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Leclerc e Ferrari: un rinnovo per scrivere il futuro. E, chissà, anche la Storia…
Un contratto, una scelta, un futuro. O almeno così sembra. Perché i cinque anni che legheranno la Ferrari e Charles Leclerc fino al 2024, cifra ancora da stabilire, più che il prolungamento di un rapporto di lavoro tra un pilota e la sua scuderia a seguito degli ottimi risultati fin qui ottenuti, rappresentano la chiara volontà da parte del Cavallino Rampante di aprire un ciclo di successi con il giovane più talentuoso della Formula Uno.
Ventidue anni lo scorso 16 ottobre, appena un anno di apprendistato nel Circus con l’Alfa Romeo, al debutto sulla “Rossa” più ambita del pianeta il monegasco ha stupito per prestazioni e risultati: 7 pole-position – più di tutti, anche di Hamilton (5) – 2 vittorie (sulla pista dei campioni, Spa, e su quella della Ferrari, Monza), 4 giri veloci e 10 podi. Ma soprattutto ha impressionato per la personalità esibita fuori e dentro Maranello. Con disarmante naturalezza ha affrontato la convivenza col più quotato compagno di squadra, quattro volte campione del mondo, per una sfida che l’ha visto vincitore. Nei numeri – 3 pole, 1 vittoria, 2 giri veloci e 9 podi per Vettel – in classifica – “+ 24” per Leclerc, a parità di ritiri (2 a testa) – ma soprattutto nell’evoluzione della stagione.
In Ferrari da cinque stagioni, Vettel partiva con i gradi di capitano per una gerarchia però rovesciata dalla pista. E già dalla seconda gara, Bahreïn, quando Leclerc conquistava la pole e al sesto passaggio, compreso di essere più veloce, sorpassava il tedesco in fondo al rettilineo principale, ignorando la comunicazione radio del box che lo invitava ad attendere e prendendo la testa di una corsa che avrebbe vinto, se non avesse avuto un rallentamento al motore a dieci giri dalla fine. Quanto sbocciato quella notte tra le dune di Sakhir, è fiorito con l’arrivo dell’estate. Dalla Francia in avanti, in qualifica come in gara, Leclerc è stato più veloce di Vettel, che ha reagito soltanto in un rovente finale di campionato tra i due, culminato con lo scontro di Interlagos. Una rivalità che la Ferrari nel 2020 dovrà gestire al meglio per evitare di compromettere eventuali ambizioni iridate.
Ma non solo Maranello. Leclerc ha dimostrato carattere anche nei confronti degli altri due piloti più forti sulla griglia: Lewis Hamilton e Max Verstappen. Se a quest’ultimo in Austria cedette il primato a pochi chilometri dal traguardo causa gomme ormai decomposte, a Silverstone, a parità di pneumatici, lo sconfisse dopo un duello senza respiro. Ma la prova di maturità l’ha fornita a Monza nei confronti dell’inglese, sei titoli mondiali e dodici anni in più all’anagrafe, quando ha resistito ai suoi attacchi costringendolo anche a un lungo alla variante della Roggia pur di non cedergli lo scettro del gran premio. Coraggio e sangue freddo che hanno entusiasmato i tifosi. Uno così è bene tenerselo stretto. E sostenerlo con un gruppo di eccellenze tra ingegneri e meccanici per dotarlo dei mezzi migliori con i quali inaugurare un’epoca gloriosa tipo quella di Schumacher o di Lauda, al quale Leclerc è stato avvicinato per stile di guida da più di un addetto ai lavori.
Se le similitudini transgenerazionali sono fuorvianti perché ognuno è figlio della sua epoca, è invece più comprensibile ritenere un clamoroso autogol l’eventuale arrivo di Hamilton in Ferrari nel 2021, come ventilato dalla stampa dopo Abu Dhabi. Per tre motivi: affiancare un pilota blasonato all’astro nascente, equivarrebbe a una fiducia parziale nelle capacità di quest’ultimo (della serie: “Sei bravo, ma…”); in Emilia sconfesserebbero la loro filosofia aziendale di puntare sui giovani, Leclerc è un prodotto della “Ferrari Driver Academy”, e si metterebbero nella condizione di dover trionfare a tutti i costi per giustificare un enorme investimento economico e d’immagine: la scuderia più vincente insieme al pilota più vincente. Che nel 2021 avrà trentasei anni e sarà sul viale del tramonto di una carriera pluridecorata, alla quale potrebbe anche aver aggiunto la settima corona, che solleverà l’inevitabile domanda sul livello della sua fame di successi.
Dagli interrogativi motivazionali a quelli tecnici e ambientali. Quanto impiegherebbe Hamilton ad adattarsi a una nuova metodologia di lavoro – Schumacher vinse al quarto anno di Ferrari – a confrontarsi con una pressione mai vista prima e a dividere il box con un collega del suo livello? In Mercedes ha sofferto Rosberg, che l’ha pure battuto (2016), e in McLaren finì alla pari con Alonso (2007, 109 a 109 ed entrambi sconfitti da Raikkonen) nonostante il chiaro appoggio dei vertici del team per oltre metà stagione.
Infine, prendere l’atleta del momento è una strategia che non paga. Se n’è accorta finora la stessa Ferrari con Vettel, ingaggiato nel 2015 al posto di Alonso per ripetere i fasti di Schumacher, ed è quanto sta accadendo alla Juventus con Cristiano Ronaldo, pagato a peso d’oro per conquistare una Champions League che intanto è già sfumata al primo tentativo. Non c’è da meravigliarsi: avere il più forte non è sinonimo di automatica vittoria bensì solo di un aumento delle aspettative. Che alla lunga però possono schiacciare. Meglio quindi investire sulla programmazione e sulla qualità. Perché, come dimostrato anche dalla Lazio in Supercoppa, possono prevalere sui nomi e sul fatturato.
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