La resilienza sorridente di Clay Regazzoni
– Viveur, danseur, calciatore, tennista e, a tempo perso, pilota: così ho definito Clay Regazzoni, il brillante, intramontabile Clay… – Enzo Ferrari
Sotto le razze del volante, un giorno, dovettero sistemargli anche i suoi nuovi pedali, oltre agli usuali comandi; gli era cambiata la vita, anzi l’esistenza, se permettete; non la voglia di guidare.
Era rimasto Gianclaudio Regazzoni, eterno ragazzo ticinese della vita innamorato nonostante tutto; sorriso guascone a stemperare qualsiasi tensione agonistica; uomo da corsa ancora più che da gara, nella sfumatura delle differenze non solo linguistiche: filosofiche, diremmo, per uno che ancora apparteneva e sarebbe sempre appartenuto alla specie (non alla generazione) dei “corridori”, anche se da qualche tempo era già iniziata la Formula Uno dei piloti, programmatori di ogni particolare, nell’accezione più scientifica del termine. Lui lo sapeva bene, avendo avuto accanto Niki Lauda dopo il suo ritorno in Ferrari, nel 1974.
Long Beach, 1980, un circuito che non è mai stato tale, che oggi sarebbe quasi impensabile persino per la circolazione normale. A duecentosettanta chilometri orari, la Ensign di Regazzoni esce di strada, verso una – cosiddetta – via di fuga, che fuga più non è, a causa della Brabham di Ricardo Zunino che aveva abbandonato la gara e che i commissari non avevano rimosso, per dilettantismo e disorganizzazione. Nella spirale delle lamiere accartocciate, anche la spina dorsale di Clay Regazzoni, di conseguenza le sue gambe inerti, i suoi piedi che non avrebbero più schiacciato alcun pedale. Anche perché un intervento chirurgico, che avrebbe dovuto restituirgli la speranza di camminare, quantomeno, alla resa dei conti peggiorò invece irrimediabilmente le cose.
Abbattimento e depressione: inevitabili colonne d’Ercole dell’esistenza, da attraversare per ritrovare il senso della vita. Sempre passando per le razze di quel volante, ora modificato per sopperire alla menomazione; sempre lasciando il proprio segno nel mondo per mezzo di strisce gommate.
Istantanee della, e dalla sua seconda esistenza, dopo la rinascita: la sua sedia a rotelle impolverata dalla sabbia del deserto, durante una delle tante Parigi – Dakar a cui prese parte, in qualche caso anche a bordo di un camion. Quando quella gara, se così la si può semplicemente definire, era davvero a eliminazione, spesso nel senso letale del termine. E se tutti abbiamo in mente i fotogrammi dei fuoristrada che sobbalzano tra le dune, o delle moto da cross che sembrano sempre in procinto di perdere l’equilibrio, in pochi sanno che quel tragitto da folli passava anche per la Guinea, il cosiddetto “Inferno verde”: da quelle parti, una volta, si rovesciò la vettura sulla quale gareggiava l’equipaggio di Clay Regazzoni. Rimasero capovolti per un tempo infinito; Clay non riusciva a tirarsi fuori; la sua sedia a rotelle era andata distrutta. Vennero poi soccorsi da alcuni motociclisti che si fermarono, trascurando la gara.
Nemmeno quella volta si arrese.
Ha dovuto salutare il mondo e la vita senza preavviso, Gianclaudio Regazzoni, ticinese con la faccia che sarebbe potuta appartenere a un napoletano, sguardo disincantato e divertito sul mondo e su tutto ciò che questo poteva offrire, dentro come fuori dei circuiti automobilistici.
Crede di averlo sorpreso, la morte, che è quasi sempre più banale degli uomini che colpisce, mentre si trovava alla guida, sull’autostrada, come un automobilista normale. Forse un malore, forse non ha importanza. In realtà uno come lui non poteva che fare in modo, anche involontariamente, di salutare la vita facendo ciò che nella vita stessa aveva più amato, tra le tante cose che seppe amare, prima e dopo l’incidente che lo aveva fatto rinascere.
Lasciando alla morte banale solo il due di picche di un cartoccio di lamiere.