piazzato, lo specchio della porta non misura più sette metri ma quattro, e con due metri per parte è più facile catturare il pallone”. Insomma, c’è di mezzo Euclide. Nuovi princìpi atletici supportati da antichi princìpi geometrici. Personalmente ritengo che Dino Zoff, nell’immaginare nuovi criteri su come stare in porta, abbia suggerito un modo assolutamente inedito di intendere lo sport in generale.

Un sostantivo: voli; un aggettivo: taciturni; dopo averlo scritto, nel libro chi ha prevalso tra il campione e l’uomo?

L’uomo, non ho dubbi. Dino avrebbe affermato sé stesso comunque, anche se non sui campi di calcio. Procedendo nella scrittura mi sono reso sempre più conto di quanto certi valori primari siano inscindibili da ogni scelta da lui operata nel corso della vita. Parlo dei valori a cui ci addestra la terra delle origini. In questo caso, il Friuli. Nella sua più profonda essenza Zoff sarebbe stato quel che è anche se, tanto per fare un esempio, la statura contenuta ne avesse inibito la carriera di portiere. Cresceva poco e sembrava, perciò, che difendere una linea di gesso come fosse una linea di frontiera non potesse riservargli un futuro importante, ma lui non se ne è mai fatto un problema. Avrebbe accettato un verdetto inappellabile cercando il riscatto altrove. E di sicuro lo avrebbe trovato. Poi, quei centimetri sopraggiunti quando ormai la speranza stava venendo meno se li è voluti meritare. Ed ecco il campione.

Non è un mistero che, da tifoso, tu abbia sempre visto Zoff come un grande avversario, uno di quelli che incarnavano l’appartenenza alla Juventus; questo aspetto come lo hai elaborato?

Duellando, per così dire, col mio stesso libro, sin quasi sfidandolo. Mi spiego. Non c’è un punto preciso in cui dichiaro esplicitamente il mio tifo romanista, ma in modo quasi subliminale lo faccio a tratti intuire, addirittura approfittandone per lanciare un colpo d’occhio imprevisto sul mio protagonista e sulla sua storia, sin quando, in alcuni passaggi ineludibili, la realtà ha dovuto per forza di cose erompere. Un esempio: “E’ dalle prime righe di questa avventura in forma di libro dedicata a un campione la cui storia ha contrappuntato la mia vita che la stagione ’80/’81 mi aspetta al varco. Con una data e con un gol. O meglio: con un gol annullato. A Ramón Turone.  Sento una voce dal profondo degli annali che, spirando dal 10 maggio dell’81, mi insolentisce beffarda: ‘E adesso come la metti? Come ti comporti?’”.

E già, non potevo non pormi il problema dato che, come è noto, per quel gol annullato la Roma perse lo scudetto e io ne soffrii moltissimo. Rievocare la mia personale emozione congiunta alla cronaca del dato storicizzato mi ha perlomeno messo nella condizione di stabilire coi miei lettori, quale che sia la loro fede calcistica, un rapporto in alcuni casi addirittura intimo, confidenziale.

Perché un giovane appassionato, che non ha vissuto l’epoca di Zoff, dovrebbe leggere il tuo libro?

Per sentirsi, come un portiere tra i pali, al centro di qualcosa. Di quel che si è. Dino Zoff non è un’icona vintage. Indagare il suo magistero di atleta è un modo per comprendere i meccanismi che sovrintendono la comprensione di sé e dei propri strumenti, il convulso delle emozioni da cui siamo agitati al momento di sottoporci a una prova cruciale e la capacità che ci è data di reagire a eventi che sfuggono al nostro controllo. La sua storia di campione dapprima in divenire, poi affermatosi, quindi costretto a un transito di crisi (il Mondiale argentino) e infine definitivamente consacrato (il Mondiale spagnolo) è proprio di questo che parla intessendo una peripezia individuale alle vicende di un Italia che dagli scenari drammatici del dopoguerra è costretta a un faticoso ripristino sociale e politico. Parliamo di un’epoca che è alle nostre spalle. È da essa che deriviamo. E se non vissuta, a maggior ragione va conosciuta. O vissuta in altro modo. Come in un romanzo.

Ed è anche così che va inteso, e letto, “Tra i legni”.

Romano, 47 anni, voce di Radio Radio; editorialista; opinionista televisivo; scrittore, è autore di libri sulle leggende dello sport: tra gli altri, “Villeneuve - Il cuore e l’asfalto”, “Senna - Prost: il duello”, “Muhammad Ali - Il pugno di Dio”. Al mattino, insegna lettere.

Articoli recenti a cura di