La grande lezione di vita di Harry Arter. Perché il calcio non è tutto

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Sabato 12 dicembre 2015. Il neopromosso Bournemouth, allenato dallo stratega Eddie Howe, affronta il Manchester United ultramilionario di Louis Van Gaal. Le Cherries sono reduci dal clamoroso successo ottenuto soltanto una settimana prima in casa del Chelsea di José Mourinho. Il desiderio di bissare un’impresa storica è grande ma il compito appare assai arduo.

Il centrocampista irlandese Harry Arter, classe 1989, viene scelto ancora una volta titolare dall’allenatore del Bournemouth per provare a portare a casa i tanto agognati tre punti. Alla fine, il numero otto delle Cherries gioca 86 minuti di enorme spessore, contribuendo in maniera decisiva all’epico successo dei suoi contro i Diavoli Rossi.

E’ una storia bellissima perché Arter ha giocato la partita non con un peso ma con un macigno dentro di sé. Durante la settimana antecedente al match, infatti, il ragazzo e la sua partner vengono colpiti da un’immane tragedia: la piccola portata in grembo per nove mesi dalla mamma muore durante il parto.

Tutto l’ambiente si stringe immediatamente intorno alla propria bandiera, visto che Arter milita nel Bournemouth a partire dal lontano 2011. Il tecnico Howe pensa ben prima all’uomo che al calciatore e crede, ovviamente, sia meglio lasciare tranquillo il ragazzo in previsione della sfida contro lo United. Arter, però, dice no. Lui vuole giocare e convince direttamente l’allenatore durante un colloquio faccia a faccia avvenuto poche ore prima della partita.

La prestazione gli dà ragione e l’affetto ricevuto dai suoi tifosi in quel minuto 86, durante il quale Arter viene richiamato in panchina, gli offre un’ulteriore motivazione per andare avanti e non mollare.

Voglio ringraziare tutto il Dean Court per il supporto in questo momento così difficile. Mi sentivo di voler entrare in campo e provare a lasciare fuori dalla mia mente per un piccolo periodo tutto ciò che ho vissuto durante questa settimana. La mia famiglia, poi, era dalla mia parte e voleva che giocassi.”

Ognuno elabora un lutto a proprio modo e io ho pensato che fosse più facile riuscire a farlo entrando sul rettangolo di gioco, provando a rendere tutti orgogliosi di me. Volevo esserci per dedicare questa partita a tutta la mia famiglia e per mostrare il mio ringraziamento al club che mi è stato così vicino nei giorni passati. Tutti qui sono stati semplicemente incredibili. Mi hanno dato una mano a rendere le cose un po’ più facili. Sono sicuro che anche la mia compagna è fiera di me.

Parole bellissime da parte di un uomo straordinario.

Oggi, a causa di quel funesto evento, la vita e le prospettive di Harry Arter sono profondamente cambiate ed a confessarlo è lo stesso calciatore irlandese.

Arter scoprirà soltanto la prossima settimana se farà parte della spedizione irlandese per gli Europei in Francia. Tuttavia, tale decisione non influirà sulla sua esistenza come sarebbe avvenuto prima di dicembre.

Senza aver passato tale esperienza, in caso di mancata convocazione da parte del commissario tecnico, sarei stato devastato psicologicamente.”

Adesso, invece, so bene cosa voglia dire essere realmente a terra. C’è un significato completamente diverso per me rispetto a tale definizione. Qualora non andassi in Francia sarei dispiaciuto, certo, ma il dolore nella vita è tutt’altra cosa.”

Io amo la mia professione e questo ha rappresentato una fortuna per me. Sono riuscito a rimanere un professionista nonostante la tragedia occorsa e sono stato in grado di concentrare la mia mente su qualcosa di diverso rispetto a quanto successo. Vedo il calcio come un grosso dono nella mia vita ma non come qualcuno che fa combaciare la propria vita professionale e quella privata.

Il centrocampista del Bournemouth ha aggiunto che se andasse agli Europei giocherebbe per rendere orgogliosa di lui anche la piccola e sfortunata Renee.

Voglio che non solo la mia famiglia ma anche lei sia orgogliosa di me. E’ tutto ancora molto fresco per noi, purtroppo, ma nella mia mente e nei miei occhi lei è stata parte di me e della mia famiglia per nove mesi; quindi, da qualunque parte lei possa vedermi, io voglio che sia fiera di suo papà

Poco da aggiungere: Chapeau Mr. Arter.

Nato a Roma sul finire degli anni Ottanta, dopo aver conseguito il diploma classico tra gloria (poca) e
insuccessi (molti di più), mi sono iscritto e laureato in Lingue e Letterature Europee e Americane presso la
facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Tor Vergata. Appassionato, sin dall'età più tenera, di calcio,
adoro raccontare le storie di “pallone”: il processo che sta portando il ‘tifoso’ sempre più a diventare,
invece, ‘cliente’ proprio non fa per me. Nel 2016, ho coronato il sogno di scrivere un libro tutto mio ed è
uscito "Meteore Romaniste”, mentre nel 2019 sono diventato giornalista pubblicista presso l'Ordine del Lazio

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