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Just don’t do it. Se rimani incinta la Nike ti toglie lo stipendio
Alysia Montano venne considerata come una sorta di supermamma quando corse una gara di 800 metri di atletica leggera negli Stati Uniti mentre era incinta di otto mesi.
Solo poche settimane dopo, diede alla luce la sua bambina. Anni dopo, nel 2017, Montano corse un’altra gara mentre era incinta di cinque mesi del suo secondo figlio. Ora la Montano, 33 anni, è una delle due atlete che sostengono che la Nike le avrebbe penalizzate durante la gravidanza.
La Montano ha parlato in un video pubblicato sul New York Times, dicendo che la Nike “mi ha detto di sognare in grande, fino a quando non volevo avere un bambino”. La Montano ha poi aggiunto di aver combattuto molto per mantenere il suo stipendio mentre era in gravidanza.
Altre atlete si sono unite alla protesta asserendo la stessa cosa ovvero che durante la gravidanza e subito dopo il parto la Nike o non pagava proprio o abbassava notevolmente lo stipendio. Tutte queste atlete hanno definito il rimanere in cinta “il bacio della morte per un’atleta”. Anche l’olimpionica Kara Goucher ha detto di essere stata costretta a dover scegliere sempre tra una mezza maratona da correre per essere pagata dalla Nike o restare con il figlio appena nato in ospedale. “Mi sentivo come se avessi dovuto partorirlo al volo in ospedale, solo per uscire e correre, invece di stare con lui come farebbe una mamma normale. Non mi perdonerò mai per questo”.
A queste accuse la Nike ha risposto con un comunicato:
“Nike è orgogliosa di sponsorizzare migliaia di atlete”, si legge nel comunicato. “Come è prassi comune nel nostro settore, i nostri accordi includono riduzioni dei pagamenti basate sulle prestazioni. In passato abbiamo riconosciuto l’incoerenza nel nostro approccio in sport diversi tra loro e per questo nel 2018 abbiamo standardizzato il nostro approccio in modo che nessuna atleta venga penalizzata finanziariamente per la gravidanza“.
Oggi parliamo di atlete ma il “problema maternità” è molto profondo negli Stati Uniti anche nei lavori “normali”. Gli Stati Uniti infatti sono l’unico paese tra le 41 nazioni industrializzate che non impone il congedo di maternità retribuito, secondo i dati del 2016 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
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