Se l’Italia piange, la Spagna non ride. L’ultimo ranking Fifa inflessibile anche con la nazionale iberica, prima delle estromesse dalla “top ten” dove era rientrata un anno fa, riuscendo anche a installarsi di nuovo sul podio in poco tempo (3. posto, febbraio 2016).
Bene far chiarezza. Il peggioramento delle “Furie Rosse” non ridimensiona quello degli azzurri. Semmai spinge a chiedersi da dove abbia origine e se esistano similitudini tra il loro calo e il nostro. Si scopre allora che fra le due nazionali c’è un punto di contatto, che ha sede a Gerusalemme (non preoccupatevi, niente di biblico), dove il 18 giugno 2013 si disputò la finale del Campionato Europeo Under 21 che vide primeggiare per 4-2 i niños di Lopetegui.
Se entrambi gli organici di quella rassegna sono stati i più prelibati sul piano tecnico delle due selezioni nell’ultimo decennio, anche per gli spagnoli di quell’avventura, come per i nostri azzurrini, la nazionale maggiore è rimasta inaccessibile. Uniche eccezioni, Morata e De Gea, promossi titolari in pianta stabile soltanto nell’ultimo Europeo.
Dunque quei giovani toreri erano bravi giusto per le corride fra coetanei, ma non per quelle dei più grandi? Obiezione valida se non fosse che oggi non sono dispersi nel limbo della Segunda Division (serie-B, per intenderci) come accaduto alla maggior parte dei nostri, bensì militano tutti nella Liga e anche in club di alto e medio livello: Barcellona, Real Madrid, Atletico Madrid, Siviglia, Valencia, Athletic Bilbao.
E chi non è in Spagna, è all’estero. Come Thiago Alcantara, eletto miglior calciatore dell’Europeo 2013 e futuro del calcio mondiale che però, tra Brasile ’14 e Francia ’16, ha beneficiato solo di due apparizioni e sempre da subentrato.
Un dato sconcertante e al tempo stesso paradigmatico della mancata volontà spagnola al rinnovamento, che trova conferma in Isco, diga del Real Madrid campione d’Europa finora mai convocato per una competizione internazionale, in Moreno Perez, difensore classe ‘92 di comprovata esperienza internazionale (Siviglia, Liverpool) che ha indossato solo tre volte la camiseta, o in Pedro Sarabia e Iker Muniain, ali veloci che in Francia sarebbero servite a una “Roja” schierata con le tre punte.
Perché non sono mai stati presi in considerazione? Dopotutto, se uno è giovane e bravo, non dovrebbe meritare l’occasione per dimostrare il suo valore? Soprattutto quando davanti a sé ha calciatori ai quali la Storia, due anni fa in Brasile, ha riservato il commiato.
Non l’ha pensata così Vicente Del Bosque, l’ex commissario tecnico della Spagna, che proprio all’Europeo si è ripresentato con quindici giocatori (su ventitré) della precedente esperienza iridata. Fra le novità, c’erano alcuni di Israele 2013 (Koke, Bartra), che però non sono mai stati impiegati. E l’esito della spedizione non è stato molto differente dal Mondiale: Spagna eliminata agli ottavi di finale da un’Italia inferiore come qualità, ma superiore nella corsa e nel dinamismo tanto che subì l’unico tiro in porta all’87.mo. A scoccarlo, Piqué. Un difensore.
Perché Del Bosque non ha avviato la ricostruzione? Per ragioni di cuore (riscatto affidato a chi conquistò mondo ed Europa tra 2010 e 2012)? Perché non ha intravisto il potenziale della nuova generazione? O perché vittima di un golpe tecnico della “vecchia guardia” (Sergio Ramos, Piqué, Iniesta, Fabregas, Busquets), che ha preso la gestione dello spogliatoio decidendo chi poteva stare in nazionale?
Dove si può giocare anche se giovani e non necessariamente campioni d’Europa under 21. Come Paco Alacer, (’93), Saul Ñiguez (’94) o Marco Asensio (’96), convocati dal nuovo ct Lopetegui per le partite contro Belgio e Liechtenstein d’inizio settembre. Una prima aria di novità, ma quanto sufficiente per poter affermare che è cambiato il vento?
Il 6 ottobre Italia e Spagna si affronteranno per le qualificazioni al Mondiale 2018. E anche per rientrare in quella “top ten” Fifa da dove si esce perché il Paese si rifiuta di investire sui giovani o perché, anche se ci sono, i giovani sono inspiegabilmente messi in stand-by.
Articolo molto interessante, ma che non rende merito alle motivazioni reali per cui questi giovani calciatori, seppur talentuosi, non vengono convocati in nazionale. Sono stao abbonato al Málaga ai tempi in cui Isco giocava nella cantera, poi promosso in prima squadra, la champion in cui arrivarono in semifinale e poi il passaggio al Real.
E’ vero che spesso gli allenatori preferiscono utilizzare blocchi di moduli e giocatori gia “testati” e la Spagna di del Boscque nè sarebbe l’esempio più calzante: Il Grande Barca, con qualche inserimento di qualità dal Real e magari dall’Atletico come Ramos o Costa (d’altronde non potevano mica portare Messi o Dani Alvez!). E in questo senso è pure logico che trovi più spazio un Casillas che Isco.
Ma il motivo per cui vengono convocati i giocatori in nazionale è spesso legato a interessi economici e clientelari. Il mercato post competizione internazionale ,infatti, ruota sempre intorno alle nazionali che hanno brillato di più, lo stesso dicasi per la champion (Isco ad esempio è passato al Real proprio dopo laver giocato la champion col Málaga).
Penso sia normale che, chi ne ha interesse come sponsor, procuratori e clubs in prima, tenti in tutti i modi di piazzare in Nazionale i giocatori più remunerativi (per diritti e ingaggio). e cosí le “poco conosciute promesse”, magari legate a procuratori anch’essi con “poche conoscenze”, non trovano il giusto spazio. Qualcuno mi spieghi, ad esempio, il Balotelli di Prandelli, convocato nel momento in cui era più inviso a quasi tutti i giocatori del campionato (e quindi della rosa).
Unica eccezione la nazionale di Conte, arrivata in un momento di oggettiva magra di campioni nel calcio italiano, con un campionato mai stato cosí pieno di giocatori stranieri e forse con l’unico difetto di essere stata messa in piedi troppo in fretta. Ma Conte giocava anche su se stesso e per la sua definitiva consacrazione all’elite del calcio europeo.