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La Champions League vista da Mario Kempes

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La Champions League vista da Mario Kempes

Con la maglia lucente della sua nazionale vinse il titolo di campione del mondo nel 1978. Forte fisicamente e  tecnicamente raffinato, Mario Kempes è stato, dopo Maradona e Messi, il miglior giocatore espresso dall’Argentina negli ultimi cinquant’anni. Attaccante in grado di svariare su tutto il fronte offensivo, capace di percussioni inarrestabili verso la porta avversaria che lo portarono ad essere il capocannoniere del torneo, di quella manifestazione controversa Kempes parla nell’autobiografia che sta presentando in questi giorni a Madrid, dove sabato sera commenterà per la ESPN latinoamericana la finale della Champions League.    

Mario, in questi giorni sei in Spagna per presentare la tua autobiografia. Perché hai deciso di scriverla?

Beh è abbastanza semplice: Luciano Wernike (giornalista argentino, n.d.r.), che ha steso il testo, un giorno mi confessò che avrebbe voluto scrivere la mia autobiografia. Io gli dissi che era pazzo… Lui ha replicato che era tanto tempo che voleva propormi quel progetto e alla fine mi ha convinto. E così, mentre io raccontavo e lui prendeva appunti, è nata l’autobiografia. In realtà non era qualcosa a cui avevo pensato io, perché non volevo che si scrivesse di cose che, alla fine, appartengono solo a me.

Oltre alla vittoria del mondiale, qual è il momento della tua carriera di calciatore che ricordi con maggior piacere?

Tutta la mia vita da calciatore è stata bella. Anche le sconfitte, perché quando ho perso è stato perchè altri si sono dimostrati migliori. Con l’Instituto, il Rosario Central, il Valencia, il First Vienna, l’Hercules… insomma, con tutte le squadre con cui ho giocato sono stato bene ed è stato un piacere. Sono stato più o meno giovane, più o meno forte ma ho sempre cercato di fare il massimo che potevo. 

Sei stato un simbolo del Valencia, tanto che ancora adesso sei ricordato con molto affetto. Oggi sembra che i giocatori migliori non si affezionino a nessuna squadra e pensino solo a firmare nuovi contratti e a vincere i trofei più importanti. Perché pensi che la situazione si sia evoluta in questi termini e siano pochissimi i calciatori che rimangono fedeli a lungo a una squadra?

I tempi cambiano, i calciatori si spostano più di prima da una squadra all’altra: il mondo va così. Qualcuno si affeziona a una città, qualcun altro no, dipende. Oggi è il denaro che comanda e i giocatori vanno dove il loro manager riesce a spuntare il miglior contratto.

Quest’anno hai commentato la Champions League per la ESPN latinoamericana, per cui hai avuto modo di vedere molte partite della competizione. L’Ajax è stato la grande sorpresa: secondo te perché è stato eliminato?

Un tempo l’Ajax non era una sorpresa. Oggi si perché è una squadra composta da tutti ragazzi giovani che sono arrivati così avanti anche per la mancanza di considerazione che il Real e la Juve hanno avuto nei loro confronti. Mancano un po’ di esperienza, cosa che non è mancata al Tottenham, oltre alla fortuna. Ma non si può dire che abbiano perso male: in realtà gli inglesi, nella partita di ritorno, hanno fatto tre gol in quaranta minuti ed hanno meritato di vincere.

Credi che questa finale sia una sorpresa o riflette i valori delle squadre che hanno giocato la Champions?

Nella Champions ci sono sempre le sorprese. A partire già dalla fase a gironi o nei primi scontri diretti, quando squadre che non sembrano dover andare da nessuna parte alla fine sorprendono tutti. Comunque io credo che chi arriva all’ultima partita ha meritato di esserci. E’ vero, il Tottenham ha ribaltato il risultato dopo aver perso in casa e il Liverpool ha recuperato la sconfitta pesante rimediata a Barcellona. Sono state sorprese? Sì, ma questo è il bello del calcio!   

Il Liverpool è arrivato in finale più per suoi meriti o per gli errori del Barcellona?

Io penso che il Liverpool avesse già dimostrato al Camp Nou di essere una squadra molto pericolosa, non avendo concesso occasioni agli avversari. Poi il Barcellona ha Messi, che in qualunque momento ti decide la partita, ma il Liverpool già all’andata aveva giocato molto meglio dei blaugrana e nel ritorno ha disputato la sua miglior partita e ha recuperato i gol che non aveva realizzato al Camp Nou.

Cosa ti piace di più del Liverpool e del Tottenham?

Personalmente del Tottenham prediligo il gioco di squadra e del Liverpool le individualità.

Che finale sarà secondo te?

Liverpool e Tottenham rappresentano bene il calcio inglese: sarà una partita di calcio inglese. Sarà un match combattuto con molte azioni da gol. Mi aspetto che sia il Liverpool a dover fare la partita ma non credo che Pochettino si tirerà indietro.

Un giocatore del Liverpool e uno del Tottenham che possono essere decisivi per la finale?

Del Liverpool potrebbe essere uno dei tre attaccanti: Salah, Firmino e Manè sono giocatori che fanno davvero la differenza. Del Tottenham non so come staranno Kane e Son.

Perché la Juventus non riesce a vincere la Champions? Forse ha un’ossessione eccessiva per questo torneo?

Io penso che se qualcuno ha l’ossessione di vincere la Champions non la va a vincere, la perde. La Juventus ha Cristiano Ronaldo che è il re della Champions ma deve avere anche un po’ di fortuna. L’anno prossimo, con un nuovo allenatore, vedremo come affronterà la competizione.

Quando ti vedremo in Italia?

In realtà non lo so. Potrebbe essere per una partita di Champions. Comunque, se ci sarà un invito, qualunque momento sarà quello buono!

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Giornalista e scrittore, coltiva da sempre due grandi passioni: la letteratura e lo sport, che pratica a livello amatoriale applicandosi a diverse discipline. Collabora con case editrici e redazioni giornalistiche ed è opinionista sportivo nell’ambito dell’emittenza televisiva romana.
Nel 2018 ha pubblicato il romanzo "Ci vorrebbe un mondiale" – Ultra edizioni. Nel 2021, sempre con Ultra, ha pubblicato "Da Parigi a Londra. Storia e storie degli Europei di calcio".

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