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La Cina nel pallone: il sogno di Xi Jinping per un Dragone Rosso Mondiale

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La Cina nel pallone: il sogno di Xi Jinping per un Dragone Rosso Mondiale

Il primo Ottobre si festeggia il 72esimo anniversario della nascita della Repubblica Popolare Cinese, Un Paese che da rurale si è trasformato negli anni in un protagonista assoluto in tutti i settori. E il sogno del Presidente Xi Jinping è quello di prendersi anche il calcio.

Fino a pochi anni fa, infatti, quando si parlava di calcio in Asia, a molti veniva in mente solamente l’esempio del campionato giapponese: la J-League. Nel paese del Sol Levante, infatti, durante gli anni ’90 del XX secolo giocarono alcuni importanti calciatori come Zico e Totò Schillaci. Purtroppo però il “miracolo calcistico giapponese” durò poco tempo visto che vennero prese decisioni sbagliate, soprattutto al punto di vista economico.

Proprio l’ex juventino Schillaci, nel maggio 1994, segnò un gol davanti agli occhi di Xi Jinping, attuale presidente della Repubblica Popolare Cinese, che però, a quel tempo, era a capo della Scuola del partito della città di Fuzhou.

Jinping rimase colpito dalla forza di attrazione che quel gioco, in cui 11 persone correvano dietro ad un semplice pallone, aveva sulla masse. E così, una volta eletto presidente del governo di Pechino nel 2013, diede un forte impulso affinchè il calcio diventasse lo sport più seguito nel mega stato asiatico. Tutto questo perchè, come affermato dallo stesso presidente, “il sogno calcistico fa parte del sogno cinese”.

Il suo progetto Xi lo iniziò in vari modi: dall’introdurre il calcio come materia scolastica vera e propria “per insidiare la pratica calcistica nella cultura popolare” fino a proporre contratti milionari a giocatori che militano in alcuni importanti tornei calcistici europei per farli venire a giocare nella Chinese Super League: il campionato più importante dalle parti di Pechino.

Ma soprattutto, il leader cinese, agevolò vari gruppi di investimento locali che, nel corso del tempo, hanno cercato, e cercano di farlo tuttora, di entrare nel mondo del pallone europeo a suon di milioni. Un esempio a noi vicino può esser quello dell’Inter, team del campionato italiano di Serie A diventato cinese nel 2016 dopo essere stato acquistato dalla Suning Holdings Group.

Col tempo, però, tale espansione venne fermata da Xi Jinping che si lamentava del fatto che gli investimenti cinesi si concentrassero troppo sui campionati esteri e poco su quello nazionale. Lo stesso presidente ha tentato di far sì che i milioni venissero spesi anche nel campionato locale. Per esempio sono stati messe in luce alcune garanzie come l’obbligatorietà del calcio nelle scuole, la creazione di grandi accademie calcistiche statali, l’abbattimento delle tasse che i club devono versare all’erario, la gestione privilegiata da parte delle società calcistiche di stadi e infrastrutture limitrofe.

Tali agevolazioni hanno fatto diventare il calcio locale un affare per i grandi gruppi del paese. Vi era infatti la garanzia di interessi immediati, legati all’esposizione internazionale del marchio, ma soprattutto futuri.

Tutto questo processo, come spiegato dall’esperto di calcio cinese Nicholas Gineprini in un precedente pezzo pubblicato su Io Gioco pulito, viene portato avanti con degli intenti ben chiari. Gineprini, infatti, spiega che l’obiettivo principale di questa svolta calcistica nei dintorni di Pechino non è “portare i club acquistati ai vertici del calcio europeo” ma bensì “far crescere il calcio cinese e la sua industria”.

Il bacino su cui lavorare del resto è immenso. Come ci disse Gineprini nel 2016, infatti, “Il calcio è molto seguito in quanto gli stadi della Chinese Super League hanno un’affluenza media fra le più elevate al mondo” . Ma “meno dell’1% della popolazione è tesserato”. Considerando una popolazione totale di quasi un miliardo e mezzo e, scremandola con coloro che sono fuori età, un incremento anche minimo della quota tesserati rappresenta numeri che solo la Cina (e l’India) può permettersi.

Nel 2018, inoltre, per dare ulteriore impulso al movimento calcistico cinese, nell’ambito della recente intesa tra il Paese di Xi Jinping e l’Italia conosciuta come “Nuova Via della Seta”, sono stati stipulati una serie di accordi con il Coni e la FIGC per importare il know how calcistico del Belpaese in Cina.

Vi è però un fattore che, negli anni, non ha permesso di raggiungere, ancora più in fretta, tali obiettivi: i risultati altalenanti della nazionale locale che, negli ultimi tempi, non ha certo brillato sul campo.

Dopo circa gli 800 milioni di dollari investiti dai proprietari dei club dal 2014 al 2017 per accaparrarsi giocatori stranieri dai campionati europei, il Presidente ha imposto dei paletti per limitare l’ingresso di calciatori stranieri per avvantaggiare lo sviluppo di quelli locali. In particolare, l’adozione della luxury tax, che anche Ceferin vorrebbe introdurre in Europa, secondo la quale i club cinesi che vogliono comprare un calciatore straniero sborsando cifre superiori a 6 milioni di euro sono costretti a pagare una tassa pari al 100% della transazione, mentre per gli acquisti interni la soglia oltre cui scatta la luxury tax è di circa 2,5 milioni di euro, risorse destinate a un fondo per lo sviluppo del calcio cinese. Oltre a questo, anche l’obbligo di impiego di giovani talenti locali in prima squadra.

Tale rivoluzione “interna” viene portata avanti per raggiungere uno specifico obiettivo: centrare la qualificazione ai mondiali del 2022 in Qatar, rassegna a cui la Cina manca dal 2002. Nel girone di qualificazione dei prossimi mondiali, però, la Cina è ferma a 0 punti con due sconfitte in altrettante partite. Il traguarda iniziale sarebbe quello di primeggiare in Asia entro il 2030 e, entro il 2050, di vincere una Coppa del Mondo.

Per arrivare ciò si è dato il via, poco tempo fa, a quella che può essere descritta come una oriundizzazione della nazionale. Ci riferiamo al caso di Nico Yennaris: colui che è diventato ufficialmente il primo calciatore naturalizzato della storia della Cina.

Il processo, che durava da mesi, si è concluso quando il ragazzo di origini inglesi – con padre cipriota e madre cinese – ha deciso di adottare la cittadinanza cinese per vestire la maglia del Beijing Gouan. Ma non è  il solo naturalizzato a far parte della nazionale cinese: anche i brasiliani Elkeson e Aloisio fanno parte della rappresentativa così il britannico Browning. Un meccanismo adottato anche da un altro Paese dell’estremo oriente asiatico, come le Filippine, di cui avevamo parlato in un recente articolo.

La paura di Xi Jinping però, è quella che si possa calcare troppo la mano sul tema di naturalizzazione. Infatti, secondo la legge in vigore in Cina, definita “guoji fa”, è previsto il cambio di cittadinanza per quanto riguarda il calcio, dopo aver militato almeno per 5 stagioni nel campionato cinese e non aver vestito nessuna altra maglia di altre selezioni nazionali.

Chissà se davvero nel 2050, con una nazionale composta per la maggior parte da giocatori non nati direttamente sul suolo del gigante asiatico, la Cina riuscirà a salire sul tetto del mondo calcistico, come sognato da Xi Jinping. Solo la storia ci dirà cosa succederà, per il momento possiamo concludere con il motto “to be continued”...

 

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