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La Serie A al revisore (in attesa della resa) dei conti. Le 3 mosse di Lotti per accontentare tutti

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Copione già scritto e finale scontato. La Lega Calcio si concede l’ennesimo nulla di fatto. L’unica novità è che l’ex presidente Maurizio Beretta esce di scena. E che la confindustria del pallone finisce in mano, come regolamento prevede, al Revisore dei Conti. Ezio Maria Simonelli è al comando sino al 13 aprile. Per il resto, nulla di nuovo sul fronte occidentale.

Le piccole chiedono che il flusso di denaro confluito e da dividere in parti uguali passi dal 40% al 50% del totale. E che la quota del paracadute da destinare alle retrocesse in B passi da 60 milioni al 6% del totale, senza un tetto prestabilito. Le grandi (Juventus, Roma, Napoli, Inter, Milan, Fiorentina) dicono no. Se entro il 17 non si troverà una soluzione, arriverà il commissariamento. Il nome del commissario? Più facile centrare un sei al Superenalotto. L’unica certezza è che le 20 sorelle sono d’accordo su un punto: l’approvazione delle linee guida dell’asta dei diritti TV 2018-2021. Per la serie: poi continuiamo a litigare sui soldi, ma intanto assicuriamoceli.

L’ennesima fumata nera raggiunge il Parlamento. Luca Lotti, Ministro dello Sport, definisce “preoccupante e imbarazzante” l’accaduto. Non può andare oltre. La Lega Calcio risponde alla FIGC. E la spaccatura non consente soluzioni praticabili. O forse si. Perchè la “scissione” della confindustria è figlia di una scelta precisa. Arrivare alla non-elezione in modo da modificare Governance e Articolo 19, relativo ai proventi dei diritti TV.

Proprio l’articolo 19, può essere la chiave. Il Parlamento non può modificare lo statuto della Lega Calcio, ma le leggi, quelle sì. E, in questa ottica, Lotti deve attraversare un campo minato: in primis, la modifica della Legge Melandri-Gentiloni. La corrente di pensiero proveniente da larga parte del PD, spinge da mesi per un nuovo criterio di assegnazione delle risorse di denaro provenienti dai diritti tv. Lotti può chiedere di rivisitare la legge. O disegnarne una nuova. Poi, farla approvare in Parlamento. Quindi, sconfiggere l’opposizione della “nobiltà” del calcio.

Come convincere i “patrizi”? Facile. Rendendoli più ricchi. E i “plebei”? Rendendoli meno poveri. Come? In tre mosse.

La prima: Lotti potrebbe agevolare la costruzione degli stadi di proprietà per aumentare i singoli ricavi. Bene per le grandi, che hanno più tifosi. E a quel punto potrebbero anche accettare l’idea di alzare l’asticella della quota percentuale da dividere in parti uguali.

La seconda: rinnovare i parametri dei risultati sportivi che incide sul 30% della quota rimanente ed è cosi scorporato: il 5% in base alla classifica dell’anno precedente. Il 15% deriva dai risultati ottenuti negli ultimi 5 anni. Il restante 10% è figlio dei risultati contabilizzati dalla stagione 1946/1947. La chiave è ridistribuire la ricchezza su piano quinquennale. Un sistema “premiante” sia per le grandi che difficilmente scenderanno dai primi posti agli ultimi, sia per i “miracoli” sportivi di chi riesce, anche per un solo anno, ad arrampicarsi lì dove osano le aquile.

La terza: trovare un accordo fra le 20 sorelle. Argomento spinosissimo. Le sei Big, da sole, coprono quasi l’80% dell’audience. Quanto basta per confinarsi nel loro castello senza concedere udienza In questa ottica, il tempo è amico, più che tiranno: il 13 aprile sesta assemblea elettiva in Lega. Il 18 aprile è Rodi. O si nomina un presidente o via libera al commissariamento, che sarà deciso dalla FIGC entro il 21 aprile. Una scelta che, in fondo, sta bene a tutti: calcio e politica.

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