Oggi, 8 Marzo, è la giornata internazionale della donna; al di là dei pochissimi negativi aspetti del femminismo occidentale, la lotta per i diritti dell’altra metà del cielo ha potuto contare su milioni di donne coraggiose che, con spirito rivoluzionario e mai arrendevole, si sono opposte, e continuano ad opporsi, a trattamenti iniqui, ingiusti e dai tratti inumani.
Un recente aspetto di questa lotta è anche l’emancipazione delle donne che praticano la boxe.
Le prese di posizione critiche verso l’adeguatezza del pugilato al femminile stridono con una crescita esponenziale delle atlete, sia a livello numerico, sia qualitativo; io stesso ammetto di aver lungamente mantenuto troppe riserve da maschilista vecchio stampo. Mi sono ora ricreduto.
L’applicazione e la disciplina delle donne boxeur, che ormai riempiono le palestre di pugilato in ogni paese esso si pratichi, conquistano maestri, media e pubblico.
Praticato con i dovuti standard di sicurezza e con la necessaria cura nella preparazione fisica, la boxe femminile sarà certamente un valore aggiunto al nostro sport.
Parlerò di due “pugilesse” tra loro molto distanti, eppure entrambe guerriere coraggiose nella stessa battaglia.
Nel pugilato professionistico da quasi vent’anni, Laila Ali è il miglior esempio di come la boxe d’alto livello possa comodamente convivere con una splendida femminilità.
Supermedio di un metro e ottanta, Laila non ha ereditato le doti del padre, poiché la classe infinita è un dono che la Natura distribuisce con estrema parsimonia, ma può contare su un record che parla chiaro: 24 incontri, 24 vittorie, 21 KO.
A dimostrazione di come suo padre, quantomeno in età matura, non vivesse la religione in maniera fanatica, come invece molti sostengono, Laila non ha mai praticato la fede islamica, nemmeno da bambina.
Sposatasi due volte, è madre di due figli.
Queste le sue semplici parole al riguardo del suo grande genitore, Muhammad Ali, l’uomo più famoso del pianeta:
“Mio padre non è quello che vedete voi, perché io ne conosco i difetti e le debolezze…gli voglio bene perché è mio padre, alla stessa maniera in cui il vostro lo è per voi“.
Di natura calma e riflessiva ha il merito di aver fatto desistere Hulk Hogan dai propositi suicidi che egli aveva intenzione di mettere in atto prima di ricevere la sua telefonata.
Splendida quarantenne, madre attenta, Laila non si è fatta schiacciare dalla notorietà e dalla ricchezza, ma ha tracciato il proprio solco nella vita, trovando un solido equilibrio.
Con tutta probabilità, questo le è stato concesso dalla pratica del pugilato, una passione che spegne molti vizi per la grande dedica richiesta.
Appare come il rovescio della medaglia, mentre è invece parte del dazio di tragicità richiesto dai grandi numeri, la storia di Becky Zerlentes, che undici anni or sono entrò nella storia come la prima donna a perdere la vita sul ring di uno sport da combattimento.
La 34enne Becky combatteva il proprio undicesimo incontro in carriera; prima di darsi alla boxe era stata a lungo in una squadra di nuoto sincronizzato e aveva raggiunto la cintura nera di Goshin Jitsu.
Un solo, modesto, colpo al caschetto protettivo le è costato la vita.
L’autopsia ha reso evidente una tendenza alla “concussione” del capo: un raro difetto che si scopre solo post mortem.
Purtroppo, Becky Zerlentes ha pagato il proprio coraggio e la propria “approssimazione” da autentica pioniera: con molti chili di troppo ed una guardia elementare, ha incassato il fatale destro ed ora è nel mondo dei più. Su Youtube si può vedere il relativo filmato.
Professoressa universitaria di economia e geografia, aveva conseguito un dottorato all’Illinois University e redatto apprezzate pubblicazioni sulle proprie ricerche svolte in Messico.
Amante della natura e degli animali, ora è purtroppo polvere, perlomeno ai nostri occhi di mortali.
Becky e Laila sono donne coraggiose che hanno seguito la loro ombra sul ring, all’inseguimento di quel qualcosa che si prova mettendosi alla prova tra le sedici corde.
La patinata immagine della bella Laila non deve trarre in inganno nel raffronto con quella della sgraziata figura della povera Becky: entrambe ritraggono donne coi guantoni, impegnate nello sport che amano! Una disciplina che vuole dedizione e chiede sofferenza ma che, nonostante i tragici casi sfortunati, è lontana anni luce dalla violenza che troppo spesso le donne subiscono nella vita di tutti i giorni.