Come le nuove generazioni si approcciano al calcio

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Nei primi giorni di aprile, Vivek Ranadivé, amministratore delegato dei Sacramento Kings, ha annunciato in una stanza su Clubhouse che tutti i membri della sua franchigia NBA potrebbe ricevere lo stipendio in Bitcoin.

“Nei prossimi giorni annuncerò a tutto il team, giocatori compresi, la possibilità di ricevere lo stipendio in criptomonete”.

Qualche giorno dopo TikTok, il social media cinese, ha lanciato la challenge #LeggendeDelCalcio in cui prova a connettere generazioni giovanissime con campioni che hanno fatto la storia del calcio come Fabio Cannavaro e Luca Toni. Il tutto non è casuale dato che TikTok sarà il primo social ad essere sponsor di EURO2020 e ha uno spasmodico bisogno (in realtà ne hanno più leghe e club) di intercettare le generazioni Z e Y.

Come decidono queste piattaforme di rivolgersi ad una fascia di pubblico nato intrattenendosi con video della durata massima di 1 minuto?

Nell’improbabilità di proporre i grandi classici da 90 minuti, l’idea si è concentrata sulla connessione tra leggende e pubblico direttamente sulla piattaforma con una challenge in cui era possibile fare domande agli ex calciatori. O meglio ancora, agli utenti veniva anche chiesto di raccontare storie sulle proprie leggende preferite.

Insomma, fare conversazione, perché i social servono a questo, seguendo una delle leggi più ferree del Cluetrain Manifesto (“i mercati sono conversazioni”, appunto, proprio come i social).

Una cosa che unisce la storia dei Sacramento Kings e quello di TikTok è una: lo sport e il pubblico sono cambiati. Quindi, devono cambiare anche gli approcci e le strategie per il coinvolgimento, per evitare la non più utopistica decrescita dello sport più seguito al mondo.

Quali sono allora i canali per intercettare e coinvolgere le generazioni di tifosi del futuro?

I social media

I social media nel 2021 sono diventati ormai dei luoghi al pari di un bar o la piazza di una città, al di là del senso retorico che può assumere questa affermazione.

Sono dei veri e propri posti frequentati da persone di età diversa che scelgono la propria piattaforma in base ai propri gusti, bisogni e influenze.

Le generazioni che devono ancora scegliere se seguire il calcio, e in seguito, quale squadra tifare, oggi occupano social come TikTok, Twitch o Discord.

Social network che i club di calcio non sono ancora abituati a frequentare o comunque padroneggiare come fatto in passato con Facebook e Instagram, quest’ultimo vero social di riferimento se consideriamo il livello di engagement dei fan over 30.

Il problema su queste “nuove” piattaforme sta nel linguaggio.

Su Twitch e TikTok il registro comunicativo è totalmente diverso dagli altri social e viene totalmente stravolto il format di riferimento. Se dal 2016 i club hanno dovuto adattarsi alle Instagram Stories, primo vero format di contenuto che cambiava le regole vigenti nei vari Facebook, Twitter e lo stesso Instagram feed, oggi i team comunicazione e marketing delle squadre devono saper declinare i propri valori e produzioni su video brevissimi che spesso e volentieri seguono un trend che poi sparisce dopo poche ore, vedi TikTok. Oppure i club devono saper mettere su un vero e proprio palinsesto diversificato, con un linguaggio che poco ha a che fare con la patina di istituzionalista tipica delle squadre di calcio, in questo caso parliamo di Twitch ovviamente.

Non è semplice, ma buona parte del pubblico del futuro abita e preferisce queste piattaforme rispetto a quelle a cui siamo stati più abituati a tenere d’occhio negli ultimi anni. Inoltre, è un pubblico che si definisce propenso a pagare un abbonamento per ricevere contenuti esclusivi.

Segnaliamo, sempre ad aprile, la messa in onda su Twitch della prima partita in assoluto tra due squadre spagnole sulla piattaforma, il derby basco tra Athletic Bilbao e Real Sociedad commentato dallo streamer Ibai Llanos (seguitissimo tra l’altro in Spagna, lo stesso che durante il lockdown lanciò l’idea del campionato su Fifa tra calciatori reali, vinto poi da Asensio).

Gli esports

La più grande battaglia per intercettare le generazioni future da parte dei club, forse si gioca proprio su questo campo, quello degli esports.

Un mondo che in realtà è già diventato un’industria o che comunque rappresenta una fetta attraente dell’entertainment.

I “cluster” di età davvero giovane come quelli dei 10-15 anni fanno community e si intrattengono giocando ai loro titoli preferiti o seguendo gli streamer e gamer più in voga. Li idolatrano come noi abbiamo fatto con i calciatori, o meglio ancora, vedono una partita di esports con le stesse aspettative e bisogni di quando il target 35-50 ha iniziato ad approcciarsi al calcio.

