La Formula-1, i media e il razzismo: male da estirpare o motivo per fare audience?
Una brutta storia. Agli antipodi dei valori dello sport, ma pure molto lontana da quelli dell’etica civile. Perché emana un olezzo di ipocrisia mista a opportunismo. Dove le nobili battaglie si genuflettono al dio denaro. E dove chi ci esce male, oltre a uno dei suoi protagonisti, è l’informazione.
Tra lunedì e martedì i media sportivi di mezzo mondo hanno rilanciato l’affermazione razzista dell’ex pilota di Formula-1 Nelson Piquet nei confronti di Lewis Hamilton. Nel novembre 2021, in un’intervista al canale YouTube “Enerto”, il brasiliano già tre volte campione del mondo appellò con un ignobile “neguinho” (per la traduzione non occorre un C2 in portoghese…) riferito al colore della pelle l’inglese della Mercedes mentre ne commentava la manovra con la quale, nel gran premio di Gran Bretagna del luglio precedente, buttò fuori a 300 km/h Max Verstappen, suo rivale nella corsa al titolo. Nelle ultime ore il diretto interessato, a deflagrazione pubblica avvenuta, si è scusato. Ma il suo resta un commento incivile, da condannare senza “se” e senza “ma”.
Sennonché quando questa deprecabile esternazione uscì, sette mesi fa, nessuno disse nulla. E nonostante Hamilton e Verstappen fossero sempre in battaglia per il mondiale (poi vinto poche settimane dopo dal pilota della Red Bull all’ultimo giro dell’ultimo appuntamento), passò completamente sottotraccia. Salvo rispuntare fuori nelle ultime ore, all’inizio della settimana che conduce alla sfida di Silverstone, la pista teatro di quell’incidente. Immediatamente, si è sollevato un coro di indignazione a ogni latitudine. Tifosi, appassionati, critici, addetti ai lavori e pure i massimi sistemi delle corse hanno gridato la loro vergogna. Formula-1 e Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA) hanno stigmatizzato l’episodio e ribadito il loro “no” al razzismo con tanto di post dai loro account ufficiali. Per non parlare dello stesso Hamilton, che sui suoi social ha scritto: “È giunto il momento di agire” (scusa Lewis, perché “finora” non era il momento?). Tutto vero, tutto giusto e tutto bello.
Se non fosse che, rileggendo tutta questa storia, vengono alcune domande. Ma com’è che di questo fatto se ne parla sette mesi dopo? Cos’è successo? FIA, Formula-1, Hamilton e il giornalismo sportivo di tutto il mondo si sono svegliati improvvisamente tutti insieme soltanto adesso? Dov’erano a novembre di un anno fa? E poi. Ma non è che l’uscita di questa notizia è utile per accendere i riflettori sulla gara di domenica? Forse c’è bisogno di mettere pressione su Verstappen per ravvivare il campionato? No, perché “Super Max”, come lo chiamano i suoi fans, è il leader indiscusso della classifica (+46 sul 2°, che poi è il suo compagno di squadra Perez, quindi meglio dire +49 sul 3°, Leclerc) grazie anche ai gentili omaggi degli uomini al muretto Ferrari. E il caso vuole che sia anche il genero di Piquet, visto che è il compagno di una delle figlie. Allora com’è che nel momento cruciale della stagione, se l’olandese dovesse fare suoi i prossimi due gran premi i rimanenti undici (cioè metà campionato) non sarebbero che una passerella in attesa della sua matematica incoronazione, si va improvvisamente a minare la sua concentrazione con una storia vecchia e sporca, che non lo riguarda in prima persona e che però non può lasciarlo indifferente, nell’occhio del ciclone c’è il suocero, insieme all’annesso rischio di sciuparne l’immagine agli occhi di una parte degli sportivi?
Forse questa polemica, con le inevitabili tensioni che ne possono seguire, fa comodo alla Formula-1 per tenere alta l’attenzione su una disciplina che, purtroppo, prima che sport è ormai business (e che business!) e quindi, se a vincere è sempre il solito pilota, perde di appetibilità e vede diminuire il suo volume di introiti? Nello sport spesso si ricorre alle campagne mediatiche per destare l’interesse di una competizione o per non parlare di argomenti ritenuti “scomodi”. E nell’era del web e della comunicazione virale, è più che sufficiente che un canale YouTube rilanci anche una sola parola che tocca temi sensibili, come i diritti civili, perché le sue onde si propaghino e raggiungano dimensioni da tsunami.
Ma aldilà di interrogativi e considerazioni varie, questa brutta storia suscita anche una riflessione di altro tipo e di portata ben più ampia, che si rivolge innanzitutto a tutti gli indignati improvvisamente destati. Media in primis. Cos’è dunque il razzismo? Un male culturale da estirpare sempre e comunque, attraverso campagne di sensibilizzazione e presa di distanza da ciascun episodio ogniqualvolta si manifesta, oppure un altro motivo per alzare all’uopo l’audience in nome dello showbiz?