La gioventù, dicono, sia un dono di cui andare gelosi quando la si possiede, e da desiderare quando la si è persa. È quella fase della vita di cui si conoscono i segreti solo quando la si conclude, o forse nemmeno allora. Un periodo complicato, incerto, imperdibile. Un periodo in cui si sogna di essere invincibili, ma alla fine si risulta solo illusi, o sognatori alla meno peggio. Un periodo in cui accettare le sconfitte è una delle prove più complicate, un ostacolo difficilmente superabile. Ma è così che si diventa uomini, che si acquisisce ciò che serve per trionfare: l’esperienza. Componente che fa più di quanto si creda.
Non è stato e non sarà affatto facile per Peter Bosz far digerire la sconfitta di pochi giorni fa a Stoccolma. L’Ajax ha giocato per larghi tratti il miglior calcio dell’intera competizione, con l’irriverenza da giovani ma l’intelligenza tattica da giocatori navigati. Hanno però poi mancato l’appuntamento principale, quello cruciale, la finale, facendo vedere come quello che li ha spinti fin qui, è ciò che gli ha fatto tremare le gambe nell’atto conclusivo.
La capacità di non spaventarsi davanti a nessun avversario, in nessuna situazione, senza sentire il peso della prestazione e del risultato, si è trasformato nell’ansia di vincere, di dimostrare che i lancieri fossero tornati al meglio, al top, nell’olimpo del panorama calcistico europeo. Forse non lo sanno, forse non ci credono, ma anche con una sconfitta, la missione è compiuta.
Sono molti i meriti di questo Ajax. E la maggior parte di questi hanno nome e cognome. Permettete di citarne alcuni, quelli più lodevoli.
Traorè Bernard, nato il 6 settembre 1995, professione attaccante. 1,77 di altezza per 75 chili. Nonostante la stazza non si di quelle da smuovere le masse, la professione è quella del bomber di peso, capace di segnare gol pesanti, ma da cui ci può aspettare imprevedibilità per tutto il fronte offensivo. Semplicemente perché tutta la potenza di questo giovane ivoriano di proprietà del Chelsea (e Re Antonio crediamo proprio voglia far tornare il cavaliere alla sua reggia) non può essere limitata alla semplice area di rigore.
De Ligt Matthijs, nato il 12 agosto 1999. La carta d’identità è miglior biglietto da visita per un ragazzo non ancora maggiorenne che può vantare più partite in competizioni europee che anni di vita. Difensore roccioso ma allo stesso tempo agile, giusto compromesso tra il leader di retroguardia moderno e lo stopper d’altri tempi. Segni particolari: il più giovane giocatore di sempre a disputare una finale UEFA.
Klaassen Davy, nato il 21 febbraio 1993. Uno dei più anziani del gruppo, capitano della giovane squadra di Amsterdam. È stato forse il più vicino ad abbandonare la maglia biancorossa, ma la sua perseveranza e testardaggine lo hanno fatto rimanere, fino a conquistarsi la fascia di leader dello spogliatoio. Centrocampista duro e deciso quanto intelligente tatticamente, abbina con estrema abilità fase difensiva ed offensiva.
Dolberg Kasper, nato il 6 ottobre 1997. Dulcis in fundo. Perché se c’è un giocatore visto come uomo simbolo di questa ‘rivoluzione dei lancieri’ è proprio lui. Più del bomber, più del pilastro difensivo, più del capitano. Il più chiacchierato del gruppo di Bosz, quello più decisivo. Almeno fino alla finale, dove ha sofferto di crisi di identità, scivolone che si perdona, a lui come ai compagni. Di gran lunga il più dotato tecnicamente, il gioiellino danese sembra, a detta della maggior parte di addetti ai lavori, il più vicino a ricalcare le orme degli attaccanti di grido passati per Amsterdam.
Vi abbiamo mostrato principali pregi e difetti di ragazzi rispettivamente di 22, 17, 24 e 19 anni. Ma non possiamo dimenticare anche ragazzi come Zyiech, Sanchez, Schone, Younes e Kluivert. Tutti ragazzi dal roseo futuro, e dal presente radioso. E proprio per questo, ancor meno propensi ad accettare la sconfitta.
Questo compito, come detto, spetterà a Peter Bosz. Toccherà a lui spiegargli che nella vita non tutti i sogni si realizzano al primo tentativo. Perché per quello che hanno fatto vedere in questo torneo non meritavano di essere secondi a nessuno. Ma sono mancati sul più bello, e questo nel calcio, nella vita, lo paghi caro. Sono forse le sconfitte più dolci, perché ti lasciano qualcosa di positivo. Ma è pur sempre una sconfitta.
Il punto da cui ripartire è già segnato. Bisogna vedere quanti crederanno ancora nel progetto Ajax, o si vogliono concedere una possibilità altrove, un’occasione subito. Le sirene di mercato ovviamente si sentono. Qui non esiste scelta giusta o sbagliata, copione da seguire o situazioni da evitare. Rimane il pensiero di come, questo Ajax, comunque vada, ci ha fatto proprio divertire.