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Juninho Pernambucano, la punizione divina

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Juninho Pernambucano, la punizione divina

Nulla lo racconterebbe meglio dello sguardo con il quale hanno immortalato le sue traiettorie, senza poterle arginare, i grandi portieri europei che lo hanno affrontato nel corso delle sue stagioni a Lione. Oliver Khan del Bayern Monaco, Iker Casillas del Real Madrid, Victor Valdes del Barcellona, al pari di un esercito di loro colleghi meno celebri, possono ancora oggi raccontare di aver visto la palla alla partenza, averla ritrovata all’arrivo, spesso impigliandosi nella rete dopo il tentativo di volarle appresso; ma di aver capito quasi nulla durante il tragitto, mentre la piuma si faceva di piombo.

La mira per il suo piede che sarebbe arrivato a calzare poco meno del 41, un po’ più del 40, fu una questione sviluppatasi assieme al resto dell’embrione; un poco di più impiegò ad acquisire la forza; visto che quando da ragazzino giocava a Futsal sapeva sempre come è dove metterla, ma non con la potenza che avrebbe voluto: non una potenza generica, però; una potenza strategica, paragonabile all’accelerazione giusta per non uscire di strada. Si dice, in genere, che bisogna guardare la luna e non il dito; lui in realtà imparò che doveva far caso alle dita, tre per la precisione, quelle dell’interno del piede, senza far caso alla palla, ossia al punto in cui il piede la impattava. Diversamente da Claudio Branco, per esempio, che cercava di colpire la valvola; o da Roberto Carlos, che con il mezzo collo esterno cercava di battere talmente forte da costringere il pallone a fingere di andarsene lontano per poi sterzare quasi di colpo.

Parlare di lui e di calci di punizione nelle stesse righe vuol dire, per paradosso, mancargli un po’ di rispetto: perché in carriera ha saputo essere un regista completo, un trequartista raffinato per tempi e qualità nell’ultimo passaggio, un esterno addirittura, che ha sempre creato superiorità in virtù del modo di proteggere il pallone per far salire i compagni. Il fatto è che, quando nel gennaio del 2014 annuncia il suo ritiro, conta per gli almanacchi 75 gol su calcio di punizione, ai quali ne andrebbero aggiunti altri due, che poi sono stati i primi, segnati con la maglia dello Sport Recife, venti stagioni prima, nel Campionato Pernambucano; Pernambucano come quella che sarebbe diventata la sua identità calcistica all’anagrafe della gloria: già, perché quasi subito dopo gli esordi Antônio Augusto Ribeiro Reis Júnior non poteva che diventare Juninho e fin lì ci siamo; il fatto è che andava subito distinto dall’ emergente Juninho Paulista, che in Europa ci sarebbe andato prima di lui, lasciando un segno molto più lieve nel calcio del Vecchio Continente. Da centrocampista nato, Juninho Pernambucano ha dettato a se stesso i giusti tempi, prima di salutare il Vasco da Gama: a conti fatti il suo è stato un eterno ritorno, con “O Gigante da colina”, perché il cordone ombelicale non è stato mai reciso del tutto, nonostante lo scontro finito in tribunale prima di andarsene a Lione, nel gennaio del 2001, dove ha scritto la parte più prestigiosa della propria carriera ma anche la storia dell’Olympique, con 100 gol disseminati lungo 343 presenze che hanno fruttato in tutto 14 trofei.

Una lunga storia d’amore, proseguita anche da dirigente, sempre punteggiata da quell’espressione imperscrutabile con cui iniziava la rincorsa, variando il numero dei passi a seconda della distanza. Busto eretto, poi un gioco di simmetrie molto personali tra caviglia, ginocchio, apertura dell’anca. Procedendo in linea tanto più obliqua quanto più era prossima la lunetta dell’area. Impattando poi la sfera sempre con quelle tre dita, come aveva visto fare da Marcelinho Carioca, come molti anni prima faceva Didi, con molte meno immagini a disposizione per apprezzarlo. Come avrebbe poi studiato a fondo Andrea Pirlo, con tanto di citazione nel suo libro; o come da bravo scolaretto avrebbe diligentemente imparato a imitare (quasi) alla perfezione Miralem Pjanić alla fine di ogni allenamento del Lione.

E per ognuna delle sue esecuzioni, ci sarà stato almeno uno spettatore che si sarà chiesto: – Chissà oggi dove decide di metterla? -.

Romano, 47 anni, voce di Radio Radio; editorialista; opinionista televisivo; scrittore, è autore di libri sulle leggende dello sport: tra gli altri, “Villeneuve - Il cuore e l’asfalto”, “Senna - Prost: il duello”, “Muhammad Ali - Il pugno di Dio”. Al mattino, insegna lettere.

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