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Klaudio Ndoja: dal terrore alla serie A

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Quello che non mi uccide mi fortifica. Così disse F.W. Nietzsche, uno dei massimi filosofi di ogni tempo. Questa frase, che è diventata un mantra per tanti, si può definire la “cartina tornasole” della stupenda storia di vita e di sport di Klaudio Ndoja. Forse nella testa di Klaudio ha riecheggiato parecchie volte, soprattutto quando il senso ed il bello della vita sembravano volare via.

Klaudio, oltre ad essere forte fisicamente (2,01 cm per 102 kg), dentro di sé lo era ancora di più: positivo e pieno di gratitudine, nonostante molte cose non le capisse e non le condividesse. Questa mentalità l’ha portato a rialzarsi, a ripartire, a dire a sé stesso e agli altri che nella vita Klaudio non vuole smettere di stupirsi e di stupire, perché, come dice lui,“la morte è certa, la vita no”.

La sua incredibile storia è stata raccontata nel libro “La morte è certa, la vita no” (Imprimatur).

Klaudio Ndoja nasce in Albania il 18 Maggio 1985. La sua infanzia la passa in un contesto triste e deprimente. L’Albania era “piena” di povertà e malavita. Tutto era deciso dal regime comunista che in quel momento governava. I soldi erano pochissimi, il lavoro arrancava e la situazione sociale andava a rotoli. Klaudio cercava di trovare il bello in tutto ciò come meglio sapeva, giocando a basket.

Klaudio cresceva all’interno della famiglia e non smetteva di sognare e di vedersi grande. Un piccolo sogno si realizzò quando il padre gli portò a casa un canestro, tanto desiderato da Klod. Da quel momento il basket entrò sempre di più nella sua vita. A nove anni inizia con la sua prima vera squadra, lo Scrutari Basket. Il suo coach Korab Llanzani, da subito diventò un punto di riferimento. L’addio prematuro del coach però allontanò poco dopo anche Klod dallo Scrutari Basket. Si accasò nel Vllazvnia. Le sue doti cominciavano ad “uscire”, soprattutto nelle partite. Con quel fisico imponente e mingherlino, riusciva ad imporre il suo gioco, potente ed efficace.

Nel febbraio del 1998, la vita dell’intera famiglia Ndoja ricevette un forte scossone. Mentre Klaudio e la sorella Alba stavano giocando a basket nel cortile di casa, la bimba venne colpita da un proiettile vagante. La decisione del padre fu drastica: fare le valige e lasciare l’Albania. Una scelta per garantire un futuro migliore alla famiglia. Dopo un viaggio infinito, intriso di terrore e infamia, la famiglia Ndoja arriva in Italia, a Brindisi. Con sole cinquecento mila lire in tasca erano partiti verso la nuova meta. Oltre ai soldi, non avevano i documenti. Erano clandestini. La loro più grossa paura era di essere rimpatriati. Klaudio, con una fede forte, mise tutto nelle mani di Dio, sapendo che lui avrebbe dispensato solo il bene per la famiglia. E cosi, giorno dopo giorno la storia cominciava a prendere colore.

Con il treno arrivarono a Reggio Emilia e grazie ad uno zio riuscirono a trovare una luogo dove alloggiare. Intanto Kluadio non smise di giocare. Ebbe subito la possibilità di fare un provino per il Montegranaro. Non se ne fece nulla. Di lì a poco però Klaudio si sarebbe tolto enormi soddisfazioni. Arrivati a Palazzolo Milanese,  Klaudio passava i pomeriggi a giocare a basket al campetto “del prete”. Il parroco del luogo, Don Marco, vista la sua bravura gli propose di giocare nella squadra dell’oratorio. Klaudio accettò e da lì le porte del grande basket si spalancarono. Dei dirigenti della squadra di Desio gli proposero di fare un provino. Non ci furono dubbi: la stoffa c’era, bisognava farla crescere. Dopo due anni lasciò squadra e Desio per trasferirsi, nel 2003, per giocare nel Casalpusterlengo. Pochi mesi e decise di accettare la proposta di Sant’Antimo e terminare lì la stagione. Si spostò nei pressi di Napoli senza la famiglia, a vent’anni. Decise in quel momento di fare del basket la sua vita, diventando professionista. Un minutaggio irrisorio nell’estate del 2006 gli fece decidere di accettare l’offerta del Borgomanero, in B2. Era il preludio al tanto sospirato sogno: la serie A.

L’anno a Capo d’Orlando fu la sua consacrazione. Un stagione esaltante e amicizie rimaste nel cuore di Klaudio. La season si concluse in gara tre di playoff. L’estate fu tormentata: l’Orlandina fu estromessa dalla serie A. A Klaudio era stato proposto di andare in B2, ma non ne volle sapere. Voleva rimanere e dire la sua, in campo.

Nel 2008 Klaudio firmò per l’Harem Scafati (LegaDue). Il basket di Klaudio cominciava ad essere efficace. La stagione terminò brutalmente. Dopo aver perso le semifinali dei playoff la società non riuscì a pagare i giocatori e in massa se ne andarono, compreso Klaudio.

Nel luglio 2009 firma il contratto annuale con la Fileni Aurora Jesi (LegaDue). In questa stagione nacque una delle amicizie più forti con Marco Giuri che lo aiutò a “staccare” dalle difficoltà che stava vivendo la squadra. Stagione 2010-2011: Ndoja decise di legarsi alla società di Ferrara (LegaDue). In quest’annata ebbe l’incontro più costruttivo della carriera con il suo coach, Alberto “Martello” Martelossi. Un anno fondamentale che lo preparò alla stagione più esaltante e produttiva della sua carriera di cestista.

Dal 2011 al 2013 Klaudio si accasa nelle file dell’Enel Brindisi. Tutto sembrava quasi una favola. Se era tutto deciso dal destino, l’aveva proprio pensata bella. Nonostante all’inizio giocasse poco, riuscì, dopo un infortunio pesante e lungo, a rientrare da protagonista quando la stagione era nel “clou”. Arrivarono secondi dietro Reggio Emilia. Via con i Playoff, per la sospirata promozione in serie A. Dopo aver vinto quarti e semifinali, arrivò la serie decisiva contro Pistoia. Gara 1: Brindisi gli rifilò una sonora sconfitta. In Gara 2, bis per Brindisi e 2-0. In gara 3 vittoria a sorpresa di Pistoia. In gara 4, a Pistoia, Klaudio sale in cattedra. Nei momenti dove occorre dare di più, Klaudio c’è. Vince Brindisi 88-86. Tutto è partito da lì nel 1998. Forse neanche Klaudio immaginava di vivere qualcosa di cosi potente.

Nella bella storia di Klaudio colpisce la forza e la capacità che ha messo in mostra ogni volta che si è trovato ad aver a che fare con le difficoltà. La sua testardaggine a volte è stata un limite, altre la sua arma segreta. Un esempio di come la forza d’animo, il proprio “parlarsi positivamente”, siano davvero capaci di far superare ogni problema.

FOTO: www.basketuniverso.it

 

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