La disfatta argentina ai Mondiali di Francia ’98
Francia ’98: la delusione di un’Argentina paradossalmente piccola. L’ultimo Mondiale del secolo si gioca in terra transalpina con truppe composte da soldati di grido.
L’Albiceleste, leggendo i nomi, promette scintille. Tutti campioni, giunti al momento top della carriera, si ritrovano agli ordini dell’ex bandiera anni ’80 Daniel Passarella. In quel frangente storico il gotha del calcio mondiale si incontra nel miliardario e idolatrato pallone italico. La quantità di interpreti argentini insediati nella Serie A, quindi, è davvero notevole.
Sono 11 big assoluti sguinzagliati lungo lo stivale. Dal viola Batistuta ai laziali Almeyda e Chamot passando per il giallorosso capitolino Balbo, il centrocampista blucerchiato Veron, lo stopper napoletano Ayala, il terzino dell’Udinese Pineda e i parmensi Sensini e Crespo.
Senza dimenticare le colonne interiste Simeone e Javier Zanetti. Il resto dell’orchestra è sinfonica e apparentemente accordata. Il roster viene impreziosito dall’estro di Ariel Ortega e dalla scaltrezza di Claudio Lopez, entrambi del Valencia ma con fitti rapporti anche loro col Bel paese.
Il 4-3-1-2 di Passarella ingolosisce gli occhi languidi dei passionali tifosi. L’antipasto del girone H, disputato tra Tolosa, Parigi e Bordeaux è una gita fuori porta senza intoppi. Bomber Batistuta fa la voce enorme timbrando l’1-0 col Giappone e autografando tre delle cinque reti sganciate alla Giamaica. Basta il marchio mancino di Pineda, poi, per superare l’ottima Croazia di Boban e Davor Suker.
In patria già si vola con i sogni più disparati. Cosa potrà mai andare di traverso? Il vento, tra l’altro, rimane in poppa anche nel match degli ottavi.
L’avversario è l’Inghilterra. Sì, proprio lei. Lo sgambetto dell’86, dai plurali significati sportivi e sociali (vedi il conflitto per isole Falkland-Malvinas), è intatto nel cuore e nella mente dei sudditi del Pibe de Oro. La sfida è sentita molto pure a distanza di dodici lunghi anni. Dio Diego non danza più sul rettangolo verde, ma il sentimento di rivalsa contro gli acerrimi nemici è identico. Sarà una gara bella e palpitante. Il primo tempo è tambureggiante. I rigori di Batistuta e Shearer inaugurano il flipper. I britannici sorpassano a sinistra con l’opera d’arte di Owen su lancio al goniometro di Beckham. Al tramonto di frazione Zanetti trasforma in perla preziosa un perfetto schema su punizione. E adesso? Vai coi rigori. Stecca Hernan Crespo, ipnotizzato dal capellone Seaman. Poco male, perché Roa intuisce il tentativo di Ince. Il popolo Albiceleste scoppia in giubilo grazie allo stesso portiere che respinge successivamente il tiro di Batty.
Il 4 luglio arrivano i quarti di finale. Kick off a Marsiglia. Il sole bacia i colori vivi e accesi di Olanda e Argentina. Scenario stupendo e, ormai, maledettamente vintage. Match equilibrato e godibile. Gli Orange esultano in primis. Bergkamp apparecchia per Kluivert: 1-0. Vietato mollare. Lopez lo sa bene e rimette in ordine i conti poco dopo.
La sfortuna atterra violentemente in campo con il legno che si oppone al siluro di Batistuta. La sirena sta per scoccare quando De Boer invia un delizioso cioccolatino a Bergkamp che accarezza la sfera, elude Ayala, e con l’esterno destro insacca.
Si spegne la luce su Ortega e soci. Si torna mestamente a casa con i borsoni pieni di dolore e rimpianto. Dio Diego non c’era. Dio Diego non c’è più.