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La Leggenda di Arsarnerit: se l’Aurora Boreale è una partita di calcio

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La Leggenda di Arsarnerit: se l’Aurora Boreale è una partita di calcio

Una Leggenda incredibile, che ha origini lontanissime ed è parte integrante della cultura dei popoli nordici. Si chiama Arsarnerit, la partita di calcio nei cieli dell’Artide.

Uno stadio di ghiaccio e roccia immenso e sconfinato. Le montagne in lontananza sono spalti pennellati all’orizzonte, la neve che crepita sotto i passi le gradinate da percorrere. Alzando lo sguardo al cielo notturno appare infinito il terreno di gioco. Si è spettatori di una partita di calcio straordinaria: l’aurora boreale.

Le popolazioni indigene che abitano le terre dell’Artide dallo stretto di Bering tra Čukotka e Alaska fino a Groenlandia e Canada settentrionale spiegano in modo simile lo splendore di questo fenomeno. Nelle loro parole riecheggia tutta l’importanza che il gioco con la palla riveste nel territorio artico. La centralità è testimoniata dagli appunti di esploratori e missionari giunti qui a partire dal XVIII secolo. Gli studi condotti dagli etnografi ai primi del Novecento sottolineano come il calcio, nel senso più ampio del termine, abbia radici lontane. Giocato alla fine dei mesi freddi, tra primavera ed estate, dai giovani delle diverse comunità che si ritrovano per ristabilire i legami sociali e commerciali, è senza dubbio uno degli sport preferiti dalle genti del Grande Nord. Un campo improvvisato, qualche sasso a formare le porte e un pallone di pelle cucita imbottito con il muschio: l’essenza ancestrale del football. Esercizio imprescindibile per forgiare il fisico e temprare il carattere degli inuit. Sotto lo sguardo severo degli anziani già si intravedono sul terreno di gioco i leader futuri. Resistenza, forza e carisma.

Una centralità culturale che confluisce nel mito. Così l’aurora boreale diventa una partita di calcio sotto i riflettori del firmamento. Ingranaggio della grande e incessante ruota della vita, sospiro di vento che dona sollievo alle lacrime delle partorienti tra i Ciuvani dell’estrema Siberia orientale, estatico spettacolo da ammirare. Leggenda vuole che l’uomo sia tripartito in corpo, nome e anima. Dopo la morte, nome e anima ascendono al cielo varcando la soglia dell’aldilà, terra dell’abbondanza. Nell’attesa della reincarnazione gli spiriti vagano; niente però si conquista senza dolore nel Grande Nord e la nuova veste corporea porterà con sé il suo carico di sofferenza. Per questo occorre allenarsi in continuazione. Ecco dispiegarsi come un lenzuolo di luce l’aurora boreale, ovvero i “giocatori di calcio”, Arsarnerit.

Corrono dietro a un teschio di tricheco e le azioni si insinuano nelle pieghe luminose ricamate con il filo della fatica. Tramite questa esibizione meravigliosa le anime rammentano ai vivi la loro presenza e il loro futuro ritorno. Ancora una volta il sangue delle generazioni passate si perpetuerà nelle vene pulsanti dei giovani. I vivi, pubblico e famiglia, commentano, tifano, tendendo l’orecchio ai suoni. I sibili della palla che rotola nelle lucenti increspature del cielo sono messaggi diffusi tra i ghiacci. Le anime assetate di vita si avvicinano alla terra per seminare la morte.

Tra di loro si intravedono gli anziani allontanatisi d’inverno in favore del bene comune, i bambini rapiti dal freddo, i cacciatori mai più ritornati. Ma dagli spalti si alza un frastuono fragoroso; non è ancora giunta l’ora di incamminarsi verso gli spogliatoi. L’attesa per le partite è grande. Laddove le anime non scendono in campo o appaiono flebili significa che il cibo, rubato del demone della carestia, scarseggia anche nella terra della ricchezza. Quando poi i “giocatori di calcio” si spostano in altri cieli, abbandonando la comunità, una calamità è prossima.

Chiuso infine il libro delle leggende tramandato dalle parole dei saggi, i giovani prendono la palla ed iniziano a giocare sotto il cielo artico. E in questa partita risiede tutto il significato profondo di un calcio puro e scevro da ogni moderna contaminazione.

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