Gli esports a questo punto non diventano un problema o una eclissi del mondo del calcio, ma diventano un’opportunità da cogliere, uno strumento per intercettare un pubblico e intrattenerlo, poi fidelizzarlo.

Secondo IIDEA, l’associazione di categoria dell’industria dei videogiochi del nostro paese, oggi gli appassionati di esport in Italia sono 1.410.000 di persone (+20% rispetto al 2019), di cui 466.000 (+33%) quelli che consumano competizioni virtuali su base quotidiana.

Se il mondo del calcio capirà che questa industria nascente rappresenta un’opportunità, un ecosistema che si sovrappone a quello del calcio ma non lo oscura, in futuro si creerà un orizzonte di occasioni di monetizzazione.

Non dimentichiamo che oggi gli esports per molti sono fonte di cultura sportiva, è sui videogiochi che si scoprono nomi, volti e skill dei calciatori.

La moda e lo streetwear

Il calcio è un linguaggio universale che non conosce gap o interferenze a livello universale. Lo stesso si potrebbe dire della moda, un’altra sfera della vita e della socialità che non ha bisogno di una lingua comune per farsi spiegare e poter contaminare culture e paesi diversi.

Alcuni club (pochi) lo hanno capito e stanno usando l’abbigliamento, in particolare quello di tipo streetwear per intercettare pubblici diversi amanti del capo di nicchia. Ragazzi che probabilmente provengono dal sottobosco del mondo del reseller, perché se è vero che l’ormai ex presidente del Barcellona Bartomeu ha spiegato che i concorrenti dei club non sono più i club stessi ma aziende come Netflix e Amazon, in questa sfida per l’attenzione e il pubblico non è da escludere la concorrenza di marchi come Supreme o Jordan. Quest’ultimo guarda caso ha realizzato una collaborazione proprio con una squadra di calcio: il Paris Saint Germain con dei capi di abbigliamento ma anche accessori, più una maglia da usare per le partite della Champions League, la passerella per eccellenza per le squadre di calcio europee.

La Juventus è la squadra che ha seguito questa tendenza in Italia con la linea “Icon” e da lì anche la necessità di un rebranding distruptive con un logo maggiormente assimilabile su capi non necessariamente di calcio. Ha seguito dopo qualche anno l’Inter. Il nuovo logo e il nuovo visual servono proprio a posizionarsi nel mondo della moda e abitare i luoghi quotidiani delle nuove generazioni.  

Le nuove forme del contenuto

Last but not least sicuramente c’è il capitolo influencer, macro e micro.

Abbiamo parlato in partenza del ruolo che ricoprono le piattaforme di social media nel concetto di dieta mediatica delle persone. Su queste piattaforme ci sono opinion leader con numeri e valori interessanti che spesso e volentieri si muovono meglio dei club e hanno un grado di fidelizzazione maggiore con le persone.

I club possono e devono muoversi attraverso loro per abbattere alcune barriere o associarsi a determinati valori. Gli influencer sono ancora un ottimo veicolo per raggiungere specifiche fette di pubblico. Anche di età davvero piccola, una testimonianza a riguardo arriva dall’attività realizzata dal Super Bowl con Nickelodeon, l’azienda detentrice dei diritti del cartone animato SpongeBob.

La tipologia di contenuti e il format invece cambiano seguendo le abitudini di utilizzo e la user experience delle nuove generazioni. La soglia di attenzione si è abbassata perché i nuovi strumenti di comunicazione ci hanno abituato a dinamiche totalmente differenti da tv, radio e cartaceo. Il prodotto deve essere pensato su un minutaggio breve e non è un caso se le nuove generazioni amano informarsi attraverso gli highlight (sembra un paradosso dato che questo contenuto anni fa rappresentava l’unico strumento di informazione, ma oggi risulta uno dei preferiti nonostante l’enorme mole di altri prodotti).

Da questo punto di vista si è mossa in maniera eccellente Lega Serie A che ad oggi vanta il canale Youtube migliore (numericamente e qualitativamente parlando) nella sfida con le 5 top leghe europee, nonostante si tratti di un canale aperto ex novo un paio di anni fa.

A tutto ciò, e qui ritorna il discorso fatto sul ruolo dei social media, va aggiunto il fenomeno del second screen: se i social sono nati per connetterci con gli altri e muoversi all’interno delle community, perché non dovrei farlo anche mentre “guardo” una partita di calcio?

D’altronde internet è un modo nuovo per fare cose vecchie diceva il sociologo Manuel Castells.  

Luigi Di Maso

